Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 13/12/2008, 13 dicembre 2008
Franco Bernabè è amministratore delegato di Telecom da 374 giorni. In questa intervista, dà conto del suo primo anno
Franco Bernabè è amministratore delegato di Telecom da 374 giorni. In questa intervista, dà conto del suo primo anno. Dottor Bernabè,al suo esordio, il 3 dicembre 2007, Telecom quotava 2,17 euro, ieri 1,02. Una caduta del 53% mentre l’indice europeo delle telecomunicazioni ha perso il 38%. La Borsa le dà torto. «Si ricrederà e intanto non è più vero. Negli ultimi tre mesi Telecom ha perso il 3,8%, la Borsa il 29 e l’indice delle telecomunicazioni europeo il 9,6%». Rispetto ai concorrenti resta un divario. «Che si va chiudendo. I mercati hanno colto l’inversione di tendenza nel terzo trimestre. L’erosione dei margini, in atto da 4 anni, non da ieri, ha rallentato decisamente e ora siamo in grado di dire che la fermeremo». A colpi di riduzione del personale? Dopo i primi 5 mila, ecco altri 4 mila tagli. In un anno ha avviato una riduzione degli organici del 14%. «Avevamo 65 mila dipendenti in Italia, scenderemo a 56 mila. Ma non lasceremo nessuno per strada. Tutto avverrà in modo graduale e consensuale con le persone e con i sindacati. Già 2 mila dipendenti hanno lasciato Telecom su base volontaria… Nell’ecosistema delle telecomunicazioni è in corso una migrazione dall’infrastruttura ai servizi. La tecnologia è labour saving. I nuovi servizi avanzati in banda larga e larghissima, invece, potranno creare occupazione. Ma i margini non si difendono solo così». E in quale altro modo? «Lavorando sulla qualità. Se, come abbiamo già ottenuto quest’anno, l’attesa per allacciare una nuova utenza scende da 22 a 14 giorni, se il tasso di guasto nelle rete in banda larga cala dal 20,8 al 16,9%, allora maggior efficienza vuol dire maggior qualità percepita, più valore per il cliente». Intanto avete appena ottenuto un aumento del canone del fisso. Ma questo ve lo dà l’Autorità per le Comunicazioni. «Se si pensa che le telecomunicazioni siano un settore maturo, lo si può spremere e uno dei modi è abbassare quanto dovrebbe finanziare la spesa per investimenti. Noi invece riteniamo che le telecomunicazioni debbano crescere, e dunque che debbano avere i mezzi». Quanto vale l’aumento? «A regime 200 milioni». Versati solo dalle famiglie... «Esentando le fasce di povertà». Il vostro piano prevede un po’ meno investimenti. «Stiamo sempre parlando di 4,5 miliardi l’anno». Ma di soli 800 milioni in 3 anni per le next generation networks. «E’ la somma adeguata alla domanda reale di collegamenti a velocità altissima. L’Italia è il paese europeo dov’è stata posata più fibra, il 40% del totale continentale. La nostra è la rete migliore...». Lo diceva Tronchetti Provera. «E aveva ragione. Già ora possiamo raggiungere il 56% dei clienti con 20 megabit, sufficienti per tutte le applicazioni video a partire dall’Iptv. Se invece vogliamo parlare di una nuova infrastruttura a banda larghissima, allora dico: Telecom è disponibile a partecipare a un grande progetto-paese che non può non partire da una forte domanda di base che può venire soltanto dalla pubblica amministrazione, alla quale seguiranno le imprese e solo alla fine le famiglie» Si tornerebbe allo scorporo della rete di accesso che le banche d’affari si aspettavano già al suo arrivo in Telecom? «Sulla rete si deve decidere secondo logiche industriali, non finanziarie». Qualche mese fa l’Agcom puntava alla separazione funzionale della rete, e certo non avrebbe osteggiato una più radicale separazione societaria. «Se fosse stata imposta dal regolatore, la separazione dell’accesso avrebbe creato problemi a Telecom sia verso gli analisti, che l’avrebbero considerata un indebolimento dei margini, che verso le agenzie di rating, che vedono l’infrastruttura come una garanzia, magari informale perché non esistono covenants al riguardo, dei debiti del gruppo». Se maturasse il grande progetto? «Vedremo allora, ma non se ne potrebbe far nulla se, oltre alla creazione della domanda, non si desse una garanzia di lunghissimo termine, e magari santificata dalla legge, sulle regole e la remunerazione dell’investimento ». Ci sarà un possibile supporto della mano pubblica? Si parla di Cassa depositi e prestiti, di F2i. «Non ho riserve di principio, ma tutto dipende dai termini reali, industriali dell’eventuale progetto». Gli analisti stimano in 15-20 miliardi il valore della rete. «Telecom non fa stime di un’ipotetica azienda della quale non è stabilito né il perimetro né la struttura dei ricavi. Quello che conta oggi è l’accordo con l’Agcom che pone termine a due anni di incertezza e di conflitti sull’assetto regolatorio». Non è frequente vedere a braccetto il regolato e il regolatore, Bernabè e Corrado Calabrò. «Telecom ha riunito nell’Open Access tutte le attività di rete così da lavorare meglio, a minor costo e, al tempo stesso, in modo più trasparente verso i concorrenti che diventano per noi anche clienti con i quali collaborare e in modo più verificabile dalla stessa Agcom. Telecom è passata da un rapporto causidico con il regolatore e gli altri operatori a un rapporto rispettoso dei ruoli e degli interessi, che restano diversi, ma aperto e collaborativo». L’agenzia Fitch ha ridotto da BBB+ a BBB il rating di Telecom. Il vostro debito è costituito quasi tutto da obbligazioni. Al rinnovo le nuove emissioni costeranno 3-4 punti in più. E’ preoccupato? «No. Fitch si è semplicemente allineata alle altre agenzie di rating e ha mantenuto stabile la previsione. Telecom può disporre di 11 miliardi di liquidità nei prossimi due anni e potrà tornare sul mercato obbligazionario con calma. Ho trovato un debito ben strutturato…». Ma forse un po’ alto. Avete tuttora 35,4 miliardi di debiti finanziari netti, pari a 3 volte l’Ebitda quando i concorrenti stanno a 2 volte. Per mettervi alla pari dovreste tener fermi i margini e ridurre di 10-12 miliardi il debito... «Ridurre il debito per riacquistare flessibilità strategica è per noi la priorità. In tre anni potremo togliere 6 miliardi». Flessibilità per tornare sui mercati emergenti? «Abbiamo il Brasile. fondamentale. Lo affideremo al migliore dei nostri manager del mobile (Luca Luciani, ndr.) ». Dottor Bernabè, a fronte del debito Telecom ha 44 miliardi di avviamenti, più della metà del suo attivo, figli delle Opa di Olivetti su Telecom e di Telecom su Tim. Con il calo clamoroso dei valori di Borsa rispetto alle quotazioni dell’epoca delle Opa, si può dubitare dell’attendibilità, di tali avviamenti. Perché, nel fare il bilancio 2007, non li ha svalutati? «Riteniamo che esprimano valori recuperabili nel tempo, anche in base alla perizia del professor Bini...». L’esperto della vecchia gestione. «Se non li ritenessi congrui, non li scriverei nell’attivo». Ma la svalutazione degli avviamenti avrebbe comportato un aumento del capitale magari sgradito ai soci forti... «Non c’è bisogno di nuovo capitale». Negli ultimi 10 anni Telecom ha e ha avuto azionisti che hanno pagato forti premi per il controllo. Olivetti e Pirelli hanno pure scaricato i debiti relativi sull’azienda. Telecom, un tempo liquida, risulta così molto indebitata, con soci eccellenti non disposti né a fare aumenti di capitale né ad accettare diluizioni aprendo le porte ad altri...? «Gli attuali soci hanno capito che non esistono scorciatoie e che, avendo ormai poco da dismettere, Telecom deve percorrere con pazienza la strada della graduale ricostituzione dei suoi margini». Le banche annullano il dividendo nel 2009. Se le imitasse, Telecom darebbe subito una botta di 1,6 miliardi al debito. «La politica del dividendo verrà decisa il 27 febbraio dal consiglio di amministrazione che ha già riconosciuto l’importanza di ridurre il debito». Telecom Italia resterà italiana? «Telecom è un grande asset per il futuro di questo paese». Massimo Mucchetti