Maurizio Molionari, La Stampa 13/12/2008, 13 dicembre 2008
Venticinquemila abitanti che fuggono ogni anno, il più alto tasso di povertà degli Stati Uniti, scuole fatiscenti, guerre di gang giovanili, il sindaco travolto da uno scandalo a luci rosse, l’Fbi che indaga sulle delibere del consiglio comunale e i sermoni del figlio di Martin Luther King per sognare una rinascita che a molti appare impossibile
Venticinquemila abitanti che fuggono ogni anno, il più alto tasso di povertà degli Stati Uniti, scuole fatiscenti, guerre di gang giovanili, il sindaco travolto da uno scandalo a luci rosse, l’Fbi che indaga sulle delibere del consiglio comunale e i sermoni del figlio di Martin Luther King per sognare una rinascita che a molti appare impossibile. Questa è Detroit, la città fondata nel 1701 da 52 coloni francocanadesi sull’omonimo fiume dove nel 1904 Henry Ford fondò la sua «Motor Company» gettando le basi di quell’industria dell’automobile che durante il Novecento ha accompagnato il boom economico e adesso invece rischia un collasso tale da innescare la depressione. La vita dei circa 900 mila abitanti di «Motown», il soprannome che risale ai tempi d’oro, è scandita da vicende che ne descrivono il declino.«Redditi in discesa, povertà in crescita» è il titolo di un rapporto che incrocia i dati del crollo dell’auto con quelli del censo: nel 2007 la povertà in Michigan è aumentata del 14 per cento, il dato nazionale più alto, con picchi del 35,5 per cento a Flint - la città del regista Michael Moore - e Kalamazoo. Con il reddito medio sotto i 48 mila dollari cresce la richiesta di servizi sociali - mense, dormitori, centri di accoglienza - ma scarseggiano i donatori perché General Motors, Ford e Chrysler producono meno ricchi e più disoccupati. In settembre lo Stato del Michigan ha dato tessere alimentari a 1,3 milioni di persone, ma non bastano. Quasi la metà dei minorenni di Detroit - il 47,8 per cento - vive sotto la soglia di povertà. «Sono numeri da shock» ammette Rebecca Blank, ex rettore della Scuola di Politica dell’Università del Michigan, secondo la quale «i figli crescono in famiglie devastate dalla crisi dell’auto, alle prese con debiti, pignoramenti, disoccupazione, separazioni e abusi». Le conseguenze sono a pioggia: gli omicidi annuali hanno superato quota 400, il tasso di imprigionati è il più alto d’America, la percentuale di ragazzi che abbandona la scuola è del 68 per cento - un record condiviso con Indianapolis e Cleveland - e gran parte di loro finiscono in gang giovanili talmente aggressive da aver spinto l’Fbi a dichiarare Detroit la «città più pericolosa della nazione». Per avere un’idea dei crimini che commettono bisogna entrare nell’aula del giudice Ronald Giles, 36° Distretto, dove tre adolescenti fra i 15 e i 18 anni rischiano la condanna a morte per aver ucciso un coetaneo ed averne torturati altri tre di fronte alla finestre di un liceo intitolato all’onnipresente Henry Ford. D’altra parte la disoccupazione è all’8,8 per cento e continua a crescere, allontanando prospettive di lavoro. Chi può se ne va, ad un ritmo di 25 mila l’anno, cercando fortuna il più lontano possibile, convinto che il destino di «Motown» sia segnato sin dall’inizio visto che i fondatori la chiamarono un francesizzante «sarà distrutta». La speranza della rinascita doveva essere il giovane sindaco afroamericano Kwame Malik Kilpatrick, classe 1970, ma a inizio settembre è stato obbligato alle dimissioni da uno scandalo di infedeltà matrimoniale svelato da migliaia di sms con contenuti osceni che si scambiava con l’amante-segretaria. Ora la città è guidata dall’ex vice sindaco, Ken Cockrel, che punta a vincere le imminenti elezioni ma nè lui nè i nove concorrenti sollevano molte emozioni. A rafforzare la sfiducia c’è l’indagine dell’Fbi su appalti milionari assegnati in maniera dubbia dall’attuale consiglio cittadini. Durante un dibattito elettorale i candidati sindaci sono stati travolti da un torrente di domande e accuse, in cui gli è stato imputando di ignorare i tre mali che stanno uccidendo Detroit: povertà, crimine e carenza di educazione. Come scrive il popolare opinionista Daniel Howes su detnews.com «la crisi di Detroit è un problema di tutti». Per sensibilizzare il grande pubblico ogni mezzo è utile. C’è anche chi si è inventato un tour per turisti attraverso le «Favolose rovine di Detroit» per vedere da vicino ciò che resta delle fabbriche che fecero decollare l’industria dell’auto. Si può così andare a vedere da vicino quanto rimane della fabbrica dove nacque il «Modello T» di Ford in un Highland Park oramai abbandonato oppure l’edificio in mattoni rossi della Studebaker Piquette Plant che fino agli anni Cinquanta ospitava i test dei progetti più innovativi. Ma forse l’immagine che più raffigura il degrado è il complesso Dodge Main di Chrysler, costruito per essere un gioiello architettonico negli anni Ottanta e ora presentato ai turisti come un «Requiem» per essere stato trasformato in una fabbrica senza finestre dove General Motors costruisce modelli Cadillac destinati a rimanere invenduti. Attorno a queste rovine del Novecento Detroit si presenta come un reticolo di autostrade troppo grandi per il numero di auto che vi circolano, parcheggi abbandonati ed edifici semivuoti. Nulla da sorprendersi se in questa città, dove l’85 per cento della popolazione è afroamericano, l’unico prodotto gettonato siano i discorsi, scritti o trasmessi alla radio, di Martin Luther King III, figlio del reverendo simbolo delle battaglie per i diritti civili, che parlando di fronte ad una folla nel Cobo Center ha invocato il bisogno di «sconfiggere la povertà».