Giancarlo Dotto, La Stampa 15/12/2008, 15 dicembre 2008
INTERVISTA A ELEONORA GIORGI
di GIANCARLO DOTTO
«Una cosa strana… Alemanno ha chiuso i ponti e dichiarato lo stato di calamità…», fa lei come fanno le bambine quando la sparano grossa per capire dalla reazione degli adulti quanto è davvero grossa. Aspettando che le cose accadano, se il Tevere si decide o no a straripare, la casa romana di Eleonora Giorgi è un buon posto dove prendere un tè a poche ore dalla fine del mondo. Un’arca piena di libri e di fiori, invece che di animali, a parte Klari, l’ossessa cagnetta che si fa mettere il sale sulla coda solo dai comandi della padrona asburgica, figlia di un gentiluomo romano e di una nobildonna ungherese. Aiuta a sentirsi a casa anche quel dvd di «Easy Rider» dimenticato sul tavolino, Peter Fonda e Dennis Hopper in copertina.
Il citofono all’entrata è la sintesi della sua storia. Accanto al pulsante Rizzoli, il pulsante Ciavarro. Eleonora è un fiume in piena. Lei sì, straripante. «Guardi che meraviglia tutti questi fiori… Solo per questo converrebbe fare tante prime». A 55 anni si delizia con la vertigine di un debutto teatrale, al fianco di un attore assoluto come Remo Girone. In «Fiore di cactus», nella parte dell’infermiera zitella e casta che fu di Ingrid Bergman al cinema e di Lauren Bacall a teatro. «Lo scherzo supremo che mi ha tirato Natale Barbone, il produttore dello spettacolo. Per decenni avevo schivato il palcoscenico. Poi mi arriva questo copione e mi dico: porca miseria, stavolta mi hanno fregata. Quella zitella sono io. E vuole saperne un’altra? Sa con chi vado io in vacanza ogni estate?».
Butto a indovinare: sua madre?
«Esatto. Io, la mia eccentrica madre di ottant’anni e il cane, ogni anno a Mykonos. Esattamente come la segretaria di "Fiore di cactus". Mi dica lei, potevo rifiutare?».
Ne è passata di acqua sotto i ponti (le metafore liquide vengono facili di questi tempi) dai tempi in cui, sul set con Ornella Muti, eravate le più belle del reame.
«La Muti è nel mio destino. Debutto al cinema in una parte che doveva essere di Ornella. Firmo per il secondo film e me la ritrovo sul set. Non dimenticherò mai il giorno in cui me la presentano, lei, seduta di spalle: si gira e vedo la cosa più bella mai vista in vita mia. Rimango folgorata. Una pantera nera con gli occhi verdi e i denti da bambina».
Quella volta che, orchestrate dall’infernale Lucherini, veniste quasi alle mani.
«Non eravamo credibili, ci veniva troppo da ridere. Tra me e Ornella c’era un’amicizia molto competitiva, soprattutto su chi era la più alta e sulla scelta dei tacchi. Lei su di me aveva lo straordinario vantaggio di essere una mediterranea con tratti esotici. Ornella è una donna complessa, con delle priorità strane, ma molto tollerante e generosa».
Vi frequentate ancora?
«Mai in privato. Ma, quando ho fatto la mia prima regia, è lei che ho cercato. Se mi giura che non lo scrive le svelo una cosa… Ho in mente di fare con Ornella a teatro la versione italiana di "Rich and Famous"».
Giuro che lo scrivo. In «Fiore di cactus» la ritroviamo in una parte brillante. I più grandi riconoscimenti da attrice li ha avuti con «Borotalco» di Carlo Verdone. Si fosse applicata di più, dico io, avremmo avuto l’erede di Monica Vitti.
«Accostamento che mi onora, ho un’ammirazione sconfinata per la Vitti. In parte ho raccolto il suo testimone… Non escludo un domani in cui, con Carlo Verdone e Christian De Sica, ci ritroveremo insieme per rifare un film tipo "Borotalco"».
Un giorno, all’apice della fama, molla tutto e si mette con il suo Ciavarro a fare la contadina.
«Abolisco trucchi, specchi, abiti, mondanità. Sparisco. Per due anni non metto più piede in città. Mi viene un pollice verde da paura, le mie orchidee fioriscono anche d’inverno… Ogni tanto mi torna questa voglia di distacco totale, di tornare Orsola, il mio secondo nome, quella ragazza con gli occhiali un po’ secchiona che studiava arte e restauro».
Tanti uomini nella sua vita. Due mariti, due figli, storie notevoli, quella con Andrea De Carlo, lo scrittore.
«L’unico Sagittario, gli altri sono tutti Scorpioni. Guardi quello scaffale, è l’altarino che gli ho dedicato con tutte le sue opere… Il mio istinto, da quando avevo dieci anni, è cercare nell’uomo l’eroe della mia vita, l’angelo, l’amico e l’amante. Ho sempre avuto bisogno di uomini ambiziosi perché mi piace sostenerli».
Ne parla come di una specie estinta.
«Fuorviate dal mito dell’autonomia, le donne di oggi vivono la loro carriera tra solitudine e mancanza. Le nostre madri erano delle regine, apparentemente assoggettate, ma in realtà governatrici assolute della vita dei loro mariti. Tra tutte, è la donna americana il penoso paradigma di come si possa mortificare un uomo. L’aggressività sessuale delle donne ha demotivato la cavalleria e l’istinto alla conquista degli uomini, che si ritraggono nel loro patto virile di amicizia. Inespugnabile».
Dedicato a chi la immaginava come una donna da manifesto della trasgressione.
«Io sono un conservatore. Lo scriva così, al maschile. Educata da bambina alla competizione e alla disciplina. La mia trasgressione più grande è stata quella di non avere avuto un solo compagno di vita, come era scritto nella mia mappa dei valori».
Fa colpo la sua devozione al mondo maschile.
«Ho sempre gioiosamente assecondato il loro senso dell’avventura e la loro attitudine al potere, che oggi hanno spostato dalla politica alla finanza. Il mondo sarà in futuro governato da venti satrapi straricchi, il resto una moltitudine di cellule sole, impazzite, a mille euro al mese».
Resta un suo illeso eroe anche Angelo Rizzoli, a trent’anni dal vostro matrimonio?
«Angelo è il più mitico degli uomini che ho incontrato. L’ho amato completamente e infinitamente. Fu il suo tormento nascosto ad attrarre una ragazzina sofferente come me. Ma io non voglio parlare di lui. Angelo è tornato un uomo sereno, al fianco di una moglie che tiene tanto al suo ruolo e io resto una donna ingombrante. Ogni volta che parlo mi sembra di attentare alla sua serenità».
L’hanno raccontata come una mantide, il fascinoso insetto che divora l’uomo con cui si accoppia.
«Di quella storia resta uno splendido figlio e resta il dispiacere di essere stata tanto ferita. Ma anche la consapevolezza di non essere stata all’altezza di una vicenda troppo più grande di me. Di averla fronteggiata praticamente, non umanamente. Ero troppo giovane e forse complessata dal massacro sistematico dei giornali che mi raccontavano come una Cenerentola».
A chi dubita?
«La mia scelta d’amore non va dubitata. La mia storia dimostra che non sono attratta dagli uomini di potere, Angelo è stato l’unico. Ho avuto corteggiatori eccellenti, ma sono sempre stata attratta da altro».
Dal potente editore al divo dei fotoromanzi.
«Due Scorpioni dalle grandi affinità, a dispetto delle apparenze. Tenebre. Tormento. Grandezza d’animo. E riservatezza. Che in Angelo sfiorava la superbia, in Massimo la timidezza».
Perché un tenebroso si lascia ingaggiare nel circo dell’isola?
«Da anni rifiutava fiction anche molto belle. Non so cosa l’isola abbia svegliato in lui. Forse, un senso competitivo. Massimo è un uomo basico. Trova acqua, luce, cibo, ovunque si trovi. Pesca con le mani, vive nei boschi. Dico sempre a nostro figlio Paolo: se scoppia la terza guerra mondiale andiamo tutti a vivere nel suo condominio. Con Rino Gattuso come portiere».
Ne parla con lancinante affetto.
«L’occasione dell’isola, quella famosa notte che è stato malissimo, mi ha fatto finalmente capire la diversità fondamentale che c’è tra noi. Che non lo amavo affatto come moglie o compagna ma come sorella, un sentimento molto più profondo. Massimo è il fratello della mia vita».
Avete una società di produzione insieme. La fratellanza sul lavoro funziona?
«Molto bene. Abbiamo finito di girare il mio secondo film, "L’ultima estate". Una storia sul valore salvifico dell’amore».
L’attore carismatico?
«Marcello Mastroianni. Dico lui, nonostante io abbia poi avuto il meglio da Carlo Verdone, a cui penso sempre con gratitudine e gioia. Marcello è stato per me una svolta. Io sono una ossessionata dalla disciplina. Quella volta nel mercato di Marrakech m’illuminò e placò le mie insofferenze con una semplice frase: "Ti rendi conto, bambina, che ci pagano per giocare. Te ne rendi conto?"».
Si riparte per dove?
«Per qualcosa che ha a che fare con il raccoglimento. Se a diciotto anni diventi pubblica, finisci in storie enormi, la tua diventa una vita di carta, che può prendere fuoco troppo facilmente. Riaffiora Orsola, torna il bisogno di silenzio».
Eleonora Giorgi in convento?
«Qualcosa che abbia a che fare con le regole monastiche. Questo non esclude la possibilità di un’altra storia. Oggi gli uomini sono esclusi dal mio spazio e dal mio tempo, ma domani chissà… Resto una natura tormentata e lunare, ma so che il lieto fine mi appartiene».