Sergio Romano, Corriere della Sera 16/12/2008, 16 dicembre 2008
Konstantin Cernenko fu segretario del Pcus soltanto per un anno, parte del quale trascorso in ospedale per via della salute malferma
Konstantin Cernenko fu segretario del Pcus soltanto per un anno, parte del quale trascorso in ospedale per via della salute malferma. Mi risulta che un alto funzionario del partito, tale Viktor Grishin, lo portò a votare per le elezioni del 1985 sebbene fosse quasi moribondo. Quali furono i motivi di un gesto così crudele? Stefano Vizioli ste_viz@yahoo.i Caro Vizioli, Viktor Grishin fu per alcuni anni segretario del partito comunista a Mosca e uno dei maggiori esponenti della nomenklatura sovietica. Aspirava alla carica di segretario generale e attendeva probabilmente con una certa comprensibile impazienza la morte di Konstantin Cernenko. Ma non sono certo che lo si possa accusare di avere obbligato il segretario generale del partito a sobbarcarsi la fatica del voto per accelerarne la scomparsa. Sulla partecipazione di Cernenko alle elezioni del 1985 esiste una fotografia in cui il segretario generale è ritratto in piedi, vestito di tutto punto, ma con l’aspetto rigido, il corpo gonfio, l’espressione imbambolata e cadaverica di un uomo visibilmente malato e sofferente. Molti sapevano che aveva un enfisema e tutti avevano potuto constare nelle settimane precedenti con quale difficoltà, nelle sue rare apparizioni in pubblico, pronunciasse i brevi discorsi che erano stati preparati dai suoi collaboratori. Qualcuno sostenne del resto che il seggio elettorale in cui fu scattata la fotografia era stato costruito, come una scenografia, all’interno dell’ospedale in cui era ricoverato. La messa in scena fu resa necessaria dalle voci sulla sua morte che si erano diffuse in Russia ed erano state raccolte dalla stampa internazionale. Il «palazzo», come lo avrebbe definito Pasolini, sapeva che Cernenko aveva i giorni contati e si preparava alle battaglie per la successione. Ma occorreva evitare l’impressione di «sede vacante», con tutti i rischi che ciò avrebbe potuto comportare, nella percezione sovietica, in epoca di guerra fredda. Quello che lei definisce un «gesto crudele» fu in realtà una comprensibile manifestazione di prudenza politica. Il problema, se mai, è un altro. Il Politbjuro del partito avrebbe potuto indurre Cernenko a dimettersi, come era accaduto qualche anno prima, per altre ragioni, nel caso di Kruscev. Perché fu deciso di attendere che la natura facesse il suo corso? Probabilmente perché il problema della successione si annunciava particolarmente difficile e molti pensarono che sarebbe stato inutile, in quelle circostanze, forzare i tempi. Per comprendere le difficoltà occorre tornare alla morte di Leonid Breznev, nel novembre 1982. Dopo diciotto anni di regno il successore di Kruscev lasciava dietro di sé un Paese invecchiato, statico, afflitto da gravi problemi economici e sociali, avvolto in una ragnatela di interessi locali e clientelari, divenuto ormai una specie di gerontocrazia. Per svecchiare il sistema fu scelto un riformatore, Jurij Andropov, che aveva il merito di provenire dal Kgb, vale a dire da un ente che aveva, accanto alle spie e agli uomini di mano, un numero considerevole di persone intelligenti, preparate e informate. Andropov cercò di avviare una «rivoluzione morale» e suscitò molte speranze, ma la sua segreteria durò soltanto un anno e mezzo e la sua morte, nel febbraio 1984, offrì ai conservatori l’occasione per riconquistare la segreteria del partito. La scelta cadde su Cernenko perché aveva fatto carriera all’ombra di Breznev ed era stato più volte definito il suo «delfino». La restaurazione durò dal febbraio del 1984 al marzo del 1985 e fu seguita dalla elezioni di Michail Gorbaciov alla segreteria. Il suo maggiore concorrente, Grishin, conservò ancora per qualche tempo il controllo del partito a Mosca. Ma in dicembre Gorbaciov lo sostituì con un cinquantenne che veniva dagli Urali e aveva fama di uomo energico. Si chiamava Boris Eltsin.