L’espresso 18/12/2008, 18 dicembre 2008
L’espresso, 18 dicembre E adesso burocrati al lavoro. Porno. Ai piani alti del ministero dei Beni culturali, lontano dal clamore delle vicende dei musei alla McDonald’s, ci si arrovella sulla nuova tassa per adulti
L’espresso, 18 dicembre E adesso burocrati al lavoro. Porno. Ai piani alti del ministero dei Beni culturali, lontano dal clamore delle vicende dei musei alla McDonald’s, ci si arrovella sulla nuova tassa per adulti. Cioè su quelle due righe che dicono a grandi linee cos’è pornografia, da sovra-tassare, e cosa non lo è: rinviando per definizione più puntuale a Sandro Bondi. Entro gennaio, i tecnici del suo dicastero dovranno "determinare" quelli che sono "gli atti sessuali espliciti e non simulati tra adulti consenzienti". Evitando che anche questa porno-tax si risolva in un flop colossale, come quella introdotta qualche anno fa dal Berlusconi 2 , che dopo aver riempito tg e giornali nonché il curriculum politico del deputato forzista Emanuele Falsitta (mai più tornato in Parlamento dopo quella crociata), è naufragata nelle nebbie dei decreti attuativi e non ha fatto arrivare neanche un centesimo nelle casse dell’erario. Mentre da questa Tremonti si aspetta 250 milioni, portati in dote al decreto anticrisi. Come funzionerà la pornoburocrazia? Chi e come visionerà la base imponibile? "Sto cercando di capirlo anch’io", dice Gaetano Blandini, direttore generale per il Cinema al ministero. Alla sua direzione spetta la regia del decreto attuativo, visto che la legge parla di "scene e immagini" contenenti gli atti sessuali di cui sopra. Tra il serio e il faceto, Blandini si augura "che i proventi della porno-tax li diano a noi per finanziare il cinema italiano, almeno". Quel che è certo, dice, è che non nascerà nessuna commissione permanente sulla pornografia, nessun gruppo di censori costretti a una maratona di visioni di film a luci rosse: "Già il testo è abbastanza chiaro, si rifà alla definizione data nella legge francese, usando un’espressione abbastanza chiara: gli atti espliciti sono atti espliciti, non c’era neanche bisogno di un decreto attuativo". Che però a questo punto si dovrà fare, "ma solo per precisare alcune cose, ad esempio che quel che era reato resta reato; in più, dovremo trovare una formula che escluda la possibilità di considerare porno, per esempio, un film come ’Caos calmo’", con il famoso amplesso Moretti-Ferrari. Per gli altri, quei film che neanche vengono sottoposti alla commissione censura proprio perché pornografici, e dunque non destinabili al pubblico ma solo alla vendita nella parte nascosta delle edicole o con canali criptati, "non è che ci siano molti dubbi interpretativi". Insomma, nessun grande fratello guardone, per ora. Basta un regolamento secco secco. E però le cose non sembrano così semplici come le dipinge il navigato direttore generale del Cinema. Tanto per cominciare: perché citare, nell’articolo che introduce la porno-tax, l’universo mondo della creatività - "i giornali quotidiani o periodici, con i relativi supporti integrativi, e ogni opera teatrale, letteraria, cinematografica, audiovisiva o multimediale, anche realizzata o riprodotta su supporto informatico o telematico" per poi ridurre tutto ai film? Cosa è ’simulato’ e cosa non lo è, su un set cinematografico o fotografico hard core? Ma soprattutto, problema dei problemi: come si fa a definire, regolamentare e tassare un’attività che per il nostro codice penale (articolo 528, tuttora in vigore) è un reato? " assurdo, è come mettere una tassa sulla marijuana. O si liberalizza e allora si tassa, oppure non si riuscirà a mettere la tassa, come non ci si è riusciti nel 2005", commenta un esperto del settore. Eppure è proprio questo che si sta facendo: tassare il reato. Anche se quel reato, ha stabilito negli anni la Cassazione con sentenze su sentenze circa il senso del pudore e della ’continenza sessuale’, è di fatto tollerato se non se ne fa offerta al pubblico. "Un bel paradosso, ma da noi si riesce a fare anche questo", commenta Roberta Tatafiore, giornalista e saggista che ha curato qualche anno fa l’ultimo ’Rapporto sulla pornografia’ che ha stilato l’Eurispes. proprio il suo ’Rapporto’ la fonte delle stime che il governo mette alla base delle previsioni di gettito dalla porno-tax: considerando che nel 2004 si stimava che il mercato fosse attorno al miliardo, e ipotizzando una crescita del 5 per cento annuo, il governo piazza lì la sua cifra: quest’anno siamo a 1,338 miliardi di pornofatturato, dunque tra addizionale sul reddito del 25 per cento e batosta sugli acconti (il 120), l’anno prossimo si incasseranno 254 milioni, per poi assestarsi attorno ai 140-160 milioni all’anno. "Il mercato del porno è una realtà, ma è in crisi da anni", dice invece Tatafiore, "dopo la prima crescita impetuosa registrata dall’Eurispes alla fine degli ani ’80, al ritmo del 150 per cento in tre anni, abbiamo avuto 13 anni in cui il mercato è cresciuto solo del 27 per cento". E poi, il fatturato porno è fatto di tante voci, e in quella stima rientravano anche gli oggetti dei sexy-shop, i servizi telefonici erotici, gli annunci a pagamento: se si guarda alle sole ’scene e immagini’, già la stima si riduce. Senza contare che l’intero settore è stato stravolto dai new media. Già quel rapporto, nell’anno 2004, registrava i primi venti di crisi dell’home video e l’avvento di Web, pay tv e videotelefonini. "Internet ha cambiato tutto, per l’enorme diffusione della pornografia gratis, quella autogestita e scambiata, tipo YouPorn. Certo, c’è anche porno commerciale sulla Rete, e noi l’abbiamo messo sotto osservazione", dice Tatafiore, "ma spesso lo scambio e la vendita sono mischiati, non è facile orientarsi". Un labirinto che oltretutto il più delle volte fa capo a server posizionati all’estero. Dove andrà a cercare i soldi del porno, allora, il fisco italiano? Non guardate noi, dicono i pochi produttori italiani sopravvissuti al grande crollo dei dvd. "Il mercato ufficiale del porno è in una crisi senza precedenti, a livello mondiale", afferma Silvio Bandinelli, regista, produttore e distributore hardcore, famoso per il genere porno ’politico’, orientato a sinistra. "Da 3-4 anni il declino dei dvd è stato rapidissimo, adesso di un nuovo film si vendono ben che vada 500 dvd". Quel che si colpirà, dice Bandinelli, è la distribuzione più che la produzione: "Io produco ovunque, come succede per tutto il mondo del cinema". Ma il settore del porno, dicono i conoscitori, è da anni più di tutti gli altri delocalizzato, e le ’fabbriche’ stanno per lo più nell’Est europeo. In Italia resta la distribuzione: "Tv a pagamento, Internet, telefonini: noi fatturiamo tutto", dice Bandinelli, "ma se passa questa legge, che è una tassa fondamentalista, una demonizzazione del sesso, ce ne andiamo via". Restano le pay tv e le pay per view, quelle solo porno e quelle miste, sul satellite o sul digitale terrestre. Tra loro si è fatta notare negli ultimi tempi Conto Tv, emittente a pagamento che ha fatto la sua fortuna sul porno, ma poi si è allargata acquistando prima i diritti sul calcio minore e poi via via salendo di grado, fino a comprare anche partite di Uefa. "Ma che gli sia venuto in mente perché abbiamo comprato Milan-Dortmund?", motteggia Marco Crispino, amministratore unico di Conto Tv. Che era appena sceso dall’aereo con la squadra del presidente del Consiglio quando ha appreso che gli stava arrivando addosso l’addizionale del 25 per cento. Crispino ha obiezioni tecniche: "Noi vendiamo abbonamenti per canale oppure flat. Ad esempio, abbiamo un’offerta che dà tutta la notte per un solo euro, su qualsiasi canale dei nostri: in questo caso, non posso sapere se il credito della smart è stato speso sul porno o sul calcio". Ostacolo tecnico o scappatoia che sia, ci sarà lavoro per i finanzieri alla ricerca dei profitti a luci rosse. "Alla fine comunque colpiranno solo noi, qualche canale del digitale terrestre come Glamour Plus. E il pezzo grosso, Sky". Che con i suoi 26 canali hardcore giganteggia anche su questo mercato. Però contro la porno-tax non ha fatto battaglie esplicite. Motivi di immagine, gli stessi per cui a domanda sul fatturato dal porno in Italia l’emittente di Murdoch non risponde. Ma fonti attendibili parlano di 2 milioni a settimana: un centinaio all’anno. Il che fa di Sky un grosso contribuente anche di questa voce della manovra, oltre che di quella sull’Iva al 20 per cento. Ma su questo, niente spot. Lo spot l’ha già girato e messo in onda invece la Conto Tv di Crispino, che ride greve alla toscana: "Dopo aver combattuto contro censura, impotenza e calo del desiderio, una nuova missione per Superpippa (il loro più gettonato canale hard, ndr): combattere la crisi economica. Attiva Superpippa Channel, contribuisci anche tu a salvare l’economia italiana". Roberta Carlini **** internet a luci rosse di Federico Ferrazza Loro se lo sentivano e, nel dubbio, la sede l’avevano aperta in Inghilterra, a Londra. Loro sono quelli della Creacom Ltd. e, a dispetto del nome e ragione sociale dell’azienda, sono italiani. Una società che circa tre anni fa ha dato vita a uno dei siti a luci rosse e in lingua italiana più famosi di Internet: Ragazzeinvendita.com. Qui, tutti i giorni, quasi 5 mila ragazze (ma anche meno giovani) si spogliano in diretta per soldi (dai tre ai cinque euro al minuto) e mettono in vendita materiale pornografico (video e immagini) e oggettistica varia. Un sito pornografico, insomma. E un sito italiano. Ma con un giro d’affari che sfugge alla nostra giurisdizione e che quindi non sarà colpito dalla porno-tax. Di storie come questa il Web è pieno: aziende hard gestite da italiani con computer e sedi all’estero che sfuggono alle nostre leggi. Un aspetto, evidentemente, con cui non ha fatto i conti il governo. E non solo. Oggi la maggior parte del mercato a luci rosse è su Internet: con l’avvento della Rete solo il 20 per cento del materiale pornografico è acquistato legalmente e il 60 per cento dei file che viaggia (anche qui gratis) sui circuiti P2P (le reti di condivisione di contenuti) è a luci rosse. Questa è la fetta più importante del consumo. Ed è chiaro come sia impossibile tassare qualcosa che non genera fatturato, e se lo genera non lo fa in Italia. Non a caso Rocco Siffredi (che ha la sua casa di produzione in Germania) ha dichiarato a proposito della porno-tax: "Non ci ricaveranno niente. Ormai i dvd non si vendono più, il sesso si trova su Internet, su YouPorn possono entrarci anche i bambini". Già, YouPorn. Si tratta della versione a luci rosse di YouTube, il celebre portale che consente di caricare filmati propri e di vedere quelli di altri utenti. Su YouPorn (secondo alcune statistiche il 37 sito più frequentato in tutto il mondo, il 14 in Italia) avviene la stessa cosa, solo che mentre YouTube ha i bilanci in rosso, YouPorn prospera. La pubblicità che circonda i video caricati dagli utenti è tantissima e in più c’è una parte premium a pagamento. Per meno di dieci dollari al mese si può entrare in un archivio con più di 28 mila scene, oltre 8 mila pornostar e più di 50 categorie. Un catalogo continuamente aggiornato con cinque nuovi dvd ogni giorno. In questo modo gli amministratori di YouPorn sono riusciti contemporaneamente a sfruttare il gratis tipico di Internet e a non inimicarsi troppo l’industria tradizionale dell’hard, offrendole un canale distributivo. I siti come YouPorn, che nel 2007 ha incassato 2,7 milioni di dollari, sono tantissimi e generano un traffico gratuito record, tanto che ogni secondo su Internet quasi 30 mila persone consumano materiale pornografico. "Tutti questi siti stanno mandando in crisi l’industria dell’hard e, anche se visibili in Italia, non pagheranno alcuna addizionale per la porno-tax perché sono stranieri", dice Maya Checchi, webmistress (cioè curatrice di siti Internet) molto nota nell’ambiente hard. Presto, comunque, andranno fuori dall’Italia anche quei pochi siti e produttori (una trentina in tutto) che ancora si trovano da noi. Spiega Checchi: "Già oggi la metà dei siti italiani sono all’estero e molti si stanno attrezzando per emigrare. Non credo che lo Stato vedrà molti soldi dalla porno-tax. Anche perché quelli che resteranno in Italia sono pesci piccoli". "Per evitare la porno-tax", spiega Andrea Monti, legale esperto, fra l’altro, di questioni informatiche, "non basterà però spostare i server all’estero. Dovranno trasferirsi anche le sedi delle aziende che li gestiscono e potrebbe non essere sufficiente trovare dei fiduciari, se i controlli della Finanza dovessero stabilire che dietro quelle persone ci sono delle società italiane". In ogni caso si tratta di briciole. Basti pensare che in media i diritti per un film porno su Internet valgono circa 2 mila dollari per 24 mesi. Gli unici big che rischiano di essere colpiti in Rete dalla porno-tax sono i grandi provider che non si possono trasferire all’estero come Telecom Italia o Fastweb che vendono film porno con la loro piattaforma di tv via Internet. "Restano poi da chiarire alcuni dettagli della porno-tax", continua Checchi: "Ancora non si capisce se la pagheranno anche i siti che hanno solo una foto porno". Ciò che è evidente è invece che il mercato dell’hard è in rapida trasformazione e la porno tax non ne ha tenuto conto. Lo dimostrano i casi di Vivid e Brazzers. La prima è una delle principali aziende hard del mondo che nel 2007 ha fatturato il 30 per cento dei suoi ricavi (circa 100 milioni di dollari) con la vendita di dvd: nel 2004 i dischi valevano l’80 per cento. Il secondo è uno dei siti porno di maggiore successo (circa 15 milioni di visite al mese): non è in stile YouPorn, ma per attirare acquirenti usa trailer gratuiti di bassa qualità video. il modello freemium (free = gratis + premium = a pagamento) che si sta imponendo su Internet, porno compreso. Insomma, un mercato in movimento. Per questo nell’hard girano ancora cifre da capogiro come quella che nel 2007 la Mxn Ltd ha sborsato per acquistare l’indirizzo Porn.com: 9 milioni e mezzo di dollari. Di questi soldi, come di quasi tutti gli altri, le casse dello Stato italiano non vedranno neanche un centesimo.