Esplode lཿira nel Pd ཿUn direttorio e via gli inquisiti di Federico Geremicca, La Stampa, 18/12/2008, pagg. 6-7, 18 dicembre 2008
Livia Turco è un fiume in piena, quasi urla al centro del Transatlantico di Montecitorio e dentro questa giornata di paura e di passione offre il suo volto a rappresentare quel pezzo di Pd che soffre, e che soffre davvero: «Io sono una che questo Paese lo ha governato
Livia Turco è un fiume in piena, quasi urla al centro del Transatlantico di Montecitorio e dentro questa giornata di paura e di passione offre il suo volto a rappresentare quel pezzo di Pd che soffre, e che soffre davvero: «Io sono una che questo Paese lo ha governato. E lo ha fatto in una trincea difficile, la sanità; che significa appalti, concorsi, nomine, spostamenti di primari... Quindi, per cortesia: se dico che c’è modo e modo di governare, e uno di questi è farlo onestamente, non mi si risponda che sono un’ingenua o una specie di Alice nel paese delle meraviglie. Da ministro io ho accettato soltanto caffè e bicchieri d’acqua minerale: e rifiutavo perfino appuntamenti, se sentivo puzza di bruciato. So che in certi ambienti dicevano di me che ero o cretina oppure arrogante: fa niente, meglio così. Ma allora, se si può governare onestamente, per restare in questo partito io pretendo che sia così. Chi governa con correttezza, bene; altrimenti fuori. Oppure fuori ci ritroveremo noi...». L’aria è pessima, il clima pesante. Le agenzie battono nuove micidiali notizie in arrivo da Napoli. Voci incontrollate si rincorrono: c’è dentro Lusetti, c’è dentro Bocchino, c’è dentro Rutelli, dicono che ora tocchi alla Iervolino... Un pantano nauseabondo: ormai del tutto identico alla palude del drammatico inverno del ”92, l’anno di Tangentopoli, cominciata con l’arresto di un «mariuolo»... Un pezzo di Pd soffre, e soffre davvero. Un altro pezzo ragiona, ricostruisce, seziona: e proprio come nel ”92, elenca stranezze, non vede chiaro, non pronuncia la parola complotto ma la parola «regia», quella sì. E non è che il pezzo di Pd che ragiona sia opaco, personalmente impaurito, colluso, connivente e via così. Prendete Pierluigi Castagnetti, amico di Prodi, uomo mite e presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera . Appoggiato allA parete attaccapanni di uno dei corridoi laterali di Montecitorio, dice: «Certo, ha ragione chi chiede che il Pd reagisca subito. Io, per esempio, credo che gli inquisiti dovrebbero dimettersi: e se non lo fanno loro, tocca al segretario intervenire. Prima, la difesa del partito precedeva ogni altra considerazione... Me lo ricordo perfettamente il ”92, ero capo della segreteria politica di Martinazzoli e col governo Amato un giorno sì e l’altro pure noi della Dc dovevamo far dimettere qualche sottosegretario». Si ferma un attimo, poi riprende. «Però mi interrogo. Un arrestato il lunedì, un altro il martedì, altri ancora il mercoledì... C’è qualcosa che non quadra. Per esempio: mi sono documentato bene sul caso dell’onorevole Margiotta, e mi chiedo come è stato possibile chiederne l’arresto. Ho studiato l’inchiesta e non dico datemi una prova, perché capisco che di questi tempi è chieder troppo: ma un indizio, almeno un indizio... Mi chiedo cosa ci sia dietro, e non escludo affatto che le cose possano stare come sostiene qualcuno nel centrodestra. Per esempio l’avvocato Pecorella: si comincia a parlare di riforma della giustizia ed ecco scattare le manette...». Un complotto. La «Velina rossa» ieri lo diceva in chiaro: «Si tratta di una vera e propria regia messa in atto da quando alcuni esponenti del Pd hanno espresso, con articoli e dichiarazioni, l’urgenza di arrivare ad una riforma della giustizia». Complotto, regia: ed è dunque questa la trincea nella quale si è calato il pezzo di Pd che ragiona. Ma naturalmente, oltre al Pd che ragiona ed a quello che soffre davvero, c’è un pezzo di Pd che scalpita, che è critico col quartier generale, che chiede interventi immediati, al di là di complotti e regie. Sergio Chiamparino dice all’Espresso: «La situazione è drammatica, serve un segnale di straordinarietà: un Gabinetto di crisi che guidi il Pd nei prossimi mesi». Gianfranco Pasquino, politologo bolognese, avanza una proposta simile: «Un direttorio composto da persone che fanno un servizio al partito, senza chiedere cariche per il dopo». Gabinetto di crisi, direttorio: o addirittura un «comitato rivoluzionario», come dice Marco Minniti, uno che sta seduto sul vulcano - essendo segretario regionale del Pd in Calabria - e che ha la faccia scura almeno quanto l’abito grigio che solitamente indossa. «Tagliare delle teste - dice - tentare di utilizzare questa terribile occasione per rinnovare dove c’è da rinnovare. Quanti capicorrente ha il Pd? Cinque, sei, sette? Bene: si riuniscano, chiamino chi devono chiamare e li convincano che è l’ora di lasciare: pena la distruzione del partito. Lo so, non è facile. C’è la presunzione d’innocenza, i rapporti personali, una legittima preoccupazione politica... Lo so che non è facile, perché io l’ho fatto: in primavera, in Calabria ho messo fuori dalle liste personaggi discussi o inquisiti. Avremo perso qualche voto, certo: ma abbiamo lanciato un segnale, e adesso di notte possiamo dormire tranquilli. Almeno spero...». Insomma, agire. Difendersi. Oppure attaccare. Ma fare qualcosa, piuttosto che sprofondare nelle mefitica palude. Questo chiedono le anime del Pd, e soprattutto i suoi elettori. E invece la giornata si chiude con il sindaco di Napoli che, concluso l’incontro romano con Veltroni, dice: «Ho annunciato con orgoglio che intendo andare avanti». La sua giunta - avvisi di garanzia, dimissioni, arresti e suicidi - è falcidiata. Ma non c’è da scandalizzarsi. «La questione morale - dice - esiste in tutto il mondo. Un senatore democratico non ha forse cercato di vendere il seggio di Obama?». Nulla da aggiungere. Sipario.