Petra: "Io come Saviano sola contro la ’ndrangheta" di Alessandro Alviani, La Stampa, 16/12/2008, pag. 16, 16 dicembre 2008
ALESSANDRO ALVIANI PER LA STAMPA DI MARTEDì 16 DICEMBRE 2008
Petra Reski è amareggiata. La giornalista tedesca che voleva raccontare le strutture della mafia italiana e svelare le sue ramificazioni in Germania è appena uscita da un’aula del tribunale di Monaco di Baviera. Il suo libro «Mafia: Von Paten, Pizzerien und falschen Priestern» (Mafia. Di padrini, pizzerie e falsi sacerdoti) è di nuovo oggetto di un procedimento giudiziario. Per la terza volta in tre mesi. Da quando è uscito, a settembre, sulle scrivanie dell’editore Droemer Knaur si moltiplicano i ricorsi di cittadini che si sentono ingiustamente accostati agli ambienti mafiosi in Germania. L’ultimo caso è quello di Spartaco Pitanti, nome noto negli ambienti della gastronomia italo-tedesca. E non solo: secondo un rapporto delle polizie dei due Paesi, è una pedina chiave nel sistema di ristoranti e pizzerie gestiti dalla ’ndrangheta tra Duisburg ed Erfurt. A novembre il tribunale di Monaco ha imposto che il suo nome venisse cancellato dal libro, una decisione contro cui la casa editrice ha presentato ricorso. Una sentenza definitiva è attesa stamattina.
Il mese scorso avevano già scelto le vie legali contro il libro Antonio Pelle e Rolf Milser, i gestori dell’hotel che ospitò la Nazionale di calcio durante i Mondiali tedeschi. E qualcuno si è spinto anche oltre. Poche settimane fa la giornalista era in una libreria di Erfurt per presentare il libro. All’improvviso dal pubblico si è levato un grido, impossibile da fraintendere: «mafiosa». Silenzio in sala. Pochi minuti dopo il secondo attacco: «Ammiro il suo coraggio. Ammiro davvero il suo coraggio», ripetuto tre volte con tono sinistro. Una minaccia velata, pronunciata apertamente. Non che Frau Reski, che vive in Italia da vent’anni, non abbia nessuna esperienza con la mafia e i suoi metodi. A San Luca, durante alcune ricerche, venne aggredita da qualcuno che tentò di strapparle di mano il taccuino; a Corleone si è ritrovata inseguita da un’auto. Eppure per la giornalista, collaboratrice del settimanale «Die Zeit», le minacce di Erfurt hanno rappresentato una svolta. Sono state la prova, spiega al telefono, «dell’arroganza e della sicurezza con cui la mafia si muove in Germania». Un simile attacco in pubblico, afferma, non sarebbe successo in Italia. Nella Repubblica federale, invece, sembra tutto diverso: «In Germania il fenomeno mafioso viene completamente sottovalutato». Anche un anno e mezzo dopo la strage di Duisburg i tedeschi reagiscono alla mafia con «un misto di ingenuità e impreparazione», mentre gli affiliati ai clan «sanno muoversi benissimo». Persino con la nascita della task force congiunta italo-tedesca «non è cambiato nulla». Il problema è che in Germania non esiste il reato di associazione mafiosa, mentre lo strumento delle intercettazioni è spuntato: «I magistrati conoscono il problema, ma non hanno i mezzi legali».
Ma oggi, Frau Reski, riscriverebbe il libro? «Non lo so: uno si espone personalmente, come Saviano, coinvolge la famiglia, e poi...».