Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 18/12/2008, 18 dicembre 2008
Fabrizio Dragosei intervista l’oligarca russo Vagit Alekperov MOSCA – E’ a capo della più grande società privata russa, la Lukoil, terza compagnia petrolifera privata al mondo per estrazione (96 milioni di tonnellate di greggio nel 2007)
Fabrizio Dragosei intervista l’oligarca russo Vagit Alekperov MOSCA – E’ a capo della più grande società privata russa, la Lukoil, terza compagnia petrolifera privata al mondo per estrazione (96 milioni di tonnellate di greggio nel 2007). Vagit Alekperov, 58 anni, è nel petrolio da una vita: una carriera iniziata da operaio, che lo ha portato a ricoprire l’incarico di vice-ministro del petrolio e gas dell’ Unione Sovietica. Poi, con lo scioglimento dell’Urss, ha creato la Lukoil e ne è diventato il maggior azionista. Domani si inaugurano a Roma gli uffici della Lukoil Italia, società che deve gestire la partecipazione dell’ azienda russa nella joint venture creata da poco con la Erg dei Garrone per la raffineria ISAB in Sicilia. Un primo passo in vista di ulteriori acquisti sul mercato italiano? Vedremo il simbolo Lukoil sui nostri distributori? «E’ possibile. Se l’accordo andrà bene, potremo pensare a ulteriori iniziative e a nuovi partner per la vendita diretta». Ma la crisi mondiale ha colpito anche voi. Non dovrete rivedere i progetti di espansione? «Certamente la crisi è pesante. L’accordo con la Erg in Italia e l’acquisto della Akpet in Turchia erano impegni già presi. Altre cose le abbiamo rimandate. Oggi la Lukoil ha pochi debiti, riteniamo di essere finanziariamente stabili. Abbiamo rivisto i nostri conti per il 2009 e abbiamo elaborato un budget con il petrolio a 50 dollari il barile. In questa situazione molti progetti dovranno aspettare, come quelli sulla piattaforma marina nell’estremo Nord della Russia che hanno costi di estrazione elevatissimi». Cinquanta dollari è una previsione realistica? «Penso che il prezzo si stabilizzerà a un livello equo per produttori e consumatori. Alla riunione dell’Opec di ieri è stato invitato anche il vice-premier russo Igor Sechin». Quale è secondo lei un livello ragionevole? «Quello attuale non consente di lavorare in alcuni giacimenti e di effettuare nuove ricerche in condizioni particolari. Credo che il prezzo giusto sia tra i 70 e i 90 dollari». Vede un’alternativa agli idrocarburi nel prossimo futuro? «L’umanità deve prepararsi all’idea che l’era del petrolio prima o poi finirà; dobbiamo cercare altre fonti di energia. Ma per far questo occorrono investimenti colossali che il basso prezzo del petrolio blocca. Ci vuole un intervento diretto e sostanziale degli Stati». E il ruolo delle grandi compagnie petrolifere? «Concentrarsi al massimo sull’estrazione, visto che fino ad oggi tiriamo fuori dal sottosuolo solo il 30-40% degli idrocarburi che ci sono. E poi dobbiamo applicare tecnologie per il risparmio energetico. Noi spendiamo molto in queste due direzioni». In primavera lei era al nono posto tra i russi più ricchi con un patrimonio di oltre 12 miliardi di euro. La crisi gliene ha portati via nove. «Tutto quello che è accaduto è relativo. Ero azionista della Lukoil quando le azioni valevano due dollari; poi sono salite a cento e ora ne valgono 40. Il mio obiettivo non è il guadagno immediato, ma la creazione di una delle più grandi compagnie del mondo. Anche gli altri maggiori azionisti sono stabili, hanno prospettive di lungo periodo. E poi la crisi ci offre anche delle opportunità ». Quali? «Quelle di analizzare quanto fatto fino ad oggi. Rivedere i costi di produzione, ottimizzare i progetti». Cosa risponde a chi la definisce un oligarca? «Che queste definizioni lasciano il tempo che trovano. Io ho dedicato la vita a una sola causa: servire la patria e l’industria petrolifera. Sono partito come operaio e ho finito per essere uno degli uomini più ricchi. La nostra compagnia ha sempre mantenuto le distanze dalla politica; siamo dei tecnocrati e le autorità statali ci hanno sempre apprezzato. Io ho decorazioni dell’Urss e della nuova Russia». E i suoi colleghi che hanno fatto fortuna negli anni Novanta acquistando a pochi soldi asset statali dati in pegno dal governo di allora che era indebitatissimo? «In quegli anni ognuno ebbe delle carte e le ha giocate come meglio ha creduto ». Lei è stato lontano dalla politica. Cosa pensa di Mikhail Khodorkovskij, l’ex patron della Yukos che è ancora in un carcere siberiano? «Certamente lo compatisco, perché abbiamo lavorato assieme in passato. Gli eventi che hanno portato guai a lui e alla sua famiglia suscitano rammarico». Molti ritengono che lo sviluppo dell’ economia sia legato indissolubilmente a quello della democrazia. E’ così anche in Russia? «La regola vale ovunque, ma bisogna ricordare quello che accadeva nel Duemila: i clan di oligarchi, le regioni che proclamavano la loro autonomia, il terribile problema ceceno. Il paese era squilibrato e Vladimir Putin ha dovuto affrontare problemi enormi per tenerlo assieme e migliorare le condizioni di vita della gente. Ha portato a termine questo compito; con quali metodi è una questione secondaria. E’ tutto merito suo. Ed è stata una sua decisione il non cambiare la Costituzione per assicurarsi un terzo mandato presidenziale. Il paese lo avrebbe eletto per acclamazione». Lei vede un futuro nella UE per la Russia, come vorrebbe Berlusconi? «Può essere che si vada in quella direzione. Nel frattempo, però, occorre togliere gli ostacoli agli scambi, come quello dei visti, perché i contatti tra Europa e Russia sono continui». Perché ha scelto di investire in Italia? «Per la potenzialità dell’ISAB e per la sua localizzazione. E poi è in grado di raffinare il petrolio Urals che noi abbiamo in quantità ». Pensate di esercitare l’opzione ed aumentare la vostra quota azionaria? «Abbiamo ottimi rapporti con la famiglia Garrone e con gli amministratori; conoscono il mercato italiano, hanno una vasta rete di distributori. Oggi non poniamo questa questione: vogliamo lavorare bene con i partner e diventare familiari per i consumatori italiani. In futuro si vedrà». L’accordo con l’ERG ha creato problemi nei vostri rapporti con l’Eni? «Assolutamente no. Ho rapporti storici con loro, da quando nel 1989 ero vice-ministro. Abbiamo collaborato in tante iniziative, dal Caspio all’Africa del Nord». Farete altre acquisizioni in Italia, magari in settori diversi? «No, la nostra compagnia è in fase di ristrutturazione. Stiamo abbandonando i settori collaterali. Ci concentriamo su prospezione ed estrazione, trasformazione e vendita, petrolchimico, energia». E la spagnola Repsol? Il governo russo ha appena promesso il suo sostegno politico. «Esaminiamo sempre in maniera molto approfondita qualsiasi progetto di acquisizione. Per la Repsol non abbiamo preso ancora nessuna decisione, anche se ci sono stati contatti e discussioni. Se decideremo, lo faremo pubblicamente, tenendo conto dell’ opinione dei nostri azionisti». Fabrizio Dragosei