Fernando Savater, La Stampa 16/12/2008, 16 dicembre 2008
da molto, ormai, che mi sento dire, con un tono che mescola ammirazione e fastidio: «Non so dove trovi il tempo per fare tutto quello che fai»
da molto, ormai, che mi sento dire, con un tono che mescola ammirazione e fastidio: «Non so dove trovi il tempo per fare tutto quello che fai». E me lo domandano con tale insistenza che, a questo punto, me lo domando anch’io: dove trovo il tempo? La risposta non è molto convincente e quasi assurda: lo trovo dove non c’è. Ma, chissà, allora, che non sia meglio domandarsi un’altra cosa, per esempio se è vero che il tempo manca, che non abbiamo tempo, che il tempo è sempre insufficiente. un lamento antico. Uno dei classici libri su questo tema è La brevità della vita di Seneca. Secondo il famoso stoico (con sorprese epicuree, a dire il vero) la maggior parte di quanti lamentano la brevità della vita trascorrono metà del tempo dissipandola. La vita è troppo corta, dicono, eppure dedicano il proprio tempo a cose che non hanno nulla a che vedere con i loro autentici desideri, inseguono obiettivi volgari o sciagurati, mille attività che li rendono schiavi della sorte o dei capricci altrui. Questa vita così penosamente corta la fanno a pezzi senza scrupoli, la regalano o la vendono al miglior offerente, la perdono in occupazioni che li caricano di fatica e di affanni, ma che, alla fine, si rivelano totalmente estranee al loro modo di essere. La vita la vedono breve perchè non è mai loro, perchè la abitano - come chi indossa un abito avuto in prestito che non gli sta bene - perchè non sono mai protagonisti, ma semplici comparse nella farsa collettiva che interpretano strepitando inutilmente. Anticipando di parecchi secoli i nostri attuali dolori, Seneca fa una diagnosi abbastanza chiara di quello che, oggi, chiamiamo «stress», derivante, appunto, da un termine latino che significa schiacciare, premere sino a soffocare. Quel vecchio romano di Cordova era convinto che la maggior parte di quanti sperperano in tal modo quella vita che vedono così corta, la disperderebbero anche se durasse dieci o cento volte di più. Sono essi stessi a cercare, con impegno, tutto ciò che ruba il loro tempo, che gli impedisce di dedicarsi a se stessi e li stordisce in una frenesia dalla sfinente vertigine. Lavorano a più non posso, secondo loro per necessità e si divertono - anche se non l’ammettono - per obbligo: non fanno cose piacevoli, ma cose che tutti hanno loro detto che sono piacevoli, anche se li lasciano semidistrutti. Non guidano la propria vita, ma sono trascinati da essa senza pietà: per questo la sentono così estranea e, alla fin fine, si rendono conto che è terminata prima ancora che la vita vera abbia avuto modo di cominciare. Indubbiamente la prospettiva di Seneca è condizionata dal suo rango di ricco patrizio in una società schiavista. Il suo elogio dell’«otium» creativo è rivolto, essenzialmente, ad altri privilegiati come lui, ma sarebbe stato di scarso aiuto, allora, per quanti non potevano far altro che sfiancarsi, giorno dopo giorno, in occupazioni che ben poco avevano a che vedere con scelte volontarie o con capricci. E, ancora oggi, ci sono nella nostra società moltissime persone condannate ai lavori forzati che, difficilmente, possono concepire un tempo davvero libero da usare per raggiungere la perfezione personale o vivere la felicità d’un divertimento che elevi lo spirito. Restano, comunque, nelle riflessioni di Seneca parecchi elementi che possono tornarci utili ancora adesso. Soprattutto, un’indicazione fondamentale: nessuno di noi può sperare che l’orario lavorativo, l’elenco dei nostri doveri imposti dalle circostanze e dalla necessità di guadagnarci da vivere, includa espressamente «momenti liberi» per le cose che contano davvero. In nessun orario si prevede «tempo per pensare», o «tempo per innamorarsi» o «tempo per chiacchierare con amici e famigliari», o «tempo per accrescere le nostre conoscenze e la nostra sensibilità artistica» e neppure «tempo per compiere i nostri doveri civili e politici come membri attivi d’una democrazia». Spesso sento persone, sinceramente o falsamente dispiaciute, che dicono di «non aver tempo per leggere». Mi viene sempre voglia di rispondere che quel tempo improbabile se lo devono conquistare esse stesse, proprio come il tempo per fare altre cose che ci piacciono o che possono gratificarci sul piano personale e umano. Trovare il tempo per fare ciò che ci interessa non è qualcosa che possiamo aspettarci dall’esterno, dalla società o dall’attuale propaganda consumista. qualcosa che bisogna conquistare e per la quale dobbiamo lottare, come se da essa dipendesse la nostra vita. Se uno ha ben chiare quali siano le sue priorità, farà in modo di lottare per esse e conseguire il tempo necessario per realizzarle. La maggior parte delle grandi opere d’arte o delle conquiste più importanti della nostra cultura e del nostro vivere comune non sono state compiute da oziosi che non sapevano come ammazzare il tempo. Esattamente il contrario: sono nate dall’energia che deriva dal dover sfidare la voracità d’una esistenza collettiva capace di divorarci senza tanti riguardi. Quando ripercorro la mia vita (che non è assolutamente esemplare, siatene certi) vedo che un errore, almeno, non l’ho mai commesso: dedicarmi al lamento. Applicarsi di buona lena a biasimare il mondo e a lagnarsi perchè tutto va male e perchè ci succedono cose terribili è uno dei modi meno gratificanti e più stupidi di perdere il tempo, di accorciarci la parte buona della vita. L’antico consiglio (pure stoico, credo) di saper distinguere tra mali senza rimedio e altri che possiamo tentare di correggere mi pare ancora valido. Ma è anche necessario usare attenzione con le virtù che vogliamo coltivare: la rassegnazione e la pazienza vanno bene, forse, per la domenica, però, per il resto della settimana, io preferisco l’anticonformismo e l’impazienza. Le vite di Rimbaud o di Raffaello sono state cronologicamente brevi, ma assai lunghe per traguardi raggiunti e per soddisfazioni. Ed essere un buon padre o una buona madre, un buon amico e un buon compagno, un buon cittadino e, semplicemente, uno capace di godere della vita senza rimbecillirsi sono opere d’arte non meno importanti che, oggi, sa realizzare chi, tra noi, davvero comprende l’importanza di rubare tempo alle cose che siamo obbligati a fare e alla morte. Stampa Articolo