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 2008  dicembre 16 Martedì calendario

La Stampa, martedì 16 dicembre 2008 Sempre faccende di «cuore». Ma, questa volta, per Edmondo De Amicis i buoni sentimenti cantati nel suo libro più famoso vanno messi da parte: al più, a scorrere certe lettere fino a ieri segrete dalle quali emerge come un libertino un po’ (sordidamente) fedifrago, preoccupato di giostrare e divincolarsi tra doveri e contrapposte voglie, viene in mente un altro suo titolo: «Amore e ginnastica»

La Stampa, martedì 16 dicembre 2008 Sempre faccende di «cuore». Ma, questa volta, per Edmondo De Amicis i buoni sentimenti cantati nel suo libro più famoso vanno messi da parte: al più, a scorrere certe lettere fino a ieri segrete dalle quali emerge come un libertino un po’ (sordidamente) fedifrago, preoccupato di giostrare e divincolarsi tra doveri e contrapposte voglie, viene in mente un altro suo titolo: «Amore e ginnastica». Il ritratto è tracciato da tre fittissime missive lunghe sette pagine inviate dal romanziere tra il giugno e l’ottobre 1878 a Emilia Branca Romani, moglie del librettista Felice Romani: battute all’asta dalla casa Bolaffi, sono state acquistate in queste ore per 480 euro da un collezionista (in attesa del nulla osta della Sovrintendenza ai Beni archivistici del Piemonte che già detiene un cospicuo carteggio dello scrittore). Sono lettere che risalgono al periodo in cui il giovane Edmondo viveva da felice scapolo con madre e fratelli nascondendo a tutti, famiglia compresa, d’essere in realtà sposato da tre anni. Un matrimonio contratto in estrema sordina, a Cuneo, con il solo rito religioso per impalmare Teresa Boassi: signorina torinese che il prof. Luciano Tamburini, autore del libro «Teresa ed Edmondo De Amicis, dramma in un interno», descrive come una sedicente maestra, non bella, di due anni più anziana del marito. E’ proprio lei, la bruttina stagionata costretta dallo sposo a vivere reclusa in un alloggio di piazza Statuto 18, il cruccio che lo scrittore racconta in queste lettere alla Branca Romani. Teresa gli ha dato un figlio, Furio, che ha ormai un anno, e pretende di regolarizzare la sua posizione: «Quello che preme - ammette Edmondo - è di fare un matrimonio civile e si farà subito. Questo è pure il desiderio di mia madre». Poi, però, svela il suo desiderio di continuare, per quanto possibile, a fare il marito solo in segreto: «Ho deciso di andare via da Torino e ho scritto a un mio parente a Genova di affittarmi una villa sulla riviera. E’ un passo doloroso per me, ma necessario per mille ragioni». Tra queste, il figlio, indicato esplicitamente come un disonore: «Le vergogne di mia moglie, in conclusione, sono le vergogne mie. Quanto più rimangono nascoste, tanto è meglio». Non andrà in Liguria e Teresa dovrà aspettare ancora un anno nell’appartamento-prigione il matrimonio civile. Solo dopo le nozze in municipio il magnanimo Edmondo la libererà dall’obbligo ferreo, valso sino ad allora, di non salutarlo mai in pubblico. Continuerà, però, a tenerla in disparte, senza presentarla mai in società, neppure quando lei gli darà un secondo figlio. A far male al cuore del signor De Amicis nelle lettere riscoperte è, soprattutto, la rabbia della signora Branca che lui chiama affettuosamente «mamma», ma nei confronti della quale, anni prima, pare nutrisse sentimenti non proprio filiali. La donna lo strapazza per non averla avvertita di questa moglie segreta ed Edmondo si destreggia in capriole di scuse come un Alberto Sordi che parli l’italiano dell’Ottocento: «Forse se avessi potuto prevedere che la rivelazione che le feci doveva cagionarle tanta amarezza, avrei fatto il sacrificio di tacere e di non scolparmi. Ma d’altra parte mi pesava nel cuore che Ella fosse ingannata com’era ingannata. Veramente capisco il suo sdegno. E’ più che giustificato». E, ancora: «Ella deve dunque comprendere il mio dolore, la mia confusione, il mio rimorso, perdoni la parte di colpa che io ho in quanto è accaduto». In questa telenovela s’incominciano a intravedere i semi d’un tracollo che porterà alla fine d’un matrimonio sbagliato. Edmondo parla del «bambino che viene spesso a casa di mia madre», ma, in particolare, del carattere irrequieto di Teresa: «Io non spero, non m’illudo, aspetto, un po’ triste ma colla ferma risoluzione di far sì che se una nuova crisi avviene sia l’ultima». Resistono sino al 1898. Durante la causa di separazione, lei pubblica due pamphlet in cui descrive il marito come crudele, traditore e pessimo padre. E, poi, uno dice che il cattivo è Franti. Renato Rizzo