Se la teconologia manda in tilt il cervello di Elena Dusi, la Repubblica, 18/12/2008, pag. 37, 18 dicembre 2008
ELENA DUSI PER LA REPUBBLICA DI GIOVEDI’ 18 DICEMBRE 2008
Due più due non fa quattro. Ci illudevamo che chiedendo al cervello di svolgere due compiti insieme potessimo dimezzare il tempo necessario ad arrivare in fondo al nostro lavoro. Se leggere una mail fa "accendere" un certo numero di neuroni nell´area visiva del cervello e parlare al cellulare ne attiva altri in quella uditiva, fare le due cose contemporaneamente poteva magari raddoppiare la nostra velocità di pensiero.
Ma al caro vecchio cervello, che è capace di adattarsi ai tempi moderni ma nella sua struttura rimane uguale a se stesso dall´età della pietra, questo calcolo pare non tornare. Per andare più veloce, ha bisogno di rallentare. Nel libro "The overflowing brain", il neuroscienziato svedese Torkel Klingberg dimostra che accendere troppe luci insieme fa addirittura diminuire la luminosità complessiva del cervello. Il professore di neuroscienze al Karolinska Institutet di Stoccolma sostiene che la mente sviluppa la sua massima "capacità di fuoco" quando è concentrata in un´unica attività. Telefoni, mail e pop-up di Internet riescono ad eccitare con grande rapidità i nostri neuroni, ma senza attivare quel processo di memorizzazione che rende durature esperienze e conoscenze.
Andrew Leber, psicologo dell´università del New Hampshire, ha scritto in uno studio pubblicato il mese scorso su Proceedings of the National Academy of Sciences che focalizzando l´attenzione su un compito solo il cervello riesce a stivare le informazioni nell´ippocampo, l´area che si occupa di immagazzinare i ricordi e trasformarli in memoria a lungo termine. Quando invece si fanno fluire informazioni dai canali più diversi e per tempi molto brevi, ad attivarsi è il corpo striato, legato alle azioni ripetitive che non lasciano tracce profonde nei nostri ricordi. «Positiva o negativa che sia, la tendenza a svolgere molte attività contemporaneamente è la trasformazione più importante che il cervello deve affrontare oggi» sostiene Stefano Cappa, preside della facoltà di Psicologia all´università San Raffaele di Milano. «La capacità di adattamento varia da persone a persona. C´è chi ha bisogno di affrontare un solo compito alla volta e chi riceve una scossa dall´idea di dover combattere su più fronti, ricevendo continuamente stimoli nuovi».
Gloria Mark, che insegna informatica all´università della California a Irvine, due anni fa ha piazzato un suo studente in un ufficio con il compito di registrare le attività di tutte le persone. Il tempo medio di concentrazione su un unico compito variava dai tre agli undici minuti. Dopo la distrazione, il 40 per cento delle attività veniva abbandonato e nel resto dei casi occorrevano 25 minuti prima che l´attenzione tornasse al dossier chiuso in precedenza. Non è difficile intuire, suggerisce Klingberg, che l´efficienza complessiva di questo stile di lavoro (e di vita) è tutt´altro che ottimale.
«Il compito di smistare le attività e suddividere la capacità di attenzione fra le diverse aree del cervello - spiega Cappa - spetta al lobo frontale, una sorta di "comitato centrale" che fa il regista dei nostri comportamenti e delle scelte pianificate». Ma il potere del "comitato centrale" sta diventando eccessivo nelle nostre vite, sostiene Klingberg, che ha studiato la giornata tipo di un´impiegata svedese e ha calcolato che il tempo trascorso a leggere e scrivere mail e a organizzare la lista dei compiti da svolgere è superiore al tempo passato a svolgerli effettivamente, quei compiti.