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 2008  dicembre 18 Giovedì calendario

L’espresso, 18 dicembre Andare avanti mettendo le lancette dell’orologio indietro. Era il 1919 quando la Oit, l’Organizzazione internazionale dei lavoratori, chiedeva un orario massimo di lavoro di 48 ore

L’espresso, 18 dicembre Andare avanti mettendo le lancette dell’orologio indietro. Era il 1919 quando la Oit, l’Organizzazione internazionale dei lavoratori, chiedeva un orario massimo di lavoro di 48 ore. Il 9 giugno scorso, quasi 90 anni dopo, i ministri del lavoro dei 27 hanno deciso di mandare in soffitta quel limite, lasciando liberi i governi di muovere l’asticella molto più in alto, fino a 60 ore (o a 65 se si conteggiano le guardie per il personale medico). Sfruttando tutte le pieghe della legislazione proposta, si potrà arrivare al record di 78 ore settimanali. Insomma, giornate lunghissime con ripercussioni "pesanti sulla vita familiare, la salute e la sicurezza dei lavoratori", mette in guardia Catelene Passchier della Ces, la Confederazione europea dei sindacati. "Le imprese avranno più libertà e con loro i dipendenti, che potranno lavorare di più e guadagnare meglio", ribatte Rebekha Smith di Eurobusiness, la Confindustria europea. Due idee di Europa che si scontrano in tempi di crisi economica e istituzionale. Attualmente già il 15 per cento dei lavoratori della Ue sfora il tetto delle 48 ore, che è il massimo per legge secondo la direttiva in vigore dal 1993, in via di revisione. Gran parte degli stakanovisti continentali sono lavoratori autonomi: si sceglie di fare di più soprattutto nel settore dell’agricoltura e della pesca, ma non solo. Circa il 10 per cento dei lavoratori dipendenti supera la soglia fissata per legge, soprattutto nel Regno Unito, la patria delle deroghe comunitarie. Invece di adattarsi all’Europa, Londra ha cercato di imporre la sua linea al resto del Continente. C’è quasi riuscita: se passa la nuova direttiva europea, le eccezioni pensate nel 1993 per la Gran Bretagna diventeranno legge per tutti. La direttiva del 1993 prevedeva infatti un opt out, un diritto di rinuncia volontario e individuale al tempo massimo di lavoro, valido solo per Londra e per un periodo massimo di dieci anni. L’opt out è semplice: su richiesta del datore, il dipendente può accettare di violare il tetto di 48 ore settimanali, in sostanza di lavorare di più, guadagnando di più. Forse troppo semplice. "Tre milioni di lavoratori dipendenti britannici", spiega l’eurodeputato spagnolo Alejandro Cercas, relatore del rapporto sulla nuova direttiva per il Parlamento europeo, "hanno firmato l’opt out senza sapere che stavano rinunciando a un diritto europeo. Ora questa deroga potrebbe diventare legge in tutta l’Ue con effetti disastrosi: torniamo al XIX secolo, a prima delle organizzazioni sindacali, a quando il contratto era il frutto della relazione bilaterale tra datore di lavoro e lavoratore, una relazione non paritaria". Un ritorno al passato, quindi, voluto dal Regno Unito, sostenuto dalla Germania, ma permesso dal nuovo governo in Italia. Con il ritorno del Cavaliere in Europa, l’Italia ha cambiato campo, ha abbandonato la minoranza di blocco formata per due anni dal governo Prodi assieme a Spagna, Francia, Belgio, Grecia, Portogallo, Lussemburgo, Cipro e Ungheria, ed è passata nel campo di Londra e Berlino. E dietro a Silvio Berlusconi si è accodato anche Nicolas Sarkozy, nemico giurato delle 35 ore. Così, il 9 giugno, i ministri del Lavoro hanno trovato l’intesa sulla nuova direttiva. Perché quel testo diventi legge, manca un ultimo, determinante passaggio: il voto in seconda lettura il 16 dicembre a Strasburgo. Si prevede battaglia. Cercas ha infatti giurato che l’opt out non passerà, anzi chiede che venga bandito nel giro di tre anni. E non solo. I punti inaccettabili per il relatore sono anche altri, in particolare due che riguardano le categorie dei medici, degli infermieri e dei vigili del fuoco. A giugno i 27 hanno approvato la divisione tra guardie ’attive’ e ’inattive’, quelle in cui si rimane a disposizione sul luogo di lavoro, ma dormendo o pranzando, e vogliono che queste ultime non vengano conteggiate come orario di lavoro e quindi nemmeno pagate. E dire che in quattro occasioni dal 1998 la Corte di Giustizia Ue ha affermato che tutte le guardie, indipendentemente dalla loro natura, sono orario di lavoro. Oltre a ciò, i governi vogliono cancellare l’obbligo di "riposo compensativo immediato" dopo i turni di 24 ore tra lavoro e guardia: il recupero non sarà più "immediato", ma potrà essere ritardato "per un periodo di tempo ragionevole", non specificato. "Così si mettono i medici e i loro pazienti in una situazione di pericolo: tutte le guardie devono essere conteggiate come lavoro e il recupero dev’essere immediato. Ne va della sicurezza di tutti", sbotta Claude Wetzel, presidente europeo dei medici salariati. Per guadagnare consensi nel centrodestra Cercas ha accettato che la media settimanale dell’orario di lavoro venga calcolata su 12 mesi e non più su quattro, con maggiore flessibilità per le imprese. In questa maniera il relatore ha conquistato alla sua causa una fetta dei popolari (spagnoli, greci, portoghesi, ungheresi, belgi, lussemburghesi e parte dei francesi) e una fettina dei liberaldemocratici (la Margherita), mentre con lui avevano già promesso di votare i Verdi e la Sinistra unitaria (Rifondazione e i comunisti italiani) e una gran parte del gruppo socialista (non i britannici). Il problema è che per cambiare la direttiva in seconda lettura non basta la maggioranza semplice, ma ci vuole quella qualificata: 393 eurodeputati su 784. "Dovremmo farcela sulle guardie e sul riposo, mentre sull’opt out la partita è incertissima", pronostica Cercas, che denuncia: "I governi stanno facendo una lobby impressionante. Brown sta chiamando personalmente i suoi deputati". Secondo il relatore, in gioco c’è il futuro dell’Europa sociale. "Ci sono paesi senza tradizione sindacale", dice, "se passa l’opt out, avremo il dumping sociale assicurato. E soprattutto si creerà un precedente: un domani sempre su base volontaria potremmo rinunciare al salario minimo o alle ferie. Questo è un attacco al diritto sindacale". Anche per questo la Ces appoggia Cercas e ha organizzato per il 15 dicembre una manifestazione a Strasburgo. Alberto D’Argenzio