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 2008  dicembre 13 Sabato calendario

E’ l’uomo di cui la politica improvvisamente ha una gran paura. Da quando s’è scoperto che il pm De Magistris l’aveva sguinzagliato sulle tracce dei suoi indagati calabresi, e da lì, esaminando i traffici telefonici, è arrivato a documentare i colloqui tra Saladino e Mastella, ma coinvolgendo nelle sue perizie mezzo Parlamento italiano, i vertici dei servizi segreti, poliziotti e finanzieri, imprenditori e massoni

E’ l’uomo di cui la politica improvvisamente ha una gran paura. Da quando s’è scoperto che il pm De Magistris l’aveva sguinzagliato sulle tracce dei suoi indagati calabresi, e da lì, esaminando i traffici telefonici, è arrivato a documentare i colloqui tra Saladino e Mastella, ma coinvolgendo nelle sue perizie mezzo Parlamento italiano, i vertici dei servizi segreti, poliziotti e finanzieri, imprenditori e massoni. Si chiama Gioacchino Genchi, 47 anni, qualche chilo di troppo. E’ un poliziotto in aspettativa. Da sette anni si è inabissato in un suo bunker personale, a Palermo, ricavato dentro un palazzo sequestrato ai mafiosi. Cinquecento metriquadri blindati, zeppi di ogni diavoleria tecnologica, computer e cuffie. Lì dentro, il signor Genchi, che di mestiere ormai fa a tempo pieno il consulente per le procure italiane, ha accumulato un «know how» invidiabile e, pare, un archivio di dati impressionante. Solo per Why Not sono state 392 mila le persone controllate e 1436 i tabulati acquisiti. Genchi ha una storia di successi eccezionali. E’ lui che, da giovane poliziotto smanettone, intercetta le conversazioni telefoniche di un pentito, Salvatore Contorno, che dovrebbe essere negli Usa e invece è tornato a Palermo per vendicarsi dei suoi nemici. Il guaio è che Contorno chiama da una cabina alcuni dirigenti della polizia. Uno era Gianni De Gennaro, che poi diventerà capo della polizia e attualmente è il capo dei nostri servizi segreti. Ma Genchi è anche riuscito a riportare in vita i dati dell’agendina elettronica del giudice Falcone che si era smagnetizzata dopo il sequestro. Ed è ancora lui che, dal traffico telefonico, individua una base segreta del Sisde a Palermo, a Castello Utveggio, nei giorni delle stragi. Da allora, Genchi sospetta di tutto e di tutti. Soprattutto di chi è dentro lo Stato. Soprattutto chi di mestiere fa lo 007. Non si tira indietro, insomma, quando individua una pista che puzza di bruciato. Anzi. Lavorando sulle indicazioni di De Magistris, mette nel suo mirino telematico alcuni generali della Guardia di Finanza. Lavora ai fianchi di Paolo Poletti (appena nominato vicedirettore dell’Aisi, ex Sisde), ma anche di Walter Cretella Lombardo (che era il comandante del II Reparto, quello dell’intelligence) e ancora del colonnello Massimo Stellato (capocentro del Sismi a Padova). «Numeri telefonici riservati per ragioni di sicurezza nazionale», sostiene la procura generale di Catanzaro, che, quando eredita gli atti di De Magistris e scopre l’entità del lavoro di Genchi, lo licenzia su due piedi e affida al Ros dei carabinieri un controaccertamento. Da quel momento Genchi ingaggia un furioso corpo a corpo con il reparto d’elite dell’Arma. «Nel mio percorso professionale - sostiene - ho dovuto prendere atto, purtroppo, che molti carabinieri passati al Ros avevano contrabbandato per finalità poco commendevoli il loro giuramento di fedeltà allo Stato ed alle sue Leggi. Altri hanno fatto la stessa cosa nelle diverse fasi di entrata ed uscita dai Servizi di Sicurezza». E loro, i carabinieri, lo accusano di avere imbrogliato. Il colonnello Pasquale Angelosanto, interrogato a Salerno, spiega che già a marzo 2007 Genchi si era reso conto di essersi imbattuto nei telefoni del senatore Mastella, ma non si era fermato nonostante le leggi a garanzia dei parlamentari. E si torna al cuore del problema: i politici. Le loro paure. I loro legittimi sospetti. Mastella in una conferenza stampa, lo chiamò «Licio Genchi». Marco Minniti, il cui nome era già spuntato fuori, si dice «preoccupato» da quell’archivio. Oggi magari qualcuno se n’è dimenticato, ma l’estate scorsa venne fuori che De Magistris e Genchi avevano messo le mani sui tabulati dei telefonini di Prodi, Berlusconi, Marini e Mancino. Nella sua relazione parla diffusamente dei contatti tra Rutelli e il super-indagato Antonio Saladino. O con Gianni Alemanno. Senza parlare del deputato prodiano Sandro Gozi. «Uno dei soggetti più importanti della nostra indagine», lo qualifica. Stampa Articolo