Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  dicembre 16 Martedì calendario

IL GRANDE AFFARE DELL’ARCI 4/4

PAOLO BELTRAMIN PER IL GIORNALE DI MARTEDì 16 dicembre 2008

Musica techno, birra, cocktail e superalcolici. Rigorosamente senza scontrino. Sembrano dei locali pubblici, ma sono delle associazioni «non profit» ufficialmente dedite all’impegno sociale. I 34mila «circoli culturali e ricreativi» italiani, a partire dalle 5mila sedi Arci, accanto alle agevolazioni fiscali hanno una lunga lista di altri «vantaggi competitivi» rispetto a bar, ristoranti e discoteche. Lo rivela l’ufficio studi della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi. Vantaggi che costano un miliardo di euro all’anno alle finanze pubbliche, ma riguardano direttamente pure la sicurezza dei soci-consumatori.
Sembrano dei locali pubblici, ma quelle stanze occupate da angolo bar e tavolini non hanno bisogno della «destinazione ad uso commerciale», basta che siano catalogate come semplici uffici. La differenza sembra solo formale, per chi non ha mai cercato di comprare o affittare un locale per aprire un bar o un negozio. Già, perché il prezzo di un locale a uso commerciale lievita fino a tre volte tanto quello di un appartamento a uso privato.
Poi c’è il risparmio sulla tassazione, 24 euro ogni cento di imposte, più 12 sul costo del lavoro (grazie alla manodopera «volontaria») rispetto a quanto deve pagare allo Stato il gestore di un pubblico esercizio. L’obiezione è scontata: a chi fa la tessera Arci per bere una birra in compagnia e fare quattro salti non cambia nulla. E invece cambia. «Proprio perché il circolo è considerato un locale privato, le norme di sicurezza sono molto meno vincolanti – rivela Marcello Fiore, responsabile del settore legislativo della Fipe ”. Una discoteca ”ufficiale”, prima ancora dell’inaugurazione, deve ottenere dai vigili del fuoco il certificato di protezione antincendio e l’autorizzazione della commissione comunale di controllo sicurezzza. I circoli-discoteche di tutti questi controlli preventivi possono fare a meno». Le solite scartoffie burocratiche? Mica tanto. Mettere a norma un vecchio locale di mille metri quadrati costa anche due milioni di euro. «E nessun gestore si è mai lamentato della spesa», giura Fiore. Forse qualcuno sì, ma non fa molta differenza. La sostanza è che se un gestore non rispetta le norme di sicurezza, rischia di perdere la licenza.
E i controlli a campione dei locali già avviati? Su questo fronte tra circoli «culturali» e pubblici esercizi non c’è differenza. Almeno sulla carta. Vigili urbani e ispettori dei Nas possono «capitare» in ogni locale dove si vendono cibo e bevande, indipendentemente se per ragioni di business o meramente culturali. «Ma nei circoli gli alimenti non sono quasi mai cucinati sul posto, al massimo c’è un frigorifero – accusa la Fipe ”. Come si fa a controllare la cucina privata dove è stato preparato il mangiare? Servirebbe un mandato. Nel dubbio, i Nas lasciano perdere». Del resto, i circoli sono solo associazioni non profit, mica aziende. Fiore però ha ancora un dubbio: «Perché allora sui giornali di annunci gratuiti poi trovi il messaggio: AAA Cedesi gestione circolo ben avviato?».