Jacopo Iacoboni, La Stampa 16/12/2008, pagina 9, 16 dicembre 2008
La Stampa, martedì 16 dicembre 2008 Avessero tutti il riflesso di Dabliu... allora non è vero che è così lento (in tutti i sensi)
La Stampa, martedì 16 dicembre 2008 Avessero tutti il riflesso di Dabliu... allora non è vero che è così lento (in tutti i sensi). Che avrebbero fatto al suo posto Andreotti, Fanfani, Berlusconi? Tutti e tre l’oggetto contundente se lo sono beccato. Ma con reazioni psicologicamente significative. Ad Andreotti presidente del Consiglio capitò anni fa d’essere accolto da una pioggia d’uova su un ponticello di Rialto, a Venezia, uno lo schizzò in viso. E il Divo: «Eh, dicono che fanno bene alla pelle...». Monetine, sanpietrini, sedie, uova, microfoni, biglie, ultimamente treppiedi, al limite scarpe, non sempre risultano così salutari. Ieri a Chiaiano, durante una manifestazione con Alex Zanotelli e il dipietrista Franco Barbato, alcuni manifestanti contro la discarica hanno tirato bengala, vernice rossa e - appunto - scarpe su un Babbo Natale che raffigurava il Cavaliere. Silvio (il suo fantoccio) come l’amico George W. Ma il dalli al potere è da sempre un’epopea tragicomica tipicamente italiana, unico rito pop che avvicina il suddito al potente, illudendolo dell’uguaglianza realizzata. Pensate a Fanfani: il contestatore, Angelo Gallo, era uno strambo dc calabrese, zitto zitto gli si avvicina in chiesa, da dietro, e gli tira le orecchie. Che foto! Ma «Rieccolo» aveva una tempra pazzesca. Una volta a un congresso dc, a notte fonda, la sala ululava e molti delegati gli chiedevano di smammare. Fu vista volare una sedia (i socialisti divennero poi specialisti nel lancio congressuale). Fanfani rispose: «Amici, ho preso tanti fischi da quarant’anni, ma se avessi avuto paura dei fischi voi oggi non sareste qui!». Il Cavaliere ha perdonato il muratore di Marmirolo, Mantova, che nel 2004 in piazza Navona lo centrò con un treppiede. Il giovine non rivendicò il gesto, disse «volevo farmi bello con certe ragazze»; Silvio telefonò alla madre, «cara signora Iole, mi spiace di aver fatto passare capodanno in gattabuia al suo ragazzo», ricavandone edificante spot natalizio. Nondimeno ne ebbe la nuca dolorante - parole sue - per quindici giorni. Altri dal «lancio» ebbero danni irreparabili. Giovanni Leone beccò le monetine dei comunisti già nel ”71, in aula, neo eletto. E a certi studenti che lo fischiavano - e gli tirarono delle biglie - rispose con mimesi parteno-politica: facendo loro le corna. «Mi gridarono ”feten-te”», spiegò poi. «E io gli ho risposto ”f’tienti, i mmuorte vostra”». Alla fine perse, però. Se c’è una paradossale nobiltà nel lancio individuale all’irachena, c’è poi il lancio anonimo, tipo le monetine davanti al Raphael contro Bettino Craxi, 1992; ai suoi funerali i suoi amici fecero lo stesso contro i ministri del governo D’Alema. Oppure la scarpa che fu vista volare dalle parti dell’allora presidente Scalfaro contestato a Palermo ai funerali del giudice Borsellino. La torta in faccia è un topos: prima del G8 di Genova ne volarono sul ministro plenipotenziario Achille Vinci Giacchi, sull’ex ministro Burlando, sull’uomo del potere-tv, superPippo Baudo, ovviamente a San Remo; Sgarbi ne prese una e scavalcò una transenna per affrontare il lanciatore, davanti a Montecitorio. Gli voleva menare. Il rito umanizza, avvicina, rende simpatico l’antipatico. Ministre si son prese a capelli. Onorevoli sono stati presi a schiaffi sul treno dai «compagni» (Fernando Rossi nel 2007, dopo aver salutato il governo Prodi). Tirano molto da noi i microfoni, nel senso che li tirano. La Bellillo ne scagliò uno sulla Mussolini in tv (Vespa: «Santo cielo, ministro, cosa fa?»). Sempre Berlusconi beccò un microfono in bocca da un giornalista nella ressa; se ne uscì con l’immortale «cribbio! Me l’ha tirato sui denti!». Il gesto fu catalogato come involontario. Il giornalista rimase a piede libero. Jacopo Iacoboni