Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  dicembre 16 Martedì calendario

Era d’estate, tanto tempo fa. Per l’esattezza, il 3 luglio 1968, Milano, studio del notaio Barassi

Era d’estate, tanto tempo fa. Per l’esattezza, il 3 luglio 1968, Milano, studio del notaio Barassi. Nasce l’Associazione Italiana Calciatori. Sembrava un atto simbolico, invece no, fu e diventò un fatto storico. Primo presidente, un avvocato veneto che si era ritirato da poco: Sergio Campana. Ieri, 15 dicembre 2008, è stato confermato per la decima volta. Sempre lui, solo lui, classe 1934, ex centravanti di manovra di Vicenza e Bologna. Record dei record. Pensate: fra i padri fondatori figurano Gianni Rivera e Sandro Mazzola, l’Abatino e il Baffo, il diavolo e l’acqua non proprio santa. I signori della staffetta messicana, divisi e diversi su tutto ma uguali e uniti attorno a quel rintocco di Campana. Quarant’anni. Per ora. Resiste la regina Elisabetta, ha ceduto Fidel Castro. Sono transitati quattro papi, sette presidenti e quaranta governi della Repubblica italiana. Giulio Onesti, al quale dobbiamo la più folgorante definizione dei presidenti delle società di calcio, «ricchi scemi», guidò il Coni per 34 anni: e solo una sentenza del Consiglio di stato lo obbligò al trasloco. Campana li batte tutti: persino Franco Carraro, che nel 1962, all’età di 23 anni, era già a capo della Federazione di sci nautico, ma che poi, fra una poltrona in Figc e una in Lega, avrebbe lasciato qualche briciola ai viandanti; e pure Antonio Matarrese, appassionato collezionista di cariche. Poco prima che Campana venisse eletto, a Los Angeles Shiran Shiran uccideva Robert Kennedy, fratello di John, assassinato nel 1963. Il presidente americano era Lyndon Johnson, oggi è Barack Obama. caduto il muro di Berlino, ci sono state Tangentopoli e Calciopoli, la democrazia cristiana non esiste più (forse) e la Juventus è scesa in serie B (sicuro). Ebbene sì, siamo di fronte a un tipo fortemente italiano, all’anomalia, tutta nostra, di un sindacalista che ha condotto i suoi iscritti a far parte del governo calcistico con tanto di voto attivo e passivo (dal 9 luglio 1999, decreto Melandri) e che spinge perché un ex calciatore, Demetrio Albertini possa un domani diventarne il presidente. All’estero succede già (Angel Maria Villar, Spagna; Michel Platini, Uefa), nei nostri cortili sarebbe la prima volta. L’ultimo mandato, incassato ieri, scade nel 2012. L’avvocato, che abita a Bassano del Grappa e non ha mai spostato la sede da Vicenza, ha detto di aver accettato per spirito di servizio, «Mi sento un presidente traghettatore, appena posso tolgo il disturbo». Appena posso: sono passati quarant’anni. Dicono che lo invidi persino Giulio Andreotti, l’inventore del «potere logora chi non ce l’ha». Eppure quell’avvocato ne ha fatta, di strada. E, soprattutto, ne ha fatta fare ai giocatori, che nel ”68 erano ancora oggetti e non soggetti, di proprietà del club e non proprietari di se stessi. All’inizio, il sindacato si fermava alla serie A e B: piano piano ha imbarcato serie C e dilettanti, per un totale di tremila affiliati. L’opinione pubblica mica vedeva di buon occhio la «lobby dei milionari». Sandro Mazzola fu minacciato addirittura dal direttore di un giornale sportivo, «se accetti, cavoli tuoi». Tanto per dire l’aria che tirava. Memorabili, quelle battaglie. Per la firma contestuale, per la pensione, per il diritto d’immagine e di voto, tra scioperi millantati, minacciati e realizzati (16 e 17 marzo 1996). Uno Spartacus di lotta e di governo, contro il sistema fino a quando non gli è saltato dentro: per mediare e controllarlo, ma anche perché potesse essere controllato meglio. Ha mandato i carabinieri al calciomercato per disperdere i mediatori, ha dato dignità a una categoria che spesso si butta via, dal calcio pane e salame della sua pubertà al calcio in mutande dei Plasmati (per confondere i portieri sulle punizioni) e dei Vucinic (per crassa euforia). «Detesto coloro che festeggiano i gol togliendosi la maglia, figuriamoci quelli che si calano le braghe. Grazie a Dio, domenica sera ho visto in tv Juventus-Milan: grande spettacolo e grande correttezza prima, durante e dopo». Naturalmente, lo hanno votato all’unanimità. Un capo del sindacato al governo, per «fare sistema», è una contraddizione in termini, un conflitto di conflitti. D’altra parte, il momento è grave, c’è la recessione, ci sono i club di A e B che continuano ad arruolare bebè stranieri, 462 nelle ultime tre stagioni, e non pescano più in serie C. Tagli ai campionati, stipendi in ritardo: Campana e la sua squadra, da Leo Grosso a Gianni Grazioli, devono sdoppiarsi, un po’ vertice e un po’ base. Si è «dimesso» una volta sola, e per non più di un giorno. Il 24 novembre scorso, festa dei Quarant’anni. Lo aspettavano a Milano per la messa cantata. A Bassano c’era la neve. Non riuscì a partire.