E torna la nostalgia per Pci e Dc «Ma a Walter non c’è alternativa» di Maria Teresa Meli, Corriere della Sera, 20/12/2008, pagg. 1- 3, 20 dicembre 2008
E TORNA LA NOSTALGIA PER PCI E DC «MA A WALTER NON C’È ALTERNATIVA
Nel terrazzo della sede del Pd – che qualcuno propone di destinare a miglior uso organizzando dei party – Goffredo Bettini ragiona così: «Ci sono state critiche, ma non una proposta politica alternativa portata avanti in maniera unitaria. L’unico punto unificante di quanti hanno mosso rilievi a Walter è la nostalgia per i partiti d’appartenenza, la Dc e il Pci, eccezion fatta per Rutelli, ovviamente, che non appartiene a quelle tradizioni».
Chissà cosa direbbe Massimo D’Alema se ascoltasse quel che dice il coordinatore dell’esecutivo. Lui che ha appena finito di spiegare che il troppo nuovo stroppia. Ma non sente. dentro e sta parlando al cellulare. Quando chiude la conversazione spiega: «Ero al telefono con la Marcegaglia, volevo sapere come stava... Certo, quando c’ero io al ministero degli Esteri queste cose non succedevano». un’altra, in questo momento, la nostalgia che prova D’Alema.
Ma sarà poi vero quel che sostiene Bettini? Certo, il rischio i veltroniani lo avvertono, non c’è che dire. Basta pensare al segretario che si dice convinto che se si tornasse ai posti di partenza – ai vecchi partiti insomma – sarebbe come fare la fine dei seguaci del «reverendo Jones». Quei signori, per intendersi, che morirono bevendo un’aranciata avvelenata in quel della Guyana.
Che di nostalgia o di orgoglio si tratti – a seconda di come la si vede – è innegabile che in molti interventi in direzione il richiamo a non dimenticare le radici è forte. Ed è insistito e ripetuto nei discorsi di tutti quelli che criticano il leader del Pd. Facendo precedere gli appunti alla linea di Veltroni con un «approvo la relazione del segretario», proseguendo poi con un «ma» o un «tuttavia», come si faceva ai tempi del Pci quando si voleva criticare il numero uno. il caso di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo Pd del Senato, che a un certo punto osserva: «Non vogliamo tener conto del fatto che la storia del riformismo italiano oggi possa esserci molto utile?». E Fassino – che è stato uno degli uomini chiave per la mediazione che ha portato a un documento unitario ma che qualche critica da fare ce l’ha – si dice convinto che «si debba avere coscienza della propria storia e appartenenza politica ».
Per non parlare di Bersani, che all’ingresso della saletta in cui si svolge la direzione del partito, ricorda il Pci degli anni 50 come un grande esempio, e che, poi, nel suo intervento, sottolinea: «Non dobbiamo dimenticare la grande solidità delle nostre radici perché noi il riformismo ce l’abbiamo davanti, ma ne abbiamo almeno cinquant’anni alle nostre spalle». Anche gli ex democristiani ci tengono alla loro casa madre. Marco Follini per attaccare il sistema delle alleanze messo su dal segretario invita il Pd a fare come la Dc di De Gasperi. L’ex presidente del Senato, Franco Marini, non vuol sentir parlare di adesione al partito socialista europeo: «C’è una cultura che è entrata nel Pd e che chiede rispetto».
E anche il tema della questione morale porta gli uomini del Pd a dividersi in ex qualcosa. Racconta Giovanni Lolli, democratico di radici diessine: «Io in Abruzzo, dopo la storia di D’Alfonso, mi vergogno a tornarci. I miei mi chiedono: ma perché ci siamo messi con quelli lì?». Dove per «quelli lì», naturalmente, si intendono gli ex margheritini. In compenso basta vedere le facce che fanno i popolari e ascoltare i loro commenti quando prende la parola Antonio Bassolino. A parti rovesciate, lo stesso discorso che fanno gli elettori di Lolli, soprattutto dopo che il presidente della Campania nel suo intervento non ha nominato nemmeno per sbaglio il termine «questione morale».
Quindi sembra proprio che quel Pd sognato da Veltroni – quella forza politica «in cui chi non viene dalle storie dei partiti fondatori si sente a casa propria» – stenti ancora a decollare. Sarà anche per questa ragione, oltre che per il susseguirsi di vicende giudiziarie che lo coinvolgono, che il Pd nel sondaggio riservato che viene dato ai leader del centrosinistra ogni venerdì registra un ulteriore calo dei consensi. Il Partito democratico, che la scorsa settimana stava al 27,5 è sceso al 26. E per paradosso – o forse no – la popolarità di Veltroni continua invece ad aumentare. L’altra settimana i consensi nei confronti del segretario erano superiori a quelli per il Pd di 9,7 punti in percentuale. Adesso Veltroni è 11 punti sopra. Dunque nel Pd i due partiti continuano a convivere. Anche per questo motivo chi non è d’accordo con il segretario fa fatica a metter su una «proposta politica alternativa unitaria», per dirla alla Bettini. Ma è anche vero che in questa Direzione si sono sentiti i primi scricchiolii della maggioranza che sostiene il segretario. Anna Finocchiaro, Pierluigi Bersani e Piero Fassino finora sono stati con Veltroni. E per adesso ci stanno ancora. Ma hanno cominciato a prenderne le distanze e ad ammettere, come ha fatto la Finocchiaro, che «la questione dell’assetto dirigente verrà dopo ». E’ vero che la capogruppo del Senato ha aggiunto un «forse», ma la questione della leadership rimane lì, sullo sfondo, in attesa dell’appuntamento delle elezioni ammini-strative ed europee. Anche se alla fine, siccome alternativa non c’è, in Direzione hanno votato tutti lo stesso documento. Insomma, come dice l’ultra-prodiano Franco Monaco «sono stati d’accordo nel fingere di essere d’accordo».