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 2008  dicembre 13 Sabato calendario

FABIO POZZO

Il petrolio sull’ottovolante, sensibile alle oscillazioni delle borse. Così, se l’altroieri era volato, sfondando quota 47 dollari, sulla scia della possibilità che la Russia entri nell’Opec, ieri ha riperso terreno dopo il «no» del Senato Usa al piano di aiuti all’auto: il prezzo del barile a New York ha aperto le contrattazioni in calo del 7,3% a 44 dollari e poi ha chiuso a 46,28. Il bello, però, probabilmente deve ancora venire.
L’attesa è per mercoledì prossimo, quando il cartello dei produttori di greggio si riunirà ad Orano, in Algeria. Che accadrà? Il Financial Times cita analisti secondo cui servirà un altro taglio da almeno 1,5 milioni di barili, o i prezzi potrebbero crollare fino a 30 dollari al barile. Ma c’è chi prevede anche un taglio da 2 milioni di barile e chi si spinge a ipotizzare perfino 3 milioni. Pochi giorni fa il presidente dell’Opec, l’algerino Chalib Khelil, aveva avvertito che sono possibili «sorprese».
In realtà, tutto già visto. Lo scorso ottobre il cartello degli esportatori aveva già ridotto l’offerta di 1,5 milioni di barili il giorno, dopo che l’oro nero era sceso sotto i 70 dollari . Ma il calo dei prezzi è proseguito e ha riacceso le richieste di altri interventi da parte di vari stati membri. Si è sfiorato un altro taglio al vertice del Cairo, a fine novembre, ma vi sono state resistenze e perplessità da parte dei governi che ritengono che qualcuno stia «barando»: si sottoscrivono i tagli ufficiali, ma poi non ci si adegua sulla rispettiva produzione.
Certo, qualcosa i produttori dovranno fare. Il prezzo del petrolio, dopo il massimo del luglio scorso a 147 dollari, è in caduta libera. Goldman Sachs, che aveva previsto 200 dollari il barile entro fine 2008, ha drasticamente rivisto il suo outlook sul mercato del greggio e ha annunciato che stima un prezzo medio a 45 dollari nel corso del 2009. Con la possibilità che nei primi tre mesi del prossimo anno, il barile scenda, appunto, intorno ai 30 dollari. I paesi «falchi», come Iran, Libia, Ecuador e Venezuela, auspicano un taglio rilevante alla produzione, per poter incoraggiare la risalita delle quotazioni.
A pesare sulle decisioni del cartello potrebbe essere proprio la Russia. Attualmente, l’Opec conta su 13 membri che rappresentano circa il 43% della produzione mondiale di greggio; quota che salirebbe oltre il 50% sommando anche il 12,6% dei giacimenti russi. L’organizzazione si è sempre detta pronta ad accogliere la Russia nei suoi ranghi; Russia invece si era sempre rifiutata di aderire perché significherebbe piegarsi al sistema delle quote mentre starne fuori consente di beneficiare dei tagli alla produzione altrui senza ridurre la propria capacità. Ma il crollo del prezzo del barile - e quello dei consumi: 85,8 milioni di barili al giorno l’attesa per il 2008, il valore più basso dal 1983 - potrebbe costringere il presidente Dmitrij Medvedev, il cui governo ha gà annunciato un taglio alla produzione, a rivedere la posizione. «Dobbiamo difenderci, è una questione vitale per il nostro paese e per il suo sviluppo».
Non tutti, però, vedono l’ingresso della Russia nell’Opec come un rinforzo dell’ala più aggressiva del cartello. «Non la vedrei male, è un produttore di petrolio, porterebbe un elemento di raziocinio e di buon senso» ha detto ieri a Bruxelles il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che sposa l’idea del premier britannico Gordon Brown per il quale «si dovrebbe trattare con i paesi produttori per fissare un minimo e un massimo per le quotazioni». «E’ un’ipotesi difficile, ma che consentirebbe un viaggio nel futuro senza scossoni» rileva Berlusconi.
Il discorso s’è poi allargato all’entrata della Libia nel capitale Eni. «Nuovi investimenti Italia? Non so, chiedete a Gheddafi» ha detto il premier «A noi va bene che sia un produttore di petrolio», ha poi aggiunto. E un interesse libico su Finmeccanica? «No, non lo so». Il presidente, invece, sul prezzo della benzina che non scende in Italia con altrettanta velocità rispetto alle quotazioni del greggio, ha detto che il governo «sta facendo pressioni». «Ma siamo un governo liberale, non è che possiamo... Ne ho parlato con il ministro Scajola, vediamo un po’...».