Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  dicembre 15 Lunedì calendario

IL GRANDE AFFARI DELL’ARCI 3/4

di MARIO CERVI

Alcuni termini d’uso corrente nel linguaggio politico si prestano, per la loro genericità omnicomprensiva, a ogni genere d’equivoco e d’abuso. Così il termine questione morale, sfoderato a volte con alterigia proprio da chi, per prudenza se non per decenza, dovrebbe tenersene lontano. Così il termine cultura, buttato come mantello nobilitante su materiale d’infima qualità. Infatti quando i carabinieri hanno suonato il campanello d’un circolo Arci a Mignanego, in provincia di Genova, nei locali era in corso una maratona di sesso di gruppo. Alle osservazioni dei militari il titolare del circolo ha obbiettato che «il sesso è cultura e l’orgia rappresenta un momento di aggregazione». Con queste idee in testa i circoli Arci («Associazioni culturali e ricreative italiane», che per statuto si riconoscono nei valori democratici e antifascisti e che promuovono - rieccola - cultura socialità e solidarietà) gestiscono una serie di iniziative apparentate più al briatorismo che al marxismo. Dimenticate o comunque trascurate le remote pulsioni di durezza e di purezza proletaria e anticapitalista, questi centri aggregano giovani festaioli disposti a far le ore piccole, e a spendere, non per cambiare il mondo, ma per lasciarlo com’è, in un tripudio di parolacce. Infatti non prendono il nome, questi Arci, da Gramsci o da Lenin, si chiamano «Fuori orario» o «Puccia Recchia e i fancazzisti». Non è che nella versione originale questi (o queste?) Arci mi affascinassero, anzi. Ma avevano un evidente scopo propagandistico, e di proselitismo, che almeno meritava rispetto. La versione attuale non lo merita. volgare, bottegaia, ipocrita. Issa svogliatamente la bandiera di ideali perduti solo per lucrare esenzioni o sconti sulle tasse, e per fare concorrenza sleale - di questo i nostri cronisti hanno raccolto ampie prove - ai normali commercianti. Questa mistificazione a fine di lucro, questo intreccio furbastro tra l’Internazionale e la discodance, possono trovare posto tra i temi della questione morale. La sinistra che ha tuonato contro le organizzazioni cattoliche perché rivestivano di dignità religiosa manifestazioni turistiche o dopolavoristiche, offre poi un esempio assai più clamoroso di doppiezza issando la bandiera rossa sui suoi possedimenti goderecci e consumistici. Se sono bravi a trovar clienti e ad accontentarli, facciano pure. Ma senza la spintarella della socialità, che è la specialità della casa.