Sergio Romano, Corriere della Sera 14/12/2008, 14 dicembre 2008
Come fa il presidente Berlusconi a chiedere agli italiani di consumare di più in questo clima di incertezza per il futuro? Se una famiglia ha un piccolo risparmio lo deve spendere per far lavorare le industrie? La civiltà contadina ci ha insegnato che nei periodi di vacche grasse bisogna risparmiare per i periodi di vacche magre, invece la civiltà attuale ci insegna a spendere e sperperare a più non posso senza pensare al domani
Come fa il presidente Berlusconi a chiedere agli italiani di consumare di più in questo clima di incertezza per il futuro? Se una famiglia ha un piccolo risparmio lo deve spendere per far lavorare le industrie? La civiltà contadina ci ha insegnato che nei periodi di vacche grasse bisogna risparmiare per i periodi di vacche magre, invece la civiltà attuale ci insegna a spendere e sperperare a più non posso senza pensare al domani. Ora siamo costretti a fermarci perché siamo scoppiati. La soluzione (a lungo termine) potrebbe essere quella di indirizzare gli investimenti verso i Paesi del Terzo Mondo (con uno sforzo globale) e far ripartire la domanda da questi Paesi. Province e Comuni: in Italia ci sono circa 8.100 Comuni con una media di 7.400 abitanti per Comune compresi quelli delle città grandi e piccole. Prima di pensare ad abolire le Province perché non pensiamo ad unificare i Comuni più piccoli fino a un minimo di 25.000 abitanti per Comune. Sono convinto che ci sarebbe un risparmio maggiore dell’abolizione delle province. Oreste Mazzi afror@libero.it Caro Mazzi, Il presidente del Consiglio non è il solo italiano che suggerisce ai suoi connazionali di consumare. In un articolo apparso su La Stampa del 6 dicembre, l’economista Mario Deaglio indirizza lo stesso suggerimento a tutti gli europei. E giustifica le sue considerazioni ricordando che fra gli americani e i cittadini dell’Ue esiste una fondamentale differenza. Gli americani hanno vissuto per due generazioni al di sopra dei loro mezzi: «Le famiglie sono state abituate a spendere oggi i soldi che presumono di incassare domani; per anni i consumi sono stati alimentati dai guadagni di Borsa, ora la riduzione dei consumi è determinata anche dalle perdite del listino; le loro carte di credito non hanno più credito residuo, i conti in banca sono quasi sempre in rosso. Non si può quindi far conto su un sussulto della voglia di consumare che non sarebbe accompagnata, sempre nel breve periodo, da alcuno strumento finanziario per soddisfarla ». La situazione nell’Ue è alquanto diversa perché, secondo Deaglio, «quando spendono o, viceversa, decidono di non spendere, gli europei – con l’eccezione degli inglesi – spendono o non spendono soldi propri». L’analisi di Deaglio è confermata da un grafico sul risparmio europeo pubblicato dal Sole 24 Ore del 7 dicembre. Quasi tutti i Paesi dell’Ue hanno un risparmio mediamente superiore al 6%, mentre due di essi (Italia e Francia) sfiorano il 12%. Questi dati hanno una considerevole influenza, tra l’altro, sull’affidabilità delle cartelle del debito pubblico che i singoli Paesi lanceranno sul mercato nei prossimi mesi allo scopo di finanziare le maggiori spese stanziate per i risanamenti delle banche, gli aiuti all’industria, soprattutto automobilistica, e il credito al consumo. Il governo italiano sostiene che il «rating » di uno Stato, vale a dire la sua capacità di onorare i debiti, non debba essere deciso soltanto sulla base del suo debito pubblico (in Italia particolarmente elevato: 104% del Pil), ma anche su quella del risparmio delle famiglie. Il Belgio, per esempio, ha un debito pubblico inferiore al nostro (80%), ma il risparmio delle sue famiglie è inferiore di due punti a quello dell’Italia. Il problema verrà discusso al prossimo G20 (la nuova formazione collaudata a Washington nelle scorse settimane), ma il mercato e le agenzie di rating, secondo il Sole 24 Ore, «si sono già mossi in questa direzione». Naturalmente, ricorda Deaglio, non si tratta di «"consumare per consumare", ma di non rinunciare a consumi abituali per paure irrazionali; si può così costituire uno "zoccolo duro" di tenuta nei prossimi mesi sul quale provare a costruire una ripresa, magari con nuovi prodotti più a buon mercato». Quanto alla fusione dei Comuni, caro Mazzi, non escludo che l’operazione possa essere in alcuni casi giustificata e produrre, a medio o lungo termine, buoni risultati. Ma l’esperienza insegna che a breve termine, nella maggior parte dei casi, questi matrimoni hanno per effetto la somma degli organici dei due coniugi. Provi a immaginare quante persone dovrebbero essere licenziate se l’operazione venisse realizzata su vasta scala con i criteri che lei sembra suggerire. A quante insurrezioni comunali dovrebbe fare fronte il governo?