Giacomo Amadori, Panorama, 18 dicembre, 13 dicembre 2008
GIACOMO AMADORI PER PANORAMA, 18 DICEMBRE
De Magistris e il sogno di Mani pulite 2. Personaggi Tra grandi intuizioni investigative ed errori clamorosi, l’ex pm di Catanzaro puntava in alto per cambiare la politica italiana. Alla fine, però, ha terremotato la giustizia.
Ha ingannato tutti con quell’aria da Mister Bean e l’Audi blu scassata. Politici, generali e persino vescovi, il 18 gennaio 2008, quando il Consiglio superiore della magistratura lo ha allontanato da Catanzaro (accusandolo di provvedimenti «abnormi»), pensavano di essersi liberati per sempre di lui e delle sue inchieste. E invece Luigi De Magistris, 41 anni, parcheggiato nel tribunale del riesame di Napoli, zitto zitto da quasi due anni (13 marzo 2007), a colpi di esposti e dichiarazioni alla procura di Salerno, aveva preparato la contraerea. L’effetto, nei giorni scorsi, è stato dirompente: uno scontro senza precedenti tra uffici giudiziari, con perquisizioni intime e conseguente deportazione d’ufficio di alti magistrati. Per separare i litiganti è dovuto intervenire il capo dello Stato Giorgio Napolitano. Un attacco che a Catanzaro non si aspettavano: «Stavamo collaborando, i colleghi salernitani sono stati mal consigliati» dichiarano alla procura generale. Il cattivo suggeritore sarebbe De Magistris. E il presunto obiettivo? Riprendersi l’inchiesta della vita, Why not, che lo aveva fatto arrivare come un Icaro togato a pochi metri dal sole, quel groviglio di «poteri occulti» che secondo lui governerebbe l’Italia. Una piovra con la testa a Roma. Per De Magistris tutto ruoterebbe intorno ad alcuni ex appartenenti alla loggia Propaganda 2. E per dimostrarlo aveva scatenato Gioachino Genchi, consulente tecnico e grande esperto di intercettazioni e tabulati. Nel database di questo ex poliziotto sarebbero finite, secondo l’ex procuratore generale di Catanzaro Enzo Iannelli, 578 mila persone, compresi alcuni numeri di telefono «coperti da segreto di stato». Clima che in questi giorni a Catanzaro ha creato uno strano cortocircuito; e in ambienti investigativi gira una lista «misteriosa» con circa 4 mila nomi (uomini e donne), quasi tutti personaggi di rilievo, con a fianco segnati gli anni dal 1998 al 2006 e dei numeri. Presenze? Quote? Contatti telefonici? Chissà. Ma nel dopo De Magistris in Calabria tutto è possibile. E pensare che Why not era iniziata con una querela per diffamazione presentata dal vicepresidente regionale Nicola Adamo. Un autogol. Infatti De Magistris inizia le indagini e mese dopo mese iscrive sul registro degli indagati politici di tutti gli schieramenti, Adamo compreso, uomini in divisa, lobbisti, imprenditori, giudici. Su su sino all’allora presidente del Consiglio Romano Prodi. Era venerdì 13 luglio 2007: quel giorno aveva incontrato Riccardo Iacona sulla spiaggia di Montepaone Lido per raccontare in tv le sue battaglie, poi aveva spento il cellulare ed era volato a Eurodisney con i figli. Per riapparire martedì 17 con un’intervista sul Corriere della sera, rilasciata fra le giostre. Ormai era salito sulle montagne russe. Il 4 ottobre, durante la trasmissione Annozero (che ha più volte parteggiato per De Magistris e che in questi giorni è in Calabria per registrare l’ennesima puntata sulla vicenda), risponde alle domande come un leader politico e attacca la casta. A metà ottobre iscrive sul registro degli indagati l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella (che aveva ordinato un’ispezione sull’operato di De Magistris). Cinque giorni dopo gli viene avocata l’inchiesta. Ai colleghi di Salerno dichiarerà con malcelato orgoglio: «Mi è stato riferito in modo chiaro che le mie indagini avevano contribuito a provocare la crisi del governo Prodi». A febbraio De Magistris è pronto per entrare in politica, con l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, che 15 anni prima aveva iscritto sul registro degli indagati un altro guardasigilli, Claudio Martelli. Ma, secondo alcuni, Walter Veltroni si oppone alla sua candidatura. Lui invece sostiene di essersi tirato indietro. Eppure, al contrario di Di Pietro ai tempi di Tangentopoli, contro di lui nessuno agita «poker d’assi», dossier e informative del Gico della Guardia di finanza. «Scheletri nell’armadio del dottor De Magistris? Per carità, è una persona specchiata, l’unico immune da qualsiasi sospetto» sostiene Francesco Gambardella, avvocato dell’imprenditore Antonio Saladino, principale indagato di De Magistris nell’inchiesta Why not. Nessuno lo nega: l’uomo, figlio e nipote di magistrati napoletani, ha la schiena dritta. Ed è vero che l’Italia è stata inquinata da logge massoniche. Molti giovani calabresi lo sostengono e vorrebbero che De Magistris guidasse la rivolta degli onesti. Ma questa è attività politica, non giudiziaria. In tre anni di indagini le sue tre principali inchieste, Toghe lucane, Poseidone, Why not, hanno portato solo ad alcune perquisizioni, che nella maggior parte dei casi il tribunale del riesame ha rigettato. De Magistris ha una tesi: il procuratore Mariano Lombardi e l’aggiunto Salvatore Murone lo stavano boicottando. Ed elenca i rapporti, le cene, gli incontri dei due giudici con alcuni indagati. Salerno gli crede, ma lo ascolta pure quando dice: «Stavo facendo degli atti anche molto importanti (...) omissis (...) che riguardavano esponenti di spicco della politica calabrese (Minniti, Tommasi, Adamo e D’Andria)». Peccato che Marco Minniti, dalemiano e ministro ombra dell’Interno, non fosse neppure iscritto sul registro degli indagati. Ma questo è il pregio-difetto attribuito a De Magistris: disegna scenari, ha intuizioni investigative, ma si deprime quando deve contenere le sue ricostruzioni entro gli argini del diritto. Ama di più spaziare. Nelle sedute salernitane ha più volte citato l’attuale guardasigilli Angelino Alfano, segnalato per la vicinanza alla Compagnia delle opere (per De Magistris un’associazione da tenere sotto controllo). E la prova? Ha partecipato a una mostra organizzata dalla Cdo ed è uno dei promotori dell’intergruppo parlamentare sulla sussidiarietà sostenuto dalla stessa compagnia. I sospetti, o forse le chiacchiere, non risparmiano nessuno. Per esempio, a un certo punto De Magistris cita un arrestato di Tangentopoli, ex esponente del Pds. Quindi aggiunge: «Era della corrente migliorista che faceva capo all’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano». Era necessario specificarlo? Scenari suggestivi a parte, cosa resta delle sue inchieste? Un filone, quello che riguarda i lavoratori interinali e la sorveglianza idraulica, è seguito dalla procura di Paola dove i pm Francesco Greco e Antonella Lauri, senza clamore, stanno per concludere le indagini (si parla di centinaia di iscritti). I reati ipotizzati, truffa e frode in pubblica fornitura, in molti casi sono prescritti, ma l’impianto accusatorio sarebbe fondato su una gran quantità di carte. Meno fortunata la conclusione di Poseidone (che riguarda una presunta truffa ai danni dell’Unione Europea), inchiesta avocata a De Magistris nel marzo 2007: gli indagati sono stati quasi tutti archiviati. Salerno trova sospetta la decisione. E gli iscritti di Why not? Qui la storia è complicata. La parte più interessante è quella che riguarda l’ex premier Prodi (inizialmente indagato per abuso d’ufficio) e il suo entourage. Pierpaolo Bruni (il pm contro cui la ”ndrangheta aveva messo una taglia), subentrato a De Magistris un anno fa, aveva riordinato l’indagine, aveva completato i back-up dei computer di Saladino e sequestrato documenti importanti per l’inchiesta. Risultato? Aveva completato l’impianto accusatorio per almeno 15 indagati, a rischio di arresto. Il magistrato e i suoi consulenti avevano, sembra, trovato anche i collegamenti con la Repubblica di San Marino e le sue banche. E il quadro indiziario per alcuni inquisiti eccellenti (tra cui anche Prodi, il cui fascicolo era custodito nell’ufficio del sostituto procuratore generale Alfredo Garbati) si era aggravato parecchio. Anche perché l’ipotesi investigativa non era più solo di truffa e abuso d’ufficio, ma di bancarotta fraudolenta e riciclaggio. Bruni aveva pure iscritto sul registro degli indagati il presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, nel cui studio aveva trovato tracce di pagamenti da parte di un imprenditore. «Al massimo finanziamento illecito ai partiti» concede la difesa; «corruzione» risponde Bruni. Il quale il 5 novembre ha lasciato il pool, dopo aver stigmatizzato, per iscritto, la parcellizzazione dell’inchiesta in troppi rivoli e la volontà da parte dei suoi superiori di archiviare le posizioni dei politici più in vista (anche se la procura generale ha annunciato la richiesta di 60 rinvii a giudizio). Ora le carte segrete del pm dovrebbero essere finite a Salerno. Ma tra giuste intuizioni e riscontri carenti, prove, indizi, invidie, rivalità, scontri fra poteri, protagonismi, ispettori ministeriali e avocazioni, interventi delle più alte cariche dello Stato, un’inchiesta delicata (e che dunque più che mai avrebbe avuto bisogno di rigore assoluto) si è trasformata in una variabile giudiziaria impazzita. Della quale sarà difficile, per qualsiasi procura, riprendere le fila.