Jacopo Iacoboni, la Stampa 15/12/2008, 15 dicembre 2008
INTERVISTA A LICIO GELLI: "LE LOGGE DIETRO LA CRISI DELLA SINISTRA"
di JACOPO IACOBINI
«Vuole che le dica qual è stato il ruolo e l’atteggiamento delle logge fiorentine dinanzi a quello che succede alla giunta di sinistra?». Sarebbe gentile, commendatore.
Licio Gelli oggi viene chiamato «commendatore», o «conte», se chi gli sta intorno vuole sottolineare il titolo nobiliare che gli conferì Umberto II nel 1980. Non è più il «Venerabile maestro» della Loggia P2, indagato tra l’altro per le stragi (dall’Italicus a Bologna), il golpe Borghese, la bancarotta dell’Ambrosiano - poi condannato per depistaggio delle indagini su Bologna, e per la bancarotta fraudolenta della Banca di Roberto Calvi (12 anni, ora estinti). Ma non si può, tecnicamente, dire che sia tornato: non se n’era mai andato. Berlinguer è morto, il Pci e il «pericolo comunista» sono defunti, Gelli invece - a 28 anni dal ritrovamento degli elenchi della P2 a Castiglion Fibocchi - è in piena attività: a 89 anni va in tv (su Odeon), combatte una battaglia per riavere «cento milioni di dollari di cui - dice lui facendo la vittima - sono stato derubato», presenta libri con aria sorniona.
L’ultimo, di Aldo Mola, sulla vita del venerabile, a Sanremo ha scatenato un putiferio al quale Gelli ha assistito serafico, commentando: «La P2? la rifarei tranquillamente». «Ma non ce ne sarebbe neanche bisogno», illustra adesso nella sala riservata di un hotel sanremese, doppiopetto gessato grigio, camicia a righe, cravatta blu, orologio d’oro al taschino del panciotto, due anelli (uno con stemma) all’anulare della mano sinistra. «Il mio piano rinascita ha trionfato, non crede?». Da molti punti di vista. «Berlusconi se n’è letteralmente abbeverato, la giustizia e le carriere separate dei giudici, le tv, i club rotariani in politica... Già, proprio come Forza Italia. Apprezzo che non abbia mai rinnegato la sua iscrizione alla P2, e del resto come poteva? Ma anche la bicamerale di sinistra dell’88 ne aveva fatta sua una parte, sposando il riferimento al presidenzialismo...».
Bisogna però interrompere quest’uomo che col suo linguaggio - i modi da toscano assai vispo, uno sguardo da sotto in su che ha qualcosa di andreottiano, unito a una curvatura della schiena accentuatasi con l’età - vorrebbe indirizzare la conversazione verso la battaglia legale intrapresa per riavere i soldi del leggendario «tesoro Gelli-Tassan Din», sostenendo di esserne stato «derubato». Ma è difficile vedere nei panni della vittima un signore che ha l’aria di divertirsi un mondo a sembrare ancora potente, e una volta espose così il suo credo: «Meglio burattinaio che burattino».
Ecco, un burattinaio non può non osservare ancora attentamente l’attualità. Su Firenze e la questione morale che si sta rivoltando contro gli eredi del Pci ha una sua «verità»: «Lì le logge sono da sempre potentissime, e si sono ribellate. Però sono anche divise in due commissioni in guerra: una fa capo a Palazzo Vecchio, 520 logge, l’altra a Palazzo Vitelleschi, 500 logge. L’unica cosa che le unisce Il malumore verso la sinistra fiorentina che per anni ha fatto una battaglia ossessiva contro la massoneria». A chi o cosa si riferisce, Gelli? «O beh, l’assessore Cioni è stato il capofila, nel Pci fiorentino, della guerra contro le logge». Lo storico Aldo Mola, che assiste alla conversazione, ricorda una circostanza: fu Cioni a pubblicare, allegato all’Unità, l’elenco di tutti i massoni toscani. E nel ”93 presentò una proposta di legge, sottoscritta da 70 parlamentari del Pds, per vietare agli iscritti alla massoneria di ricoprire cariche nella pubblica amministrazione. Gelli con sorrisetto: «... e quelli se la sono legata».
C’è di più. «In Toscana e nelle Marche esistono le norme più restrittive contro la massoneria», lamenta Gelli. «E ora si ribellano. In Toscana se sei massone e vuoi partecipare a una gara d’appalto devi dichiararlo. Nelle Marche se sei massone non puoi partecipare affatto. Capite questo quale danno ci ha recato? Avevamo mucchi di persone che volevano entrare, ma erano spaventate. Il problema è che quelle fiorentine sono logge spurie, unite solo da questo; non sanno darsi un programma di azione comune». Della giunta Domenici sorride: «Sinistra quella? La sinistra non c’è più dai tempi di Berlinguer e dei governi di unità nazionale...».
Gelli qualche giorno fa ha detto: «Veltroni dovrebbe scomparire». Il segretario del Pd ha commentato: « il ritorno di un uomo inquietante». Con il passato del capo della P2 voi vi sareste sentiti tranquilli? «Via, era chiaro che era una frase del tutto accademica. Veltroni conferma la sua pochezza». Gli preferisce D’Alema? «Sono della stessa pasta, uno è la copia dell’altro; sembrano soltanto diversi. Altro discorso, invece, per la signora».
Racconta Gelli di aver sviluppato «grande ammirazione» per Linda Giuva, moglie di D’Alema, archivista. «Nel 2006 ho donato le mie carte storiche, testi di Cagliostro, di Garibaldi (insomma, le cose non compromettenti, nda) all’Archivio di stato di Pistoia. La signora D’Alema mi ringraziò, disse che era un ”contributo importante alla conoscenza”, fu gentilissima e io mi permisi di salutarla con un baciamano. Meglio lei di tanti uomini della sinistra».
Sente ancora i cari vecchi amici? «Cossiga sempre. Fu lui, per primo, a cercarmi. Mi ha anche spiegato di non aver mai detto che non credeva fossi io il capo della P2. Nel giorno dei suoi ottant’anni l’ho chiamato per fargli gli auguri, mi ha risposto ”Sto pranzando da solo, così sto fra amici”». Andreotti? «Càpita che gli mandi qualche bigliettino, sa, siamo tutti e due del ”19». Berlusconi? «Lei è curioso...». Verso il mondo berlusconiano Gelli tradisce «affettuosità», di Previti dice «oh, Cesarino, che bravo ragazzo; vado spesso a trovarlo». Si è molto favoleggiato di una quarantina di nomi misteriosi iscritti negli elenchi non sequestrati a Villa Wanda, ma lasciate ogni speranza voi che entrate, Gelli si fa più che mai allusivo, sorridentemente minaccioso: «I nomi sono quelli eventualmente dichiarati. Il resto è ascolto, nell’oblio. Certo, può darsi che un giorno, chissà, col tempo, riemerga fuori qualcosa...». Sì, è sempre lui.
marzo 1981
Scoppia lo scandalo
Nel corso di una perquisizione nella villa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi viene scoperta la lista dei presunti aderenti alla loggia massonica coperta P2 nella quale figurano parlamentari, militari, imprenditori, giornalisti, esponenti dei servizi segreti.
gennaio 1982
Il mandato di cattura
L’ufficio istruzione del tribunale di Roma emette un mandato di cattura nei confronti dell’ex maestro venerabile muovendo come capi d’accusa l’associazione per delinquere, la cospirazione politica, la truffa aggravata e lo spionaggio politico.
settembre 1982
L’arresto e l’evasione
Gelli viene arrestato in Svizzera ma nel settembre successivo riesce ad evadere. Si riconsegnerà di nuovo in Svizzera nel settembre del 1987. Viene estradato ma non per «cospirazione politica». Gelli viene condannato nel 1994 a 12 anni per la bancarotta del Banco Ambrosiano.