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 2008  dicembre 18 Giovedì calendario

Sarà la regina del soul Aretha Franklin a dare il la alla prima presidenza afroamericana della storia degli Stati Uniti

Sarà la regina del soul Aretha Franklin a dare il la alla prima presidenza afroamericana della storia degli Stati Uniti. Dopo settimane di dibattiti, fribillazioni e indiscrezioni ieri il Comitato per l’Inauguration ha annunciato i pezzi forti del programma. Lady Soul, nata nel pronfondo Sud, a Memphis, nel 1942, una delle voci simbolo dell’America nera, canterà subito dopo un discorso del reverendo Rick Warren.  stata la senatrice democratica Dianna Feinstei a svelare ieri i primi dettagli di una serata destinata a passare alla storia: «Sono lieta di annunciare una superba formazione di partecipanti alla cerimonia inaugurale del 2009 - ha detto a nome del comitato -. Il giuramento del presidente eletto Barack Obama sarà un evento di proporzioni storiche. necessario che il programma includa alcuni degli artisti più famosi». Subito dopo la Franklin si esibirà il violoncellista Yo-Yo Ma - che Obama aveva citato tra i suoi musicisti preferiti in una intervista a Rolling Stone: proporrà un brano del compositore statunitense John Williams, conosciuto per le colonne sonore di E.T. e Guerre Stellari. Seguirà il discorso inaugurale di Obama; poi la poetessa Elizabeth Alexander reciterà alcuni versi e, a conclusione della cerimonia, prima dell’inno degli Stati Uniti, ci sarà la benedizione del pastore nero Joseph E. Lowery. Sistemati i pezzi forti, resta ancora aperto il toto-ospiti. Shakira ha già fatto sapere che ci sarà, Beyoncé si è detta «pronta a fare la sua parte», e suo marito Jay-Z, come Mary J. Blige e Sean «Diddy» Combs, si aspetta di certo un invito di risarcimento, visto che la sera della vittoria elettorale, a Chicago, lo staff del candidato lo tenne lontano dal palco. L’inaugurazione presidenziale è un passo delicato, foriero di grandi successi d’immagine e di disastri inimmaginabili. Per citare i due esempi estremi, John Kennedy inaugurò nel 1961 con un sofisticato ricevimento organizzato da Frank Sinatra, il che fu senza dubbio segnale di buon gusto in fatto di musica ma non alleggerì, a posteriori, certi sospetti sui rapporti fra il primo presidente cattolico e la mafia: tra i partecipanti Leonard Bernstein, Ella Fitzgerald, Mahalia Jackson, più Laurence Olivier e Fredric March. Del debutto a Washington di George W. Bush, invece, si ricorda soprattutto un goffo ancheggiamento in stile latino del commander in chief accanto a Ricky Martin. Bill e Hillary Clinton al primo mandato ricevettero l’omaggio di un Bob Dylan in cappello da cowboy davanti al Lincoln Memorial: la canzone era l’appropriatissima Chimes of Freedom, campane di libertà, e basta cercare il filmato su YouTube per verificare quanto si fosse divertita ed emozionata, quel giorno, la supercoppia di baby boomers. Dopo il quasi endorsement di quest’autunno («con questo candidato le cose possono davvero cambiare»), pare probabile che l’enigmatico signor Zimmerman possa di nuovo ripassare per Washington: quel giorno, casualmente, non sarà neppure impegnato con il Neverending Tour. Ma è ovvio che, nel caso di Barack, la faccenda si fa particolarmente cruciale. Come primo presidente nero dell’Unione, Obama porta su di sé l’onore e la responsabilità di traghettare nella storia ufficiale della Casa Bianca il patrimonio della black music. Risultato: vogliono esserci tutti, e non tutti potranno stare nella scaletta. Ce la farà Spike Lee, al quale forse saranno affidati compiti organizzativi. molto probabile che Obama non voglia rinunciare a Stevie Wonder, da lui citato come il suo «musical hero» (e in quell’occasione rivelò anche che nel suo iPod ci Sono Dylan e Beyoncé, Miles Davis e Charlie Parker, Howlin’ Wolf, Sheryl Crow). Il Chicago Sun-Times suffraga la candidatura di una pattuglia di concittadini: il rapper Kanye West, i Wilco, la leggenda del soul Mavis Staples; e non gli dispiacerebbe che, quel giorno, venisse eseguita «Sweet Home Chicago», cavallo di battaglia dei Blues Brothers. Molti scommettono su chi si vedrà sul palco in rappresentanza dei democratici bianchi: primo fra tutti Bruce Springsteen, che a Barack ha già regalato proprio in finale di campagna un utilissimo concerto a Cleveland. Ma che cosa farà poi, tutta quella gente, una volta on stage? Anche su questo tema si scatenano le aspettative del pubblico. Il mensile «Wired» sta conducendo un sondaggio on-line sulla canzone che la nuove generazione internettiana vorrebbe come inno del Camelot di nuovo millennio. Al momento sono in testa «Never Gonna Give Up» di Rick Astley, «Beautiful Day» degli U2, «Redemption Song» di Bob Marley e «Imagine» di John Lennon. Ma subito dietro si affaccia la buona, vecchia «America the Beautiful»: basta però che la canti Ray Charles.