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 2008  dicembre 18 Giovedì calendario

Perché Bill Gates è Bill Gates? E come i Beatles sono diventati i Beatles? C’è una ragione per il fatto che i più grandi campioni di hockey in Canada sono nati nella maggior parte tra gennaio, febbraio e marzo? C’è chi si è posto il problema di capire come mai alcune persone siano emerse, abbiano avuto successo, si siano trovate a essere oltre o fuori la norma

Perché Bill Gates è Bill Gates? E come i Beatles sono diventati i Beatles? C’è una ragione per il fatto che i più grandi campioni di hockey in Canada sono nati nella maggior parte tra gennaio, febbraio e marzo? C’è chi si è posto il problema di capire come mai alcune persone siano emerse, abbiano avuto successo, si siano trovate a essere oltre o fuori la norma. Quel qualcuno è Malcom Gladwell. Un giornalista, di successo. Di successo per il settimanale per il quale scrive: il «New Yorker», periodico che sotto la guida di David Remnick è diventato uno dei casi editoriali di questi ultimi anni, assieme all’«Economist » fa parte di quello sparuto gruppetto di magazine che settimana dopo settimana consolidano e aumentano le copie diffuse ormai ben sopra il milione. Il quarantacinquenne Gladwell a questo ci aggiunge il fatto di essere l’autore di un paio di libri che hanno anch’essi venduto milioni di copie: Il punto critico (Rizzoli) e In un battito di ciglia (Mondadori), il primo sull’importanza dei piccoli eventi in fenomeni che diventano di massa, il secondo sul pensiero che elabora elementi apparentemente laterali ma che possono aiutare a comprendere meglio la realtà. Sul capire che cosa porta una persona a essere fuori dal comune Gladwell ha scritto «Outliers. The story of success» (Little, Brown, 28 dollari) che in Italia uscirà alla metà del prossimo anno da Mondadori. Il libro ha una tesi precisa, apparentemente banale: le persone non emergono dal nulla; ci si deve chiedere quali vantaggi nascosti, quali eredità culturali, quali opportunità straordinarie hanno potuto avere per arrivare a pensare e vedere il mondo in modo così particolare che li ha portati a essere uomini o donne capaci di tirarsi fuori dalla media. Come in tutti i libri di Gladwell la pretesa di scientificità è messa da parte, piuttosto si preferisce indicare ai lettori strade magari intuite ma non razionalizzate. Qualcuno lo ha definito un lavoro da cocktail, utile cioè per discussioni a tavola o attorno a un bicchiere di vino, insomma poco profonde. Di sicuro il tono di Gladwell è di quelli che accompagnano, a volte attraverso numeri e statistiche, alla comprensione di storie, eventi, fenomeni, senza pretese di una scientificità più o meno presunta. Già, ma allora il successo? Da che cosa dipende? questione di fortuna? Bill Gates di sicuro era ed è ambizioso. Altrettanto sicuramente non gli manca il talento. Ma è solo una coincidenza l’anno di nascita? Il creatore della Microsoft è nato il 28 ottobre 1955, lo stesso anno di Steve Jobs (24 febbraio), e del capo di Google Erich Schmidt (27 aprile). Questo significa che tutti i signori dell’informatica al mondo sono nati in quell’anno? No di certo. Come altrettanto certamente i loro traguardi non dipendono solo ed esclusivamente dal merito. Ma forse anche da una serie di circostanze, come appunto avere l’età giusta quando si iniziano a vedere in America i primi computer. O il fatto che Bill Gates fosse nato in una famiglia benestante, e il circolo delle mamme alla quale sua madre apparteneva decise di far acquistare al campo di vacanze per i propri figli l’accesso a uno dei primi computer programmabili senza schede perforabili. Col successo c’entra anche l’applicazione. Probabilmente i Beatles non sarebbero diventati la band più famosa e celebrata della storia se un signore che controllava i club di Amburgo non avesse avuto l’abitudine di chiamare a suonare nei suoi locali gruppi musicali provenienti da Liverpool. Questo permise o costrinse, fate voi, i Beatles a fare anche sette serate a settimana, per un totale di oltre mille concerti in poco più di tre anni. Un termine di paragone? Oggi una band musicale in tutta la sua carriera arriva a farne massimo 200. Gladwell arriva a delineare anche una sorta di regola delle 10 mila ore: il tempo necessario di pratica per eccellere, per esempio in uno strumento musicale (e per di più in età scolare). Senza infine dimenticare il caso. Quello che fa sì che in Canada le selezioni per partecipare alle squadre junior di hockey inizino per i nati da gennaio. Questo in età attorno ai dieci anni avvantaggia enormemente, per questioni legate al maggiore sviluppo fisico, i nati nella prima parte dell’anno e quindi fa sì che nella nazionale e nelle squadre migliori canadesi ben oltre la metà dei giocatori sia nata nei primi tre mesi. Lo stesso Gladwell, nell’ultimo capitolo del libro, ritrova le radici dell’essere Malcom Gladwell nella storia della sua famiglia, di suo padre professore di matematica, della tenacia di sua nonna Daisy (alla quale è dedicato il libro) e soprattutto di sua madre Joyce, psicoterapista giamaicana, scrittrice, esempio di quanto conti, tra l’altro, l’aver avuto la fortuna di frequentare una buona scuola. Daniele Manca