Paolo Manzo, La Stampa 14/12/2008, 14 dicembre 2008
Umiliate, torturate, violentate e uccise. In Messico è in corso un «femminicidio» e il massacro non è limitato a Ciudad Juarez, il caso che più ha scioccato l’opinione pubblica, studiato dai criminologi di tutto il mondo
Umiliate, torturate, violentate e uccise. In Messico è in corso un «femminicidio» e il massacro non è limitato a Ciudad Juarez, il caso che più ha scioccato l’opinione pubblica, studiato dai criminologi di tutto il mondo. Nella città di frontiera, separata dal sogno americano appena da un ponte, negli ultimi 15 anni sono state massacrate 544 donne e migliaia si sono volatilizzate nel nulla ispirando decine di libri, e un film. Ma non è l’unica città dove la vita delle donne non conta più nulla. «Dai dati raccolti in questo paese viene uccisa, in media, una donna ogni sei ore. una situazione vergognosa paragonabile a quella dell’Afghanistan», denuncia con il groppo in gola Angela Alarache poco dopo aver presentato l’ultimo studio dell’Università di Città del Messico (Unam) sulla violenza contro le donne. Dati snocciolati nell’auditorium 8 marzo 1857 della Scuola per il Lavoro Sociale di Città del Messico in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, istituita nel 1999 dall’Onu per ricordare questa piaga il 25 novembre di ogni anno. «In Messico viene uccisa una donna ogni sei ore - spiega Angela - ma anche chi sopravvive non è immune da altre torture». In base alle stime il 40% delle donne è stato violentato almeno una volta nell’arco della vita dal suo compagno. Secondo l’Inegi, l’Istat messicano, il 60 per cento delle donne dai 15 anni in su dichiara di avere subito qualche violenza durante l’ultimo rapporto sentimentale con il partner, mentre 9 su 10 sono state vittime di reati. Purtroppo poche hanno il coraggio di denunciare alla polizia le umiliazioni, spesso perché minacciate dall’ambiente circostante o forse perché consapevoli che, nella stragrande maggioranza dei casi, in Messico è l’impunità a farla da padrone. «Non si tratta di violazioni di diritti umani commesse una tantum da un singolo nei confronti di una sola vittima, ma di azioni generate da uno standard diffuso di violenza contro un gruppo specifico», spiega «Analisi del femminicidio in Messico nel 2007-2008», uno studio diffuso in questi giorni da un gruppo di 43 organizzazioni non governative. Del resto non è un caso che il termine femminicidio sia diventato molto usato da queste parti. Prima grazie al clamoroso e irrisolto dramma di Ciudad Jurez dove, anche per cercare di ovviare al problema d’immagine, era stata messa a capo dell’amministrazione della Polizia locale una donna. Purtroppo, però, la direttrice Silvia Molina è stata uccisa lo scorso 16 giugno da 10 colpi di arma da fuoco mentre parcheggiava l’auto nel garage di casa sua. Recentemente, nel gennaio di quest’anno, grazie alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani dell’OEA che ha denunciato il Messico per femminicidio di fronte alla Corte Interamericana per i Diritti umani. Una prima assoluta che testimonia la gravità della situazione. In molti si chiedono se basti il tradizionale machismo messicano per spiegare tutta questa violenza contro le donne. «Sicuramente aiuta ma, alla base, c’è una diffusissima impunità sociale», spiega Mara Etelvina Prez, membro dell’Istituto Nazionale delle Donne (Inmujeres) che proprio in questi giorni ha lanciato «Uomini contro la violenza», una campagna radio-televisiva che tramite annunci di celebrità sportive - tra cui il noto lottatore mascherato Blue Panter - conduttori di telegiornali, cantanti e attori di novelas, sino a metà dicembre cercherà di convincere gli uomini messicani a smetterla di picchiare le donne. Obiettivo principale? Rendere consapevole il sesso maschile della necessità di un cambio culturale per farla finita con l’origine della violenza, che è molto spesso familiare. Sergio Gonzalez Rodriguez, giornalista-scrittore, è un’altra voce maschile che ha cercato di dar voce alla disperazione delle migliaia di donne messicane, lasciate sole con se stesse e con un dolore che solo la scomparsa di una figlia o di una sorella può provocare. Non a caso, dopo la pubblicazione del suo libro «Ossa nel Deserto», con in copertina le croci rosa che tappezzano il deserto dello stato di Chihuahua, ha cominciato a subire minacce di ogni tipo. Perché oltre all’impunità chi massacra una donna vorrebbe anche il silenzio. Ma chi sono le vittime? Nel 90 per cento dei casi hanno un’età compresa tra i 10 e i 35 anni e soprattutto negli Stati del Nord del Messico, i più violenti assieme alla capitale, sono spesso donne sole, emigrate da altre regioni del Paese alla ricerca di un futuro migliore per lavorare nelle maquiladoras, le fabbriche di assemblaggio delle multinazionali. Sette sataniche, narcotraffico, snuff movies, fantomatici serial killer. Gli omicidi delle donne messicane sono stati collegati alle più svariate ipotesi d’indagine da parte della autorità locali e hanno una dinamica che li accomuna nella stragrande maggioranza dei casi: sequestro che si protrae per più giorni, tortura, violenza sessuale, morte. Ma, sinora, i colpevoli restano quasi sempre impuniti. Sadismo diffuso L’uso sistematico della tortura si lega a una cultura «machista» e criminale dove la vittima è solo un oggetto.Prostituzione e pornografia I «narcos» hanno creato uno stato nello stato, dove vige l’impunità. Le donne rapite servono per il mercato della prostituzione e della pornografia.