Vittorio Emanuele Parsi, La Stampa 18/12/2008, pagina 43, 18 dicembre 2008
Tra oggi e il 2050, nonostante pandemie, crisi alimentare e guerre civili, e pur ipotizzando una moderata riduzione della fertilità femminile, la popolazione dell’Africa subirà un incremento di oltre un miliardo di persone, che le consentirà di superare i giganti demografici rappresentati da India e Cina
Tra oggi e il 2050, nonostante pandemie, crisi alimentare e guerre civili, e pur ipotizzando una moderata riduzione della fertilità femminile, la popolazione dell’Africa subirà un incremento di oltre un miliardo di persone, che le consentirà di superare i giganti demografici rappresentati da India e Cina. Si tratterà di una popolazione estremamente giovane, cioè nel pieno della sua età lavorativa. Nello stesso torno di tempo, la popolazione europea diminuirà di quasi 70 milioni, attestandosi nel suo complesso intorno ai 660 milioni di individui, cioè circa il 65 per cento del solo incremento demografico africano e, soprattutto, sarà una popolazione decisamente più vecchia di quella attuale. Per quanto questi semplici dati quantitativi, forniti dalle Nazioni Uniti e rielaborati dal demografo della Sapienza Antonio Golini, possano colpirci e per quanto elevata possa essere la nostra diffidenza verso le previsioni, le proiezioni demografiche sono tra le meno aleatorie che si possano immaginare. Uno che di alea, aspettative e previsioni se ne intendeva, Alan Greenspan, per molti anni presidente della Federal Reserve, osservava in un libro del 2003: La demografia è il destino, nel senso che al peso e alle dinamiche della demografia, come al destino, non si può sfuggire. Che ci piaccia o meno, tra poco più di quarant’anni questi saranno i rapporti tra Europa e Africa in termini di popolazioni relative. Quello che i numeri non ci possono dire, però, è quali saranno i rapporti politici ed economici tra i due continenti. Perché qui il destino non c’entra nulla: questo dipende da noi, dalle nostre politiche e dalle nostre scelte. Non possiamo alterare il destino demografico, ma possiamo cercare di determinare il valore (negativo o positivo) del suo impatto nel lungo periodo attraverso le scelte politiche che operiamo giorno per giorno (cioè nel breve periodo). Dipenderà anche da noi, se l’impressionante crescita demografica africana si trasformerà in un esodo biblico di disperati che si abbatterà sulle nostre società, più impaurite perché più vecchie, alimentando il razzismo e la chiusura culturale, oppure se diventerà un motore della crescita economica dell’Africa e la chiave di volta della conservazione del benessere dell’Europa. La buona notizia è che abbiamo davanti a noi un arco temporale di oltre quarant’anni per lavorare nella giusta direzione. Quella cattiva è che dobbiamo iniziare da subito, cercando di coagulare il consenso necessario qui e ora in vista di un vantaggio molto procrastinato nel tempo. Perseguire la stabilizzazione politica e lo sviluppo economico dell’Africa non è un atto di carità o di filantropia: è l’interesse strategico dell’Europa. E il primo passo consiste nello sforzo di trasformare i Paesi rivieraschi del Sud del Mediterraneo da serbatoi e trampolini di lancio delle carrette della disperazione, in partner economici e politici e in poli di irradiazione di sviluppo e crescita. Con la consapevolezza della dimensione dello sforzo, ma anche della rilevanza della posta in gioco. A fronte di questi numeri e di queste prospettive, l’importanza dell’Unione Euro-mediterranea varata dal presidente Sarkozy il 14 luglio di quest’anno emerge limpidamente. Non sarà semplice trovare il modo di coniugare tra loro un Nord, altamente istituzionalizzato, regionalizzato e integrato, e un Sud carente in tutte e tre queste dimensioni. Ma occorre capire che ciò che in un’ottica di corto respiro può appare un’impresa troppo ardua e costosa è, in effetti, il migliore investimento che potremmo fare. Per riuscirci, basta allungare un po’ lo sguardo, e tornare a concepire la politica come un investimento nel presente che ci consente di «guadagnare futuro». Cioè l’opposto dello spettacolo cui assistiamo - a volte allibiti, spesso rassegnati - in cui sembra che il futuro sia solo una cambiale da portare allo sconto, perché il nostro destino possa consumarsi in un presente senza fine. Vittorio Emanuele Parsi