Vittorio Zucconi, la Repubblica 16/12/2008, 16 dicembre 2008
Tornano con Obama i difensori di Bill Clinton nel caso Lewinsky. Li guida Hillary di VITTORIO ZUCCONI Stanno rientrando tutti trionfalmente in quella casa della vergogna che diventa il luogo della loro resurrezione, i reduci vittoriosi della "Guerra di Monica"
Tornano con Obama i difensori di Bill Clinton nel caso Lewinsky. Li guida Hillary di VITTORIO ZUCCONI Stanno rientrando tutti trionfalmente in quella casa della vergogna che diventa il luogo della loro resurrezione, i reduci vittoriosi della "Guerra di Monica". Guidati da quella donna di ferro che accettò muta la sfida dello scandalo Lewinsky, Hillary Clinton, e oggi incassa il dividendo della sua forza sovrumana. Il ritorno dei clintoniani al potere chiamati da Barack Obama, esattamente dieci anni dopo l´incriminazione e la pubblica umiliazione del Presidente William Jefferson "Bill" Clinton, è la più sensazionale rivincita di una moglie e poi di quel gruppo di consiglieri che nei giorni del dicembre 1998 pensarono di essere destinati a essere il primo gruppo nella storia americana buttato fuori dalla Casa Bianca nell´ignominia. Era il 19 dicembre del 1998 quando la Camera dei Rappresentanti votò due articoli di impeachment, di incriminazione, contro il Presidente degli Stati Uniti, per «spergiuro» e per «ostruzione di giustizia» e non per relazioni extra coniugali o tradimenti amorosi come si credeva allora, una procedura che soltanto in un´altra occasione, 130 anni prima, era stata aperta contro un presidente, Andrew Johnson nel 1868, ma non contro Nixon che si era dimesso prima dell´apertura del processo formale. Dopo mesi di inchiesta giudiziaria condotta dal procuratore speciale Kenneth Starr, e un rapporto alla Camera costato 70 milioni di dollari, ribollente di quei dettagli porno che fecero la felicità dei media fintamente scandalizzati e dei nemici dei Clinton che per sei anni avevano cercato di demolirlo, la difesa legale, costituzionale e morale del presidente sembrava un´impresa disperata. Washington vibrava di esortazioni a dimettersi, a lasciare il posto al vice Al Gore, e salvare il salvabile di un partito democratico e di una presidenza sprofondata nel gossip da caserma. Fu allora che tutti gli uomini del presidente, il capo cabinetto della Casa Bianca, John Podesta, figlio di un emigrato italiano e di una greca cresciuto a Chicago e laureato nella stessa università di Clinton, Georgetown University, Rahm Emanuel, un altro prodotto della Chicago Machine ed ex volontario nell´esercito israeliano durante la Guerra nel Golfo del 1991, e Gregory Craig, avvocato nell´ufficio legale della presidenza, decisero di battersi e di andare fino in fondo, o a fondo, con Clinton. Ma neppure l´astuzia dell´italo-greco, il leggendario pelo sullo stomaco di Emanuel e la giurisprudenza di Craig avrebbero salvato Bill se nel cuore della Casa Bianca trasformata in fortino non ci fosse stata lei, la persona che funzionò da chiave di volta della difesa e da garante davanti a un´opinione pubblica femminile americana incerta se scaricare l´affascinate lazzarone dal ciuffo grigio e dalla voce sexy, o se difenderlo dall´assalto dei moralisti. Hillary Rodham Clinton. La "vedova bianca" del marito, la signora che accettò di tacere, di resistere, di non fare quello che probabilmente milioni di altre mogli al suo posto avrebbero fatto, uscire sbattendo la porta, fu la chiave che riportò il «caso Lewinsky», la storia della troppo servizievole stagista ventenne, alla dimensione del privato, del dramma coniugale e familiare. Mentre lei, e il marito, separati dalla figlia Chelsea in mezzo a due come una zona demilitarizzata fra due potenze in guerra, camminavano sui sentieri della Casa Bianca ripresi dalle luci cimiteriali delle telecamere nel buio di dicembre, il pubblico leggeva gli estratti piccanti del rapporto Starr, ma teneva lo sguardo su Hillary, come sulla bussola dei propri umori. E quando la videro restare al fianco del marito, i sondaggi si coagularono attorno a Clinton e costrinsero il Senato, che nei processi di impeachment si trasforma in giudice e giuria, ad assolvere il presidente. Dieci anni dopo, il cerchio dell´immensa umiliazione si chiude e i reduci di quella battaglia tornano vincitori. Hillary, che aveva sfiorato per poche migliaia di voti, la nomination del partito democratico che l´avrebbe poi resa presidente contro gli inesistenti McCain e Palin, diventa Segretario di Stato, il più importante portafoglio ministeriale e la quarta carica costituzionale dietro il Presidente. Emanuel è capo di gabinetto della futura Casa Bianca, l´incarico dal quale si tengono «ambo le chiavi» dell´agenda presidenziale. John Podesta, l´ex compagno di college di Clinton, è il copresidente della squadra di transizione che sta formando la futura presidenza, e per ora ha respinto gli inviti del neo eletto a entrare nel governo. Resterà, dalla sua cattedra alla facoltà di Giurisprudenza di Georgetown uno dei consiglieri privati e più influenti di Obama. Robert Craig, l´avvocato che pianificò la stratega difensiva dieci anni or sono, sarà il capo dell´ufficio legale. Newt Gingrich, Tom De Lay, Asa Hutchinson, i leader della guerra politica contro Clinton combattuta attraverso il procuratore speciale, sono tutti fuori dal Parlamento, dimissionari o non rieletti. Monica Lewinsky, oggi una signora di 35 anni, laureata in psicosociologia alla London School of Economics con una tesi sulla «imparzialità delle giurie» è tornata nel silenzio delle propria vita privata, dalla quale non sarebbe mai dovuta uscire. Illusa, per qualche mese, di poter sfidare Hillary Clinton e di portarle via l´uomo e il potere.