Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  dicembre 14 Domenica calendario

No, non sono deluso», s’è affrettato a dire quando ha riabbracciato la moglie Francesca, con l’occhio spiritato del naufrago e il viso smagrito dalla sgobbata

No, non sono deluso», s’è affrettato a dire quando ha riabbracciato la moglie Francesca, con l’occhio spiritato del naufrago e il viso smagrito dalla sgobbata. Ma all’impresa fantastica di Alex Bellini è sfuggito l’ultimo dettaglio, l’estrema inezia per concludere davvero, come aveva promesso, la traversata dell’Oceano Pacifico in barca a remi. Ieri quando mancavano 65 miglia alle coste australiane, il trentenne vogatore italiano ha lanciato l’Sos. Basta, sono sfinito venite a prendermi. Le previsioni annunciavano tempo orribile, e così, d’accordo con la consorte, coordinatrice dell’immane sforzo, il suo team ha deciso di andarlo a prendere e di rimorchiarlo fino a riva. Di tempeste sferzanti e onde arroganti, Bellini ne aveva ben viste. Perché con a forza di braccia aveva già percorso 18mila chilometri nel deserto d’acqua salata. Laggiù, a un soffio dalla fine, s’è arreso. «Non sono riuscito a raggiungere la terraferma, ma la traversata è riuscita, non ho messo la ciliegina sulla torta, ma la torta era molto buona, non la dimenticherò mai più». Ed è proprio quella ciliegina assente che sfuma d’assurdo la titanica avventura, che l’avvicina a un racconto di Borges o a un paradosso filosofico. Quante volte ci fecero studiare a scuola che il piè veloce Achille non raggiungerà mai la lentissima tartaruga. Sembrava impossibile, una beffa logica di Zenone, invece, ieri, qualcosa del genere è accaduto con il litorale australiano, respinto all’infinito dai marosi. Alex Bellini, è nato 30 anni fa ad Aproca, provincia di Sondrio, dove di mare non c’è neppure uno spruzzo, e vive da anni a Trieste. Per la traversata del Pacifico, era partito da Lima, in Perù, il 21 febbraio, senza assistenza. Con sé, sulla barca di sette metri, teneva 300 kg di cibo secco e liofilizzato, un’attrezzatura per rendere potabile l’acqua di mare. E tonnellate di volontà per resistere alla fatica, alla solitudine, alla paura, alla nostalgia dei tiramisù, degli alberi, della moglie. Con il mondo asciutto parlava tramite cellulari (alla fine si sono guastati e funzionavano solo gli sms). Tutta l’impresa è stata aggiornata in tempo reale sull’apposito sito web. Oltre al «Diario di bordo», ai messaggi di amici e sostenitori appesi su un «muro» virtuale, c’è il diario della moglie che ha narrato la lunga attesa, come «Penelope». E un orologio, per contare il tempo trascorso in mare, che ieri continuava a marciare imperterrito, secondo dopo secondo, come se il computer non volesse credere alla fine dell’impresa. Bellini è uomo di coraggio. Uno abituato a sfidare la natura in ogni elemento, ad armi pari, anzi, impari. Nel 2005 ha traversato a remi l’Atlantico (ha raccontato tutto in un libro), ha fatto la «Marathon des Sables», la terribile corsa di 250 km nel Sahara, ha domato i ghiacci dell’«Alaska ultrasport». Qualche giorno fa aveva raccontato a «Caterpillar», la trasmissione di Radio2 che lo segue fin dall’Atlantico, che stava combattendo da tre settimane contro venti e correnti immani. «Non vedo l’ora di chiudere la partita - aveva detto -. Vivo questi giorni staccato dal presente con il solo desiderio di anticiparlo, il presente». Guatava il mare quasi fosse un avversario astuto e ingiurioso, per carpirne le mosse, le intenzioni, e non farsi trovare impreparato. A Francesca, per sms, aveva scritto: «Non mi importa dove, ma voglio raggiungere terra. La terra più vicina. Voglio sentire i miei piedi su qualcosa di fermo, dormire in un letto. Piango all’idea di rivedere te. Remerò 24 al giorno per raggiungerti il prima possibile». E la moglie, che sa navigare nel cuore di Alex senza carte nautiche, che sa leggere anche dietro le parole, aveva capito che qualcosa si stava spezzando dopo dieci mesi tra i flutti. Sapeva, che lui, laggiù era esausto, provato, forse vicino al crollo: «Qualche giorno di vento forte potrebbe significare qualche settimane in più in mare e psicologicamente credo non sia più sostenibile». Quando ieri è arrivata la richiesta, a sole 65 miglia nautiche dall’Australia, Francesca ha avvertito la guardia costiera. E’ partita una nave di soccorso, e un aereo per localizzarlo. E alle sette di ieri mattina (ore italiane) una imbarcazione l’ha tirato fino a riva. «Ero così vicino», ha sussurrato Bellini appena sceso a terra, con 15 chili in meno, «ma le previsioni per la notte erano brutte... così ho deciso, di concerto col mio team, di chiedere un rimorchio. Sto bene, presto starò meglio». Bellini è l’uomo che ha trascorso più giorni di seguito, da solo, in mare su una barca a remi: 295. Se abbia tecnicamente fallito l’impresa pacifica, per quelle ultime, sporche miglia, concluse a motore, bisognerà aspettare il verdetto ufficiale di chi stila le genealogie dei record. Ma come Pietri, che crollò a poche centinaia di metri dal traguardo della maratona, è pronto a entrare nel futuro. Perché il mito non va d’accordo con i notai. E’ sempre incline ad accogliere i coraggiosi che talvolta sanno arrendersi. Umani, troppo umani, anche se si sognano titani.