La voce e gli scoppi di Zeri, la Repubblica, pagg. 40-41, 18/12/2008, 18 dicembre 2008
Scrivere lettere. Negli ultimi anni per Zeri era diventato un lavoro dannato. Giulio, l´autista-giardiniere-custode, si presentava al mattino alle Poste di Monterotondo, caricava le lettere e i pacchi, li riversava a Mentana sul piano di porfido che era la scrivania di Zeri
Scrivere lettere. Negli ultimi anni per Zeri era diventato un lavoro dannato. Giulio, l´autista-giardiniere-custode, si presentava al mattino alle Poste di Monterotondo, caricava le lettere e i pacchi, li riversava a Mentana sul piano di porfido che era la scrivania di Zeri. Ingombranti e imperiose, montagne di lettere e foto reclamavano una risposta. Quesiti incombenti, non eludibili, sui quali il professore affaticava il cervello e il suo occhio. Non era sempre stato così. Le lettere spesso avevano segnato il tracciato di un incontro intellettuale o scandito ricerche che allo studioso stavano a cuore. (...) Tra il 23 luglio 1955 e il 1 luglio 1980, 234 documenti (lettere per lo più, qualche telegramma e qualche cartolina illustrata) si scalano a comporre il carteggio tra Federico Zeri e la sua casa editrice nelle persone di Giulio Einaudi, Giulio Bollati, Paolo Fossati. Con l´eccezione di due - brevissime, scritte a mano � le lettere di Zeri sono battute a macchina sulla vecchia Olivetti lettera 22, il nastro un po´ logoro, i caratteri grevi e troppo inchiostrati. Nessuna riserva, da parte di Zeri, sull´adozione di un mezzo meccanico che l´élite culturale faticava a introdurre nella corrispondenza privata, immaginando arcane simmetrie fra soggettività e scrittura manuale. Zeri al contrario predilige la tastiera, le sue sequenze spaziate, leggibili, che avvicinano la scrittura al parlato. La macchina permette di produrre all´istante una copia del testo battuto, ed è anche questa ragione pragmatica a orientare la scelta di Zeri. Il quale poi, eccessivo e acrobatico, batte a macchina a volte su rigidissime cartoline illustrate, non malleabili al passaggio del rullo. La scrittura è funzionale, moderna. Ruvida quasi, lontana dal protagonismo longhiano e da quella coscienza della recitazione che pure è parte del vissuto di Zeri. (...) Negli anni del dialogo con la sua casa editrice Zeri si spende su fronti diversi anche se, subito, la prima lettera introduce il tema sul quale il rapporto si fonda (e poi si consuma). Zeri entra in scena come autore Einaudi, nella fase di ingaggio per il libro Pittura e Controriforma. il 23 luglio 1955 ed è quel libro (uscito nel 1957) e poi Due dipinti, la filologia e un nome (1961) e Diari di lavoro II (1976) e la lunga gestazione della Storia dell´arte italiana (l’ultimo dei nove volumi curati da Zeri uscirà nel 1983) a costituire l´asse portante della corrispondenza, che apre su stanze laterali e private. (...) L´impressione che si fa strada, lettera dopo lettera, è di una solitudine intellettuale, di una condizione amara di isolamento, al di là di viaggi, incontri, impegni professionali di grande prestigio. Zeri fatica a trovare un interlocutore. Non è Giulio Einaudi, destinatario delle prime lettere, distante, formale, troppo somigliante all´Ipsissimus su cui scherzava Gianfranco Contini. E non sarà Paolo Fossati, che subentra alla fine, instaurando un rapporto costruttivo ed efficace - va in porto con lui la Storia dell´arte italiana - ma timido e reticente sul piano delle idee. Quelle idee che, nel ricordo divertito di Natalia Ginzburg, già Cesare Pavese, nell´ufficio Einaudi, sembrava fuggire come la peste: «Qui non c´è bisogno di idee! Ne abbiamo anche troppe di idee! ...Che bisogno c´è di proposte? Siamo pieni di proposte fino al collo!». Il solo interlocutore sarà Giulio Bollati. (...) Zeri, nell´arco di tutto quel tempo, ad avere una funzione di traino: mette in campo ricerche e progetti (sono gli anni della Storia dell´arte italiana e dei suoi furori ariosteschi, sferzanti e criptati, nei confronti di Giovanni Previtali), denuncia fallimenti e sconfitte (i suoi libri mancati: Il Trecento riminese; il volume su Carlo Crivelli, anzi su «Carlo, Vittore, Pietro Alemanno e il fenomenale Nicola di Ancona»), segnala instancabilmente dei testi, che l´Einaudi avrebbe potuto tradurre rompendo steccati disciplinari e ideologici. (...) Le lettere, secche e stringate come del resto erano le telefonate mattutine del professore che detestava il pensiero "lutulento", hanno sbalzi e stoccate improvvise. Dai cannoni di Mentana � a guardia della villa di Federico Zeri - palle di fuoco vengono lanciate contro Calvino, Roberto Longhi ("l´Iniquo"), André Chastel («il librone sulla Firenze di Lorenzo il Magnifico... un vero mattone erudito ...Per carità non lo stampate!»), Giovanni Previtali, Eugenio Battisti, Umberto Eco («sto combattendo con U. Eco, molto interessante ma scritto alla maniera delle Sibille»). una scrittura poco letteraria, che procede a scoppi e che tiene svegli. Anche se sempre si deve ricordare che alto è il tasso di spettacolarizzazione nella voce recitante di Federico Zeri. Il carteggio dunque, scabro ed aritmico, conosce impennate d´intelligenza e anche di sentimenti, filtrati da forte pudore. Succede con l´arrivo di Giulio Bollati - 13 luglio 1956 - che imprime allo scambio di lettere un´accelerazione culturale e affettiva: Zeri (...) avverte la solidarietà di Bollati. A lui si confessa in una lettera del settembre 1956 cruda e programmatica (la lettera è pubblicata qui sotto, n.d.r.), che dice molto del suo modo di fare ricerca, della sua attitudine sperimentale, non accademica, filologica e quasi artigianale. E dice molto anche dell´onestà intellettuale di Zeri che, pur volendo ridisegnare il quadro della storia dell´arte italiana, non cede alle schematizzazioni e difende un montaggio per argomenti rigorosamente fondati su connoisseurship e ricerca (e su materiali nuovissimi personalmente cercati: «La fortissima spesa della raccolta del materiale illustrativo, dei viaggi ecc., sarebbe tutta a mio carico»). (...) Il rapporto fra Zeri e Bollati si stringe: progetti, curiosità e un´informale franchezza. (...) Fatalmente, fra Zeri e Bollati, sarà vera amicizia. Un´amicizia siglata, nell´autunno del 1970, dal passaggio confidenziale al tu, così esotico a Zeri. nel rapporto con Giulio Bollati che si fanno strada, con molto ritegno, i rari squarci sul privato di Zeri: «Passo un momento di isolamento� sto facendo del tutto per trovar casa in campagna ed andare via da Roma definitivamente...», « ...la mia incapacità a scrivere», «...non posso continuare questa vita da girovaghi, e sono così stanco che passo intere giornate al buio, pensando a come sarebbe bello fare solo quello che si vorrebbe... nel caso mio i libri in questione». Indizi, piccole tracce di una solitudine anche intellettuale che mi colpì in una lettera del 1990. Segnalavo a Zeri l´articolo del Burlington Magazine sul kouros famoso comprato dal Getty Museum di Los Angeles nel 1983 per sette milioni di dollari e smascherato come falso a distanza di anni: «Grazie per il Burlington Magazine: l´ho letto con vero piacere. Peccato che io non sia citato, anche se fui il primo a denunciare il falso, quando era ancora nella cassa di imballaggio». A Zeri - che era allora l´unico europeo fra i trustees del Getty Museum e per di più storico dell´arte, non archeologo - non era stato perdonato di avere espresso troppo presto un giudizio fulminante, in spregio ai confini delle competenze. Venne cacciato. Grandezza di Federico Zeri (e del suo infallibile occhio), che nell´ironia stemperava l´amarezza della sua condizione solitaria di outsider.