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 2008  dicembre 13 Sabato calendario

Con l’accordo tra Stati Uniti e Iraq sul ritiro delle truppe americane da quest’ultimo Paese entro il 2011, si può anche provare ad azzardare l’ipotesi che la drammatica esperienza di quel conflitto incominci in qualche modo a giungere al termine

Con l’accordo tra Stati Uniti e Iraq sul ritiro delle truppe americane da quest’ultimo Paese entro il 2011, si può anche provare ad azzardare l’ipotesi che la drammatica esperienza di quel conflitto incominci in qualche modo a giungere al termine. Ebbene, per uno di quei paradossi così frequenti nella storia, gestirne la positiva fase finale potrebbe essere proprio colui il quale si era opposto a quell’intervento militare e soprattutto a quel «surge» che, combinato con il cambio di strategia del generale Petraeus, ha modificato in meglio la situazione. Ma il punto è: il neopresidente Barack Obama, in campagna elettorale, ha più volte promesso di accelerare il ritiro delle proprie truppe dall’Iraq, ma proprio qui nasce il problema: qualora la situazione sul campo non lo permettesse, come potrebbe conciliare le sue promesse con i rischi di veder vanificato il lavoro svolto a causa di un ritiro affrettato? Giovanni Martinelli giova.mart@tin.it Caro Martinelli, L’ accordo è stato approvato dal Parlamento iracheno con una larga maggioranza (149 sì contro una cinquantina di voti contrari o astenuti) e prevede, sia pure in termini che si prestano a diverse interpretazioni, che le truppe americane si ritirino dall’Iraq entro la fine del 2011. L’approvazione è stata ottenuta grazie ad alcune concessioni, pattuite all’ultimo momento, fra cui un referendum popolare che dovrebbe avere luogo nel luglio del 2009. Non appena controfirmato dal Consiglio presidenziale (un organo composto da tre persone), diventerà esecutivo. L’aspetto più interessante delle laboriose discussioni che hanno preceduto il voto parlamentare è stato il rovesciamento delle parti. Gli sciiti, vale dire il gruppo che ha salutato con soddisfazione l’intervento degli Stati Uniti e la fine del regime di Saddam Hussein, volevano la partenza delle forze americane ed erano con una eccezione (il gruppo radicale di Moktada Al Sadr) favorevoli all’accordo. I sunniti, vale dire la base politica di Saddam all’epoca del suo regime, erano contrari. Il paradosso è soltanto apparente. Gli sciiti hanno conquistato il potere e vogliono esercitarlo nell’ambito di uno Stato finalmente sovrano. I sunniti temono l’egemonia sciita e considerano la presenza americana una garanzia contro la dittatura della maggioranza. Alla sua domanda rispondo che l’approvazione dell’accordo risolve per molti aspetti uno dei problemi maggiormente sollevati da Barack Obama. Il nuovo presidente potrebbe restare fedele alla sua vecchia linea e decidere che il ritiro delle truppe americane avvenga prima della scadenza prevista dall’accordo. Ma il nodo è già stato sciolto dal suo predecessore. Restano tuttavia alcuni problemi che occorrerà affrontare nel corso dei prossimi mesi. Il «surge» (l’aumento degli effettivi americani realizzato nell’ultima fase della presidenza Bush sotto la guida del generale Petraeus) ha dato buoni risultati. Ma il fattore decisivo è stato la collaborazione militare delle consistenti milizie sunnite che negli anni precedenti avevano partecipato alla resistenza contro le forze d’occupazione. I sunniti hanno cambiato campo per due ragioni. Volevano sottrarsi all’egemonia fondamentalista dei jihaddisti di Al Qaeda (diventati tirannicamente ingombranti) e hanno ottenuto che il loro aiuto venisse generosamente compensato con un salario mensile di circa 400 dollari per ogni combattente. Ma nessuno può prevedere che cosa accadrà quando gli americani avranno abbandonato le grandi città e, a maggior ragione, quando avranno abbandonato il Paese. Sarà possibile stabilire un patto di convivenza fra i due maggiori gruppi religiosi? Molto dipende dalla legge che dovrebbe assicurare un’equa ripartizione delle risorse petrolifere. Ma la legge, dopo vari tentativi, è rimasta nel cassetto e il governo, senza attendere la sua approvazione, ha già dato il via a una serie di contratti con alcune grandi aziende petrolifere internazionali fra cui Exxon e Shell. Lo ha fatto perché altri accordi erano già stati conclusi, senza attendere la legge, dalle autorità del Kurdistan iracheno. La pace del Paese dipende in buona parte dal modo in cui questi contratti verranno eseguiti e i loro proventi ripartiti fra sciiti, sunniti e curdi. L’accordo per il ritiro delle truppe è stato raggiunto durante la presidenza Bush, ma la responsabilità della sua esecuzione e delle eventuali conseguenze cadrà sulle spalle di Obama. Sarà il nuovo presidente che dovrà decidere se e quale presenza militare mantenere in Iraq e nella regione. L’accordo prevede il ritiro delle truppe, ma è possibile che il vertice delle forze armate prospetti al presidente la necessità di mantenere alcune delle basi in cui gli americani si saranno ritirati dopo l’abbandono delle città. Il trattato firmato a Bagdad negli scorsi giorni permette a Bush di uscire dalla Casa Bianca con un apparente successo. Ma il cerino acceso rimane fra le dita di Obama.