L.Cr., Corriere della Sera 14/12/2008, 14 dicembre 2008
Come si fa a spiegargli che per gran parte della stampa mondiale lui ha fallito? Un po’ ci si sente in colpa
Come si fa a spiegargli che per gran parte della stampa mondiale lui ha fallito? Un po’ ci si sente in colpa. La sua voce arriva felice dal telefono. Come contrariarlo, deluderlo, amareggiarlo a colpi di docce fredde? «Recuperato in mare il navigatore italiano», «fallisce a 100 chilometri dall’obiettivo», «si arrende vicino alla fine», titolano le agenzie internazionali. Alex Bellini sembra rilassato, ben contento di spiegare. «Ho vinto la mia sfida – dice subito ”. Ho attraversato in solitaria l’Oceano Pacifico con la mia barca a remi lunga sette metri e mezzo. Ben 295 giorni di fatica e lotta con il mare e me stesso. Dal Perù all’Australia sono 7.700 miglia (un miglio marino è pari a 1, 8 chilometri, fate voi il calcolo), io, causa correnti e venti, ne ho vogate ben 9.000». E allora perché fermarsi in mare? Partendo da Lima il 21 febbraio, dalla sua barchetta in vetroresina e coperta di pannelli solari ci aveva spiegato che pensava di arrivare al porto di Sidney più o meno a fine novembre. Con le sue braccia però, non a bordo di un cargo della Nuova Caledonia che l’altro giorno per caso passava a sei miglia da lui e lo ha condotto con la sua «Atacama due» al porto australiano di Newcastle, dove ha potuto riabbracciare Francesca in lacrime per l’emozione. un po’ come l’alpinista, che ha un bel spiegarci che per lui la cima della montagna è stata raggiunta, anche se si è fermato 20 metro sotto. O ha toccato la vetta, oppure no. E lui sulla costa australiana con le sue forze non ci è arrivato. Bellini ha uno scatto di impazienza: « un paragone che non ha senso per una barca a remi. Ero arrivato a 55 miglia dalla costa. Nell’ultimo mese però le condizioni del Pacifico in quella zona erano del tutto inusuali. Rischiavo di essere spinto verso la Nuova Zelanda. La mia non è stata una resa, ma la consapevolezza matura che davvero il mio lungo viaggio era terminato». Però negli ultimi tempi tante cose non erano andate per il verso giusto. L’euforia dei primi mesi si era piano piano affievolita e stava crescendo l’angoscia. Poi, una quarantina di giorni fa, era quasi annegato quando si era rovesciato con il portellone della cabina aperto. Lui stesso ammette: «Negli ultimi 40 giorni avevo perso la forma fisica, mi sentivo esaurito, il corpo non reagiva più. Come un castello di sabbia, compatto quando è ancora umido. Ma poi via via sempre più fragile quando si asciuga». Pure aggiunge: «Per me è stato un successo. Ho vinto. Giudicare dalle ultime decine di miglia sarebbe come condannare 100 anni di una vita vissuta bene per l’ultimo anno con qualche errore ». L. Cr.