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 2008  dicembre 14 Domenica calendario

c ustodisce un amabile vezzo infantile con l´umiltà dei grandi Carlo Fruttero, ottantadue anni. Sorride leggermente indicando il registratore digitale, «cosa è, un sottomarino?», scherza con l´abituale vena ironica

c ustodisce un amabile vezzo infantile con l´umiltà dei grandi Carlo Fruttero, ottantadue anni. Sorride leggermente indicando il registratore digitale, «cosa è, un sottomarino?», scherza con l´abituale vena ironica. Finora il celebre scrittore, legato per cinquant´anni a Franco Lucentini in un indissolubile sodalizio letterario, non aveva mai scritto libri per ragazzi. Ma, nell´età che ad alcuni regala ancora il sapore della sfida, forte del suo passato di costante narratore di fiabe per figlie e nipoti, ha affrontato nientemeno che la Genesi con una filastrocca, La Creazione (Gallucci, illustrazioni di Cristina Lastrégo & Testa, 13 euro): «L´unica forma possibile, secondo me». Una sarabanda dove accade di tutto e dove il mondo prima si forma e poi si perfeziona. Per finire il settimo giorno con il comprensibile dubbio del «cosa mai voglia dire il pur nobile guazzabuglio», disincantata introduzione per una chiusa laica e intelligente: «Nessuno lo sa, francamente. Dovremo aspettare il cimitero, virgola, temo». Ma come mai l´ex direttore di Urania, l´uomo divenuto scrittore grazie a un´adolescenza passata a leggere e a una giovinezza immolata a tradurre, l´autore con Lucentini di una ventina di libri dalle molte e fortunate edizioni, a partire dall´indimenticabile La donna della domenica, ha cambiato pelle per dedicarsi a una filastrocca sulla creazione dell´universo, seguendo la versione ufficiale della Bibbia e «sotto l´alto patrocinio dell´Onnipotente?». «L´idea l´ha avuta l´editore, ne ha parlato con Furio Scarpelli che gli ha suggerito di provare con me. Lì per lì mi sembrò un´assurdità. Come si fa, mi sono detto, a scrivere un libro sulla Genesi? Che puoi fare con il linguaggio della Bibbia? La parodia goliardica? Il dislivello tra il racconto epico e una lettura più o meno infantile è immenso. Non vedevo via d´uscita. Poi, dopo una decina di giorni, di colpo mi è venuta in mente la filastrocca. Un genere complicato, non so se poetico, ma certo difficile. Ci ho messo un mese a scriverla, lavorando al mattino». «Meno di un mese», lo corregge Carlotta, la figlia con cui abita vicino al mare in Toscana. «Papà detta a me tutto quello che scrive, poi rilegge e cambia al massimo qualche aggettivo». Riprende lui: «Dopo un po´ mi sono lasciato affascinare dalle rime; prima d´ora non mi ero mai cimentato con le filastrocche. Mentre con le poesie sì, quando pubblicai con Lucentini L´idraulico non verrà (1970), per Il Melangolo. Un ricordo del passato per annunciare il libro futuro. «Si tratta di un´autobiografia dal titolo un po´ truffaldino, Mutandine di chiffon», azzarda con malizia fanciullesca. «Uscirà forse in primavera. Intendiamoci, non è una vera autobiografia, almeno non in senso classico; per farlo bisognerebbe avere un´idea statuaria di se stessi o l´ambizione di lasciare una traccia, il che oggi suona ridicolo... Le mie sono piuttosto memorie occasionali. Qualcuno mi aveva fatto notare che avevo scritto vari pezzi sulla mia vita, uno su Parigi, uno sulla guerra, uno sul Monferrato, uno sul castello di Passerano dove si può dire che sono nato. Tutti articoli casuali, come quello che una volta mi chiese Tv Sorrisi e Canzoni, sulla vendemmia. E io raccontai di come andavo a farla, da bambino, a Passerano. O un´altra volta che, mentre mi stavo occupando di Simenon, mi venne di scrivere del paesaggio francese e dei luoghi bellissimi dove avevo girato in macchina. Anche Mutandine di chiffon è un pezzetto di memoria. Di quando, durante la guerra, abitavo coi miei in affitto sulle precolline torinesi e andavo a portare i soldi ogni mese al padrone di casa. Un tipo grasso, che se ne stava sempre con il suo sigaro in bocca? Accadde che, dopo la guerra, un mio amico mi portò in un teatro all´aperto lungo il fiume a sentire un famoso cantante degli anni Venti, quello che cantava Balocchi e profumi... E lo fece anche quella sera, aveva le lacrime agli occhi. Poi, però, passò a brani più spigliati. E tra questi c´era Mutandine di chiffon. L´indomani, a casa, quel motivetto mi tornò in mente e mi misi a canticchiarlo. Finiva in modo pazzesco (ammicca divertito): "?quando vi affacciate, quante cose sollevate". A un certo punto mia madre mi fa: "Cosa fai, canti le canzoni di Bel Ami?". E mi rivela che Bel Ami era nientemeno il nostro padrone di casa, l´autore di successo di Mutandine di Chiffon». Stralci di memoria «per di più occasionali, perché mancano molti pezzi della mia di vita. Per esempio il periodo in cui ho vissuto a Londra o a Parigi. Fu tra il ´47 e il ´53. Me ne ero andato dall´Italia, che in quel momento trovavo terribile, per non stare a Torino. Ed ero pronto: durante la guerra ero stato in campagna, in casa di mia nonna. E poiché, per mia fortuna, in cima alla montagna c´era un enorme castello con un´immensa biblioteca, in mancanza d´altro avevo passato intere giornate a leggere. E avevo imparato l´inglese, da un prete. Ci andavo in bicicletta. Quel periodo condizionò la mia vita per sempre. Presi a scrivere raccontini su tutto quello che avevo visto: partigiani, rastrellamenti? li pubblicai anche, due o tre uscirono su Il Ponte. Intanto nel ´52, tramite amici che erano in Giustizia e Libertà, ero entrato in contatto con Einaudi. E cominciai a tradurre. Mi portavo il lavoro a Parigi, a Londra. In seguito mi chiesero di entrare nella casa editrice. Io ero contrario, mi sembrava di rinunciare alla libertà, ma alla fine accettai. Il mio primo lavoro fu correggere il testo italiano del Diario di Anna Frank; l´aveva fatto un olandese, perché allora traducevano spesso gli stranieri, in quanto nel nostro paese certe lingue non le conosceva nessuno». «Nel ´53 incontrai Franco Lucentini, a Parigi. Lui aveva scritto un bellissimo racconto per Nuovi argomenti, molto metafisico? diventammo subito amicissimi. Avevamo in comune, come dicevamo allora, molti disinteressi, ed eravamo ambedue un po´ diversi da tutti gli altri. A un certo punto curammo insieme una grossa antologia di fantascienza: Le meraviglie del possibile, che per Einaudi fu un grandissimo successo. Leggemmo trecento racconti per sceglierne trenta. E verificammo che andavamo davvero molto d´accordo. Allora ci siamo detti: adesso che abbiamo letto tutto il possibile, perché non proviamo a scrivere qualcosa insieme? Così un´estate, a Forte dei Marmi, c´era già la mia prima figlia, cominciammo a lavorare a una tragedia elisabettiana. Era una parodia, si chiamava La battaglia di Vercelli. Scrivemmo solo un atto e mezzo... poi abbiamo lasciato perdere, volevamo tentare con un romanzo, con un poliziesco. Era La donna della domenica, ci lavorammo dal ´66 al ´72. Un tempo lungo, perché nel frattempo dovevamo fare Urania». Fu quando Alberto Mondatori, trovandosi senza direttore, vi offrì quel posto vacante? «Noi accettammo, con grandissima indignazione di Einaudi e di Calvino. Per loro un conto era curare una raccolta chic di racconti di fantascienza, altra cosa era andare a dirigere un quindicinale per tutti. Il nostro era considerato un tradimento, qualcosa di incomprensibile, un abbandono della serietà. Non capivano che noi di quel loro club c´eravamo un po´ stufati. Quella svolta cambiò la nostra vita: scegliere quel genere così poco da club ci aiutò a scrivere La donna della domenica in un modo popolare, il che portò il libro al successo. Ma fu anche una scelta di umiltà. Di gente che, come noi, aveva il senso delle proporzioni. Perché, dopo Proust, dopo Kafka, dopo Flaubert, dopo Tolstoi, cosa vai a parlare dell´animo umano? Sarebbe insensato. Il nostro fu un modo per marginalizzarsi, per trovare un sentierino e per girargli attorno. Non ci aspettavamo quel successo, pensavamo fosse un buon romanzo, ma niente di più. Tra l´altro era il ´72, c´erano le occupazioni, cominciava il fenomeno delle Brigate rosse, il momento era difficile e quello era solo un poliziesco? da quel momento il mio sodalizio con Lucentini si consolidò definitivamente: la nostra fu una specie di carriera comune, portata avanti tra difficoltà enormi, perché tutto era difficile. Io andavo spesso da lui, nella sua casetta vicino Fontainbleau o lui veniva da me. Quando eravamo insieme, con Lucentini, nessuno di noi ha pensato di scrivere qualcosa da solo, ci veniva bene in due e basta. Per i romanzi ci siamo sempre divisi i capitoli, perché scrivere insieme è impossibile. Solo la rilettura può essere comune. L´avventura di Urania, durò più di vent´anni, fino al 1986. Io vivevo dei miei libri e dei miei scritti; pubblicavo sulla Stampa, su L´Espresso, su Panorama. A un certo punto, nel ´92, mettendo insieme tutti gli articoli, venne fuori Il ritorno del Cretino, un altro successo». Nel 2002 Lucentini morì e lei decise di scrivere un romanzo da solo. «Non ho deciso niente. Sono stato lì rannicchiato per un po´. Poi, con il tempo, quasi per caso, è riaffiorata un´idea che mi ronzava in testa da una quindicina d´anni. Andando da Parigi in Germania, in stazione, mi era capitato di comprare Jacques le fataliste di Diderot: non un gran libro ma con, incastrata nel contesto, una storia che mi colpì molto. Di una marchesa che rompe la relazione con l´amante marchese. Ma, poiché lui si dice d´accordo, lei ci resta male e si vuole vendicare. Va in un bordello, trova una prostituta bellissima e sua madre: con una borsa d´oro le convince a fingersi una famiglia impoverita e irreprensibile che prega e fa opere di bene. La marchesa fa conoscere al marchese le due donne e lui s´innamora della ragazza. La corteggia, le offre regali, la vuole per sé. Ma lei si nega, sempre, finché lui la sposa. E solo dopo si rivela per quello che era. Allora lui va su tutte le furie, la vuole cacciare, alla fine però ci ripensa e l´amore trionfa. La storia mi piacque immensamente, ne parlai con Franco, ma insieme convenimmo che trasferire la storia a Torino non aveva senso. In seguito, dopo la sua morte, cominciai a sentire tante storie di badanti, di accompagnatrici ucraine, rumene, anche ex prostitute, giovani e belle. Allora capii che Torino poteva ormai reggere una storia così, perché c´era questa novità sociologica dell´arrivo delle donne dell´est». Così nel 2006 nacque Donne informate sui fatti. Un successo personale. Ne è stato felice? «Non più alla mia età. Solo un piacere, niente di più. Mentre con Ti trovo un po´ pallida, ho voluto fare un ritratto di Pietro Citati. Era il rifacimento di un libro scritto con Franco anni prima. Pietro è un mio grande amico. sferzante, ma molto affettuoso con me e viene spesso a trovarmi. Gli ho mandato una copia della Creazione. Era fuori di sé dalla gioia. Mi ha detto: "Come hai fatto, vecchio come sei?"».