L’ex miracolato americano di Glauco Maggi, La Stampa, 18/12/2008, pag. 35, 18 dicembre 2008
Serviti di barba e capelli i suoi clienti a New York, da dove ha rasato a zero i bilanci di enti benefici, società d’investimento e privati di mezzo mondo, Bernard «Bernie» Madoff volava a Palm Beach, Florida, dal suo parrucchiere di fiducia all’Everglades Barber Shop
Serviti di barba e capelli i suoi clienti a New York, da dove ha rasato a zero i bilanci di enti benefici, società d’investimento e privati di mezzo mondo, Bernard «Bernie» Madoff volava a Palm Beach, Florida, dal suo parrucchiere di fiducia all’Everglades Barber Shop. Si trattava bene anche lui: 65 dollari per il taglio, 40 per la barba, 50 la pedicure e 22 la manicure, l’ultimo conto di un paio di settimane fa. «Per me era un gentleman», ha detto Senio Figliozzi, che da 17 anni lo ha avuto come cliente. Solvente. L’inverno al sole, per il Thanksgiving di novembre e le altre feste comandate, è un rito dei newyorkesi influenti, che fa rima con «jewish», ovvero ebrei, soprattutto nell’enclave dell’Upper East Side dove, sinogoga e famiglia, si è consumata l’esistenza normale del perverso samaritano. Tanto buono da fare beneficenza in proprio, quanto diabolico nel truffare senza pietà, fondazioni ed enti di carità, amici e parenti, figli compresi. Settanta anni, patriarca che amava circondarsi di familiari adoranti e grati, Bernie li ospitava volentieri sul suo yacht in legno da 16 metri, costruito dalla Rybovich & Sons di Riviera Beach e pagato 462mila dollari del 1977. Lo aveva chiamato «Bull», Toro, trasparente e banale accenno alla sua carriera di uomo del parterre, di scalatore delle tappe del successo a Wall Street: l’unica concessione alla vanità, per un uomo che non aveva bisogno di pubblicità pacchiana. Parlavano per lui gli status symbols più classici. Come la villa da 21 milioni sulla Intracoastal Waterway a un chilometro e mezzo dal Palm Beach Country Club: regolare frequentatore, Bernie era un golfista rispettato. Oppure la casa di campagna a Roslyn (New York State) e l’appartamento a due piani in città nel palazzo in mattoni sulla Park Avenue all’angolo con la 64a Strada: comprato nel 1990 per 3,25 milioni, ne vale oggi nove. O la frequentazione estiva delle Portofino d’America: aveva un’abitazione di proprietà fronte mare a Montouk, sulla punta di Long Island e faceva cene in allegria compagnia della moglie, e degli amici-investitori, al «At the Palm», bisteccheria «giusta» di East Hampton, dove si riservava il tavolo presso la vetrata. Una bella brigata che incarnava i valori positivi della famglia. La moglie è quella di una vita, Ruth: sposata sui 25 anni, quando lui ancora non era nessuno, e sempre al suo fianco. E’ lei che ha co-firmato con il fratello Peter l’assegno di cauzione da 10 milioni per evitargli di attendere in galera il suo verdetto. Madoff da ieri è agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico (e anche alla moglie è stato ritirato il passaporto). La leggenda che accomuna tanti miracoli americani inizia quando Bernard, nato nel 1938 anni a New York in una famiglia ebrea, si diploma alla Hofstra University di Long Island (quella che di recente ha ospitato uno dei dibattiti tra Obama e McCain; Madoff ha fatto parte del trust dei sostenitori fino alla settimana scorsa). A 22 anni, mette in piedi la sua piccola società di investimenti con i 5mila dollari guadagnati d’estate, installando innaffiatoi nei prati delle ville dei ricchi e facendo il bagnino: la chiama Bernard Madoff Securities Investments e la farà crescerà fino allo scoppio recente, arruolandovi tutta la famiglia. C’è posto per il fratello Peter, 62 anni, che diventa, ironia dei titoli, capo dell’ufficio reclami. Poi per i due figli che vi entrano poco più che ventenni, finiti gli studi: Mark, 44 anni oggi e Andrew, 42. E’ a loro, pare, che abbia confessato che «è tutta una grande bugia», la settimana scorsa. I figli sono corsi dall’avvocato e poi all’Fbi, che ha arrestato il papà e messo i sigilli alla ditta. Pure la figlia di Peter, Shana, nipote di Bernie, che era stata assunta come legale appena conclusi gli studi in legge, ha perso il lavoro. Finora il capostipite ha sostenuto di essere la sola anima nera dell’imbroglio, tesi avvalorata dal fatto che pure Mark e Andrew sarebbero sul libro truccato dei clienti fregati e avrebbero perso milioni. Ma ieri il Wall Street Journal ha riferito della relazione d’amore, sfociata nel matrimonio, tra Shana e l’avvocato Eric Swanson, che lavorava alla Sec negli anni in cui un gestore concorrente aveva denunciato alla Consob americana l’attività di Madoff descrivendola «un colossale schema truffaldino». L’avviso è di dieci anni fa, e i due sono sposati dal 2007, un anno dopo che Swanson ha lasciato la Commissione di vigilanza, ma sicuramente questa traccia sarà materia delle indagini dei prossimi giorni. E’ stato lo stesso presidente della Sec attuale, Christopher Cox, ad ordinare una revisione delle verifiche senza risultati fatte alla Madoff negli anni passati dalla Sec, prima del suo arrivo. Dandone l’annuncio, ha già ammesso in pratica un «mea culpa»: lo scandalo della gestione finta poteva insomma essere smascherato prima. Il flirt tra nipotina ed ispettori è alla base della cecità della Sec? E’ un giallo nel giallo. Certo, se quel 17° piano usato quasi in segreto da Bernie, sotto i due altri occupati dalla Madoff nel palazzone a forma di rossetto (Lipstick Building) sulla Terza Avenue fosse stato perquisito con rigore nel 1999, alla prima denuncia, il fasullo Toro sarebbe stato stoppato con danni minori. Ora ci sono 50 miliardi di buco e «non c’è una spiegazione innocente», ha detto il truffatore agli increduli inquirenti. Le vittime, nella faccenda, sono lo specchio della vita del maxi-imbonitore. Usando le connessioni radicate con la comunità ebraica di cui è stato esponente di grido per mezzo secolo, Madoff ha messo a frutto i primi successi da operatore-innovatore a Wall Street. Propugnava gli scambi elettronici quando c’erano ancora le grida, e guadagnò la stima dei dealer che arrivarono a eleggerlo presidente del board del Nasdaq nei primi Anni Novanta. Con simili precedenti è stato un gioco sfondare nei circoli della beneficenza e in quelli della politica. Dopo tutto, era un grande benefattore. Selezionava con calcolo luciferino i suoi clienti, per far sembrare un privilegio mettere i soldi presso di lui. Psicologo dei comportamenti e astuto finanziere, sapeva che il segreto tra la clientela ricca è di garantire poco ma sempre, quel 10% che i Bot non danno ma che arriva anche negli anni in cui il Dow e il Nasdaq vanno a rotoli. Riservato e misterioso, erano le sue donazioni a parlare. Dava a tutti, anche ai politici: i senatori Democratici dello Stato di New York Charl Schumer e del New Jersey Frank Lautenberg sono stati i massimi beneficiari, per anni. Hanno già promesso di restituire i contributi ricevuti. Ma anche qualche repubblicano minore, in passato, ebbe fondi da Bernie e dalla moglie Ruth: perchè gli affari e gli affaristi, in America, è più prudente che siano bipartisan. Oggi si sa che i soldi elargiti erano l’esca per attrarre capitali ben più consistenti nelle casse con il buco della Madoff. Piangono gli enti di beneficenza, dalla Elie Wiesel Foundation for Humanity, 37 milioni persi, alla Shapiro Family Foundation che ce ne ha rimesso 145 milioni. E poi le Jewish Federations di Washington e Los Angeles e decine di altre. Le banche, oltre a piangere, arrossiscono: Tremont, Santander (ola più esposta, allo stato, con 2,3 miliardi di euro), Pioneer (Unicredit), Nomura, BnP Paribas, Societè General, Mediobanca e tante altre, costrette a spiegare ai clienti che sono state abbindolate.