Sergio Rizzo, Corriere Economia 15/12/2008, 15 dicembre 2008
Non doveva andare così. Almeno nelle intenzioni del Tesoro: dove nessuno poteva immaginare che gli enti locali ne facessero un uso politico
Non doveva andare così. Almeno nelle intenzioni del Tesoro: dove nessuno poteva immaginare che gli enti locali ne facessero un uso politico. E quello è stato l’errore più grave. Autorizzati al solo scopo, com’è scritto chiaramente nella Finanziaria del 2002, «di contenere l’indebitamento», i derivati sono serviti a molti Comuni e magari pure a qualche Regione per puntellare conti pubblici traballanti, spostando il peso dei debiti in là negli anni. Con il risultato di ottenere un beneficio immediato: fare bella figura e avere più soldi da investire (magari alla vigilia delle elezioni). Tanto il conto sarebbe stato pagato dai successori. Questa situazione già da tempo allarma la Corte dei conti. L’ex superispettore del Secit Mario Casaccia, autore di clamorose denunce, ora magistrato contabile e presidente della Sezione di controllo del Molise, ha firmato pochi mesi fa una delibera sferzante: «Purtroppo è accaduto che gli enti locali hanno stipulato contratti pericolosi per ottenere liquidità immediata, illecito finanziario destinato a finalità non giustificabili dal punto di vista contabile e talvolta anche per coprire eventuali altri tipi di illeciti». Molti sindaci si sono così lanciati in operazioni spericolate, facendosi consigliare da consulenti finanziari che in qualche caso erano gli stessi funzionari della banca che proponevano l’«affare». Quasi sempre, soprattutto nel caso dei Comuni più piccoli, senza avere nemmeno la più pallida idea di che cosa stessero facendo e del rischio che i conti dell’ente da loro amministrato potessero correre. Né più, né meno, come tanti risparmiatori che negli anni scorsi compravano le obbligazioni ad altissimo rischio che gli suggeriva la banca. Ma con una differenza: che quei risparmiatori rischiavano i soldi loro, gli amministratori che si sono avventurati sul terreno dei derivati hanno rischiato i soldi di tutti. Il quadro preciso sarà presto tracciato dall’Anci, l’associazione dei Comuni presieduta da Leonardo Domenici. Ma non c’è affatto da stare allegri, considerando anche l’enorme mole di debiti che gli enti locali hanno ristrutturato con i derivati. Al 31 dicembre dello scorso anno erano 35 miliardi 276 milioni 487.781 euro. Quasi metà (16,5 milioni) delle Regioni e una somma analoga (15,3 miliardi) dei Comuni. Una bomba innescata. E a guadagnarci davvero, salvo qualche caso, sono state soltanto le banche. Per credere, leggere quello che hanno scritto i giudici della Corte dei conti in un rapporto dello scorso mese di gennaio: «Normalmente le pubbliche amministrazioni non sono neppure in grado di monitorare costantemente i loro derivati e pertanto restano, di fatto, costantemente soggette ai loro consulenti bancari che, avvantaggiati anche dal lungo termine dell’indebitamento, pot rebbero proporre loro ripetute ristrutturazioni in relazione all’andamento dei mercati, con conseguenti ulteriori esborsi di spread di negoziazione». un passaggio della relazione della Sezione di controllo siciliana a proposito di una operazione di «interest rate swap con vendita di opzione digitale» effettuata all’inizio del 2007 dal Comune di Marsala con una non meglio specificata «banca estera». Operazione che dopo meno di un anno, secondo quanto sostiene la Corte dei conti, avrebbe rischiato «di determinare una notevole perdit a, quantificata in 2.307.196,41 euro». Ma gli stessi concetti sono applicabili alla stragrande maggioranza delle situazioni. Il Comune di Reggio Calabria, per esempio. Nel 2006 la giunta reggina, guidata ininterrottamente a partire dal 2002 dall’ex segretario nazionale del Fronte della gioventù Giuseppe Scopelliti, ha stipulato tre contratti di derivati con Bnl, Banca Intesa e Unicredit. Prescindendo da ogni valutazione sugli effetti finanziari, i magistrati contabili concludono: « accertato che l’operazione è stata stipulata senza preventiva gara, in violazione della normativa sull’acquisizione da parte delle amministrazioni pubbliche di servizi finanziari». Non prima, però, di aver stigmatizzato: «Il Comune in esame non pare fornito di figure professionali interne munite di sufficiente esperienza e professionalità atte a valutare appieno l’operazione di swap proposta e sottoscritta, né risultano a questa Corte precedenti importanti di esperienza in operazioni bancarie a rischio da parte del Comune ». Ma perfino quando i derivati vengono utilizzati con professionalità e oculatezza, e riescono a portare sollievo ai bilanci pubblici, non manca qualche insidia. Come hanno rilevato i magistrati contabili della Lombardia. Nel 2002 la Regione guidata da Roberto Formigoni ha stipulato un contratto di finanza derivata con Ubs Warburg e Merrill Lynch il relazione all’emissione di un bond da oltre un miliardo di euro. Contratto firmato con un apposito formulario che prevede uno schema sul quale, nonostante sia «molto diffuso all’interno della comunità finanziaria internazionale», dice la Corte dei conti, «sussistono alcuni dubbi in ordine all’opportunità che esso venga adottato dagli enti pubblici italiani nell’ambito di negoziazioni finanziarie particolarmente complessi». Anche perché, sottolineano i giudici, il contratto è esclusivamente «in lingua inglese», e questo richiede «sia a chi lo sottoscrive sia a chi deve effettuare le verifiche una partic olare e specifica competenza non solo finanziaria ma anche linguistica, riferita alla specifica terminologia tecnica». Come se non bastasse, aggiunge la Corte dei conti, «l’intero rapporto contrattuale è regolato dalla legge e dalla giurisdizione inglese». Quindi, «vale la pena di mettere in luce che ove si profilasse un contenzioso fra le parti, per qualsivoglia causa, la Regione Lombardia non potrebbe adire la giustizia italiana, ma dovrebbe adire i giudici inglesi, con conseguenti maggiori oneri, oltre che difficoltà di conoscenza della legislazione sia sostanziale che processuale ». Non sarà certamente questo il caso, (l’operazione avrebbe finora assicurato soltanto vantaggi alla Regione) ma si tratta di osservazioni non campate per aria. Come anche quelle relative al fondo che è stato costituito per rimborsare gli obbligazionisti : un fondo che poi viene utilizzato dagli intermediari finanziari per investire su un paniere di titoli. In questo caso, afferma la Corte del conti, «il rischio assunto dalla Regione non è assoluto ma è comunque sussistente, sia pure in astratto. Poiché, fatto salvo il ricorso alle procedure giudiziarie dinanzi al giudice inglese, l’ente non ha alcuna tutela immediata in caso di semplice inadempimento dell’intermediario». Sergio Rizzo