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 2008  dicembre 13 Sabato calendario

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

WASHINGTON – E’ un duello fra due dinastie, due etnie, due tradizioni. E’ una cattolica guerra delle due rose, incruenta e sottotraccia ma non per questo meno contundente. E se già tutto ciò non fosse abbastanza, è anche la simbolica resa dei conti tra due ex cugini.
Una contesa sorda e felpata si consuma nello Stato di New York. Ne sono protagonisti due cinquantenni: Caroline Kennedy (figlia del presidente assassinato a Dallas) e Andrew Cuomo, Procuratore Generale dello Stato e figlio di Mario, l’amletico ex governatore democratico, che non seppe mai decidersi per la candidatura alla Casa Bianca. Aspirano entrambi al seggio senatoriale della Grande Mela, liberato da Hillary Clinton, dopo che Barack Obama l’ha voluta alla guida della diplomazia americana.
Non è una campagna elettorale. La decisione su chi inviare a Washington spetta per legge al governatore di New York, David A. Paterson, persona proba che non ci pensa neppure a far della nomina turpe commercio, sul modello dell’ineffabile collega dell’Illinois, Rod Blagojevich. Ma sono loro, Caroline e Andrew, i due nomi eccellenti nella sua lista. Direttamente o indirettamente hanno confermato entrambi il loro interesse all’incarico e gli stessi newyorkesi, secondo un sondaggio pubblicato ieri da Marist, li mettono in testa alle loro preferenze dando a entrambi il 25%, con un’ identica percentuale di indecisi.
Almeno fino alla scorsa settimana, in tema col suo carattere focoso, Andrew Cuomo è stato il più aggressivo dei due. Ma quando si è accorto che il suo pressing rischiava di essere controproducente, ha cambiato tattica. Le interessa il posto? «Sarebbe presuntuoso per chiunque dire di no. Ma io un incarico ce l’ho. Sono l’Attorney General di New York, ho molto da fare e mi piace», ha risposto giovedì a un giornalista. Secondo lei, Caroline Kennedy è qualificata a fare il senatore? «La conosco da anni. Ho di lei un’opinione molto alta. Ma la decisione spetta al governatore Paterson».
L’ambiguità della seconda risposta non deve stupire. Quando si tratta dei Kennedy, Cuomo si muove su un campo personale e minato: è infatti l’ex marito di Kerry Kennedy, figlia di Robert e cugina di Caroline, dalla quale divorziò con acrimonia e pubblico clamore nel 2003. Una vera guerra, che ha lasciato ferite aperte tra i due clan: con i Kennedy ancora convinti che fu Andrew a passare ai media dettagli su una storiaccia extraconiugale dell’ex moglie.
Sarà un caso, ma Kerry è una delle voci più appassionate, nel sostenere che Caroline sarebbe una scelta eccellente per sostituire Hillary. E per quanto Cuomo lo neghi, «il mio matrimonio non c’entra », è forte il sospetto che i Kennedy si siano mobilitati in favore di Caroline anche per sbarrargli la strada e consumare la loro vendetta. E’ un fatto che da quando circola il nome Kennedy, Andrew ha visto quasi dimezzarsi il favore del pubblico, ora diviso.
Di certo il vecchio patriarca, lo zio Ted, si è speso molto nelle ultime settimane per spingere la candidatura della nipote, che di suo, con l’eleganza di sempre, ha fatto poco. A parte confermare il suo interesse, durante una telefonata del governatore.
A favore di Caroline si è espresso pure il sindaco di New York, Michael Bloomberg. Ma dopo gli entusiasmi iniziali, i primi dubbi cominciano a emergere. Nessuna esperienza amministrativa, nessuna qualifica vera, a parte il lavoro in favore delle scuole pubbliche. Perfino uno dei suoi sponsor, l’editorialista del Washington Post
Ruth Marcus, ammette: «La mia testa dice no, il cuore dice sì».
Così, Andrew Cuomo ha ripreso con discrezione a sperare e muoversi. Conta sulla sua reputazione di incorruttibile, protagonista di battaglie molto popolari e populiste contro i compensi d’oro dei supermanager.
Vincerà il clan irlandese o quello italiano?
Paolo Valentino