Federico Rampini, la Repubblica 13/12/2008, 13 dicembre 2008
bastato il no del Senato americano alla nazionalizzazione dell´auto, per precipitare il dollaro ai minimi da 13 anni verso lo yen, polverizzando l´attrattiva della moneta Usa come bene-rifugio nella tempesta globale
bastato il no del Senato americano alla nazionalizzazione dell´auto, per precipitare il dollaro ai minimi da 13 anni verso lo yen, polverizzando l´attrattiva della moneta Usa come bene-rifugio nella tempesta globale. Una ventata di panico nella mattinata ha sconvolto le Borse europee e asiatiche. Bisognava impedire che la bancarotta annunciata di General Motors e Chrysler provocasse un tracollo a Wall Street: 15 minuti prima dell´apertura di New York, George Bush si è arreso. Rimangiandosi il suo veto, la Casa Bianca ha promesso che darà lei il finanziamento salva-vita alle case automobilistiche. Dirotterà fondi stanziati per stabilizzare le banche. Lo psicodramma attorno all´agonia di Detroit ha fatto passare inosservata una raffica di altre notizie drammatiche sul fronte americano: 35.000 licenziamenti alla Bank of America, un nuovo calo dei consumi, il crollo dei prezzi all´ingrosso che è un chiaro sintomo di deflazione. Il colpo di scena della bocciatura al Senato è un regolamento di conti: dei repubblicani contro il sindacato metalmeccanico che ha appoggiato Obama; dell´ala destra iperliberista contro il duo Bush-Paulson a cui si imputa la sconfitta elettorale. I fondamentalisti del mercato hanno colto al volo l´opportunità di interpretare i sentimenti dell´opinione pubblica. Il 60% degli americani non vuole tassarsi per salvare un establishment capitalistico ottuso, incompetente e arrogante. Nessuno ha dimenticato che i tre chief executive dell´auto si presentarono a Washington a chiedere 14 miliardi ai contribuenti viaggiando su jet privati. Ma una maggioranza ancora più schiacciante degli elettori (70%) era contraria al piano Paulson salva-banche eppure quel provvedimento fu varato: sotto ricatto, in nome del rischio sistemico, per evitare un altro 1929. A Wall Street furono offerti fondi venti volte superiori a quelli previsti per salvare Gm e Chrysler. E nessuno chiese un taglio generalizzato del 20% degli stipendi dei bancari, la clausola-capestro che i repubblicani chiedono agli operai dell´auto. Ora è proprio da quei 700 miliardi destinati alle banche che Bush e Paulson attingeranno, con un´acrobazia giuridica, il cash necessario per rinviare il fallimento di due colossi dell´auto. Questo recupero in extremis non è una soluzione durevole. guadagnar tempo alla disperata, scaricando il dramma dell´auto sulla prossima Amministrazione Obama. Anche a sinistra si levano voci autorevoli contro l´escalation degli aiuti di Stato. Il premio Nobel dell´economia Joseph Stiglitz è tassativo: meglio lasciar fallire Detroit. La procedura americana della bancarotta (legge Chapter 11) non sfocia necessariamente nella liquidazione finale. un´amministrazione controllata che impone sacrifici severi a tutti - azionisti, creditori, dipendenti - per resuscitare un´azienda resa più snella. La logica degli "aiutini" statali, secondo Stiglitz e altri, è un´escalation perversa che distrugge denaro pubblico perpetuando una gestione incompetente. Già adesso si sa che dopo i primi 14 miliardi le tre case automobilistiche ne dovranno ricevere altri 125 per sopravvivere. Una maxi-Alitalia. A chi ribatte che questo rigore non fu applicato con le banche, la risposta la dà l´autorevole finanziere Jim Rogers, creatore con George Soros del fondo Quantum: «Malgrado 700 miliardi di aiuti statali la maggior parte delle grandi banche americane sono di fatto in stato di fallimento». Non esiste una risposta sicura di fronte al dilemma di Detroit. I fautori di una bancarotta "sana, trasparente e pulita" forse ne sottovalutano i rischi. I consumatori spaventati dalle incognite della procedura fallimentare potrebbero disertare i concessionari delle tre storiche marche, accelerando il disastro finale. lo scenario-Armageddon che spiega un apparente mistero: il no del Senato alla nazionalizzazione di Detroit ha fatto precipitare Toyota, Nissan e Honda alla Borsa di Tokyo, come tutte le case europee, concorrenti che in teoria dovrebbero beneficiare se scompare la General Motors. Non c´è solo la delusione perché senza quel salvataggio viene meno l´alibi per gli aiuti di Stato europei e asiatici. C´è di più. Dietro l´agonia dei dinosauri Usa tutta l´industria mondiale vede una catena inarrestabile di licenziamenti di massa, caduta dei redditi e dei consumi, un circolo vizioso di distruzione di ricchezza senza vincitori. Non regge più la vecchia logica "mors tua vita mea". Il mondo intero si aggrappa al salvataggio dell´auto americana semplicemente perché è la diga del momento, se viene giù quella altre cederanno. Il tribunale degli economisti americani riunito dal Wall Street Journal sentenzia che questa è già la recessione più grave dal 1929. Appena concluso il vertice europeo sul piano di rilancio, stamane a Tokyo si riunisce una storica trilaterale Cina-Giappone-Corea per concordare qualche strategia comune contro la bufera che si abbatte ora anche sull´Asia: un´iniziativa senza precedenti. Anche le capitali straniere che osservano con più scetticismo l´accavallarsi di aiuti statali all´economia americana, incrociano le dita e sperano solo che qualcosa alla fine funzioni.