Sole 24 Ore, Repubblica, MF, New York Times, Corriere della sera, il Giornale, 15 dicembre 2008
Una maxitruffa da 50 miliardi di dollari fa tremare Wall Street e non poche banche europee, piccoli risparmiatori e protagonisti del jet set internazionale
Una maxitruffa da 50 miliardi di dollari fa tremare Wall Street e non poche banche europee, piccoli risparmiatori e protagonisti del jet set internazionale. Un uomo solo, per ora, al centro dello scandalo: Bernard L. Madoff, 70 anni, arrestato dagli agenti dell’Fbi giovedì 11 dicembre a New York. Il buco colossale che ha causato con la sua società di investimenti vale tre volte quello di Parmalat e supera persino il fallimento Lehman Brothers. Ex presidente del Nasdaq, il mercato dei titoli tecnologici, da quasi mezzo secolo personaggio di spicco a Wall Street, dov’è stato un precursore nell’applicazione dell’informatica alle transazioni, Madoff era ricorso a un vecchio sistema per le operazioni finanziarie che ne hanno decretato il fallimento: quello della catena di sant’Antonio. Si chiama anche ”schema Ponzi” (Charles, non Tom) dal nome di un bancarottiere italiano, emigrato negli Stati Uniti all’inizio del secolo, che concepì il raggiro e ne fece ampio uso fino all’arresto, nel 1920. Il modello prevede che il truffatore coinvolga le sue vittime offrendo uno strumento di investimento che promette rendimenti elevati, garantiti e a breve termine; che entro poche settimane o al massimo mesi venga in effetti pagata una ricca cedola, che però non è altro che la restituzione di parte del capitale investito; che il passa-parola richiami altri investitori con un effetto piramide. In definitiva, il denaro versato non è reinvestito in alcuna impresa: a regime, i profitti vengono distribuiti utilizzando non utili effettivamente realizzati, ma i capitali versati dai nuovi investitori. Tutto bene finché l’economia è in crescita e i listini marciano spediti. Un disastro quando la crisi e il crollo globale dei mercati spaventano i risparmiatori, che cominciano a reclamare in massa la restituzione dei propri investimenti. Ed è stato lì che Madoff ha capito che la sua corsa era finita davanti a un precipizio. Secondo la denuncia penale, all’inizio di dicembre il finanziere confidò a uno dei figli (Andrew e Mark, entrambi in posizioni di vertice nel gruppo fondato dal padre, ma che sarebbero estranei alla società attraverso la quale è stata perpetrata la frode) che «i clienti avevano chiesto un rimborso di circa 7 miliardi di dollari e che lui aveva difficoltà a trovare la liquidità necessaria». Martedì 7 espresse quindi l’intenzione di pagare in anticipo i bonus annuali dei dipendenti. I figli, insospettiti, glie ne chiesero conto. A questo punto, il giorno dopo in una drammatica riunione di famiglia nel suo appartamento di Manhattan, Madoff confessò di essere rovinato: la società, nelle sue parole «nient’altro che una gigantesca piramide», era completamente insolvente. Aggiunse che prima di consegnarsi alle autorità voleva pagare i dipendenti con una parte dei 200-300 milioni di dollari rimasti. I figli avrebbero quindi comunicato la situazione al loro avvocato, il quale a sua volta, nella notte di mercoledì, informò le autorità federali. Giovedì 11 l’arresto, l’udienza davanti ai procuratori federali di Manhattan che hanno formalizzato l’accusa di frode fiscale, il pagamento di una cauzione di 10 milioni di dollari per tornare a casa, l’obbligo di non uscire dall’area di New York. Nei capi d’accusa contenuti nell’inchiesta parallela della Sec, l’autorità di controllo della Borsa americana, si parla di una frode «di proporzioni epiche», quantificata in 50 miliardi di dollari (una cifra che sarebbe stata ipotizzata dallo stesso finanziere) e si chiede al giudice il sequestro della società e dei suoi beni. Nel mirino degli investigatori è finito un ramo della Bernard L. Madoff Investment Securities, società di intermediazione tra acquirenti e venditori di azioni di cui il finanziere è fondatore e proprietario del pacchetto di maggioranza. Questo ramo sarebbe stato gestito da Madoff direttamente e con grande riservatezza. Nel senso che vi lavorava con non più di una ventina di collaboratori a un piano diverso del Lipstick Building, un famoso grattacielo di New York, rispetto agli altri uffici della società, e che i rendiconti erano tenuti in gran segreto e comunque mai affidati alla memoria di un computer (come sarebbe stato naturale per un pioniere dell’informatica nelle transazioni finanziarie), quanto piuttosto registrati a mano con matita e gomma. Madoff attirava i clienti con rendimenti buoni e soprattutto stabili nel tempo. Nel gennaio 2008 aveva in gestione all’incirca 17 miliardi di dollari. «I suoi investitori potevano costantemente contare su un piccolo utile ogni mese, generalmente compreso tra lo zero e il 2%», ha scritto il Wall Street Journal. Fairfield Sentry in particolare, l’hedge fund da lui creato per investire in azioni dell’indice Standard & Poor’s 100, dal 1990 ha realizzato un rendimento medio annuo del 10,5%. E ha subito un calo minimo (lo 0,06%) anche in ottobre, quando lo Standard & Poor’s 500 ha perso il 16,8%. Questi risultati avevano insospettito i concorrenti. Già dal 1999 un dirigente del settore azionario, Harry Markopolos, aveva chiesto alla Sec, senza ottenere risultati, di indagare su Madoff. Nei giorni immediatamente successivi all’arresto del protagonista del crack sono arrivate le prime ammissioni da parte dei gruppi bancari, anche in Europa. Il più colpito sembra essere il Banco Santander: il colosso spagnolo, secondo gruppo bancario del Vecchio Continente per capitalizzazione di mercato e uno dei pochi rimasti indenni di fronte alla grande crisi dei mututi subprime, ha comunicato che i clienti del suo fondo di fondi Optimal, con sede a Ginevra, sono esposti per 2,33 miliardi di euro. Pari a 5 miliardi sarebbero le perdite del sistema finanziario svizzero, mentre per l’Italia si stima un buco fra i 3 e i 5 miliardi, anche se nessuno ha ancora un quadro completo di quanto sia finito dal nostro paese nei fondi speculativi dell’ex presidente del Nasdaq. La Consob ha avviato un’indagine. Risultano coinvolti, fra gli altri, Pioneer Alternative Investments, gruppo UniCredit, sede a Dublino, che avrebbe investito con Madoff 280 milioni di dollari secondo alcune fonti, 800 secondo altre (ma «l’esposizione per i clienti retail è molto limitata e pari a zero in Italia», fa sapere la società), la stessa UniCredit, che ha comunicato di avere «un’esposizione propria di circa 75 milioni di euro», il Banco Popolare, che ha quantificato in 8 milioni di euro la perdita massima per l’istituto e in «circa 60 milioni» la perdita massima sui fondi distribuiti alla clientela. C’è poi il caso della Fim, la società di due italiani con base a Londra, Federico Ceretti e Carlo Grosso, specializzata in strategie di investimento. La Fim avrebbe dirottato il denaro di molti clienti italiani (si parla di 130-150 milioni) sul fondo Kingate, che a sua volta ha investito tutto in un hedge fund di Madoff. Il punto critico della partita è proprio l’effetto domino: non si sa ancora fin dove sia arrivato il virus Madoff, e qualcuno ipotizza rischi anche per i fondi pensione. A tutto questo si aggiunge l’incognita di chi ha ottenuto sì i rimborsi nelle scorse settimane, ma potrebbe essere obbligato a restituirli se il fallimento tecnico della società di Madoff fosse fissato a una data precedente. Altri che hanno incassato in modo diverso e certo non vedranno più in futuro le ricche donazioni di Madoff sono i politici di Washington: con 180mila dollari a suo nome, il finanziere è nella lista dei contribuenti più generosi della campagna elettorale 2008. Il 90% del denaro è andato ai democratici di New York, Hillary Clinton in testa. Ma anche alcuni repubblicani sono stati premiati. Il conto più salato del crack per ora è a carico della società di gestione americana Fairfield Greenwich, che lavorava da una ventina d’anni con Madoff e potrebbe essere esposta per 7,5 miliardi di dollari, quasi la metà del suo patrimonio. Tra i clienti del finanziere, ex consigliere della Yeshiva University, la più famosa istituzione accademica ebraica d’America, c’erano poi numerose associazioni caritatevoli e istituzioni filantropiche, spesso legate alla comunità o alla cultura ebraiche: una fondazione di Boston che finanzia viaggi studenteschi in Israele ha già licenziato tutto lo staff dopo aver perso 8 milioni di dollari. E hanno visto andare in fumo il proprio denaro (in proporzioni non ancora calcolate) la Foundation for Humanity di Elie Wiesel, premio Nobel per la pace, così come la Wunderkinder Foundation del regista Steven Spielberg. Tra i singoli investitori che accusano le peggiori perdite potenziali, infine, insieme a un magnate immobiliare e dell’editoria come Mortimer Zuckerman o ad alcune grandi famiglie spagnole figurano membri di un esclusivo club di golf a Palm Beach, in Florida, dove Madoff si procacciava molti dei suoi ricchi clienti. Alla Rockaway Beach, nel più popolare Queens, era cominciata cinquant’anni fa la sua avventura. Quando, grazie ai cinquemila dollari guadagnati facendo il bagnino su quella spiaggia, era riuscito ad aprire la società oggi in rovina. (aggiornato il 16 dicembre) Mercoledì 17 dicembre - Antonella Olivieri per Il Sole 24 Ore [...] Il crack, secondo quanto accertato finora dalla Consob, non ha mietuto molte vittime in Italia, anche perché nel Vecchio continente il centro di ”smistamento” principale per i fondi direttamente o indirettamente gestiti da Madoff era la Confederazione elvetica, da sempre riservata custode di ingenti patrimoni [...] Ma ora è emerso che anche l’Austria, altro polo europeo per il private banking d’alto bordo, non è rimasta indenne. Infatti ieri è uscita allo scopertto Bank Medici, denunciando che due suoi fondi avevano affidato a Madoff tutto il loro patromonio: 2,1 miliardi di dollari. Bank Medici è partecipata al 25% dal gruppo UniCredit attraverso Bank Austria (gruppo Hvb) e nel suo consiglio di sorveglianza siede uno dei vice-presidenti dell’istituto di Piazza Cordusio, Gianfranco Gutty. I rapporto tra Bank Medici e Madoff risalgono a metà degi anni ’90 - sono dunque precedenti l’acquisizione di Hvb da parte di UniCredit - e sono riconducibili a Sonja Kohn, titolare del 75% della banca e amica di vecchia data di Madoff. L’elenco compilato dalla Consob dovrebbe riguardare comunque solo le Sgr che fanno capo all’Italia: Banca Aletti, i cui clienti sono esposti per 60 milioni di euro, i fondi Pioneer con 280 milioni di dollari; Duemme, la Sgr di Banca Esperia, per un importo contenuto; mentre Mediobanca, attraverso la controllata monegasca Cmb, ha 671mila dollari di esposizione in conto proprio. Secondo l’ufficio studi di Mondo Hedge, complessivamente, i fondi speculativi italiani sono della partita per 80 milioni di euro, lo 0,5% del loro patrimonio. Hanno poi denunciato un’esposizione al crack Madoff anche UniCredit (100 milioni di dollari), Banco Popolare (8 milioni di euro) e da ultimo Ubi banca per 60,5 milioni di euro. Giovedì 18 settembre - Il presidente della Sec ha aperto un’inchiesta interna per capire come mai la frode Madoff non sia stata scoperta prima. Mea culpa tardivo se, come scrive il Wal Street Journal, il presidente eletto Obama ha già scelto che gli succederà al vertice dell’Authority. Si tratta di Mary Schapiro, ex commissario Sec e attuale amministratore delegato (ceo) di Finra, l’organo di autoregolamentazione degli operatori. A breve anche la Camera avvierà un’indagine per valutare eventuali responsabilità della Sec nella vicenda. Il WSJ scrive che l’inchiesta cercherà anche di capire se esistono legami fra le mancate inchieste federali e il fatto che Shana Madoff, una nipote del finanziere attiva nella sua società, abbia sposato un ex legale della Sec. Il ministro della Giustizia americano, poi, si è ricusato dall’inchiesta perché suo figlio è il legale di un dirigente del gruppo finanziario.