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 2008  dicembre 12 Venerdì calendario

Aderisco alla campagna di Vittorio Feltri per l’abolizione delle Province. Nessun dibattito rivela l’inanità della politica quanto il comizio infinito sulla morte di quegli enti nobili, ma ormai utili solo a risolvere le caselle orizzontali del cruciverba

Aderisco alla campagna di Vittorio Feltri per l’abolizione delle Province. Nessun dibattito rivela l’inanità della politica quanto il comizio infinito sulla morte di quegli enti nobili, ma ormai utili solo a risolvere le caselle orizzontali del cruciverba. Alla vigilia delle elezioni tutti i partiti si dichiarano sdegnati e quasi stupiti della loro esistenza. In clima di processo alla Casta, sembrava questione di giorni. Una sforbiciata alle centodieci Province il lunedì, una ai mille parlamentari il martedì, e il mercoledì ci saremmo svegliati in un Paese quasi normale. Sono passati i lunedì, i martedì e le feste comandate, ma le Province sono sempre lì, mentre altre spingono per entrare. Persino la Lega, rivoluzionaria per statuto, allenta i cordoni dell’indignazione quando si tratta di difendere palmo a palmo le cadreghe padane. Poiché non si è mai visto un tacchino farsi la festa a Natale, gli unici a poter sprovincializzare l’Italia sono i cittadini. Basterebbe restituire in bianco la scheda, la prossima volta che si andrà a votare per il Consiglio provinciale. Purché lo si faccia davvero, e non ci si produca nel solito numero del bertoldo che si lamenta del potente e poi lo vota, lo insulta e poi gli chiede un favore. Conosco l’obiezione: con la faccia tosta che si ritrovano, i politici non toccherebbero le Province neppure se le schede bianche rasentassero il 50%. Vero, ma se quel 50 diventasse 80, sarebbero costretti ad abolirle. Conosco anche la seconda obiezione: le farebbero rinascere subito dopo, cambiandogli il nome in «comunità intercomunali». E stavolta mi arrendo.