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 2008  dicembre 18 Giovedì calendario

Panorama, 18 dicembre 2008 «Allora moriamo?» la interroga lui piantandole addosso quel suo sguardo acquoso, a metà fra l’ironico e il preoccupato, mentre lei, accasciata sul divano, si sfinisce di tosse

Panorama, 18 dicembre 2008 «Allora moriamo?» la interroga lui piantandole addosso quel suo sguardo acquoso, a metà fra l’ironico e il preoccupato, mentre lei, accasciata sul divano, si sfinisce di tosse. «Perché no?» risponde appena riesce a ritrovare un filo di voce «ho già pronto anche il vestito… Però, se poi da lassù ti vedo versare anche una sola lacrima, giuro che ti sputo sulla testa». Casa Vianello, Milano Due, interno giorno. In un pomeriggio di dicembre, nell’hinterland brumoso e chic del capoluogo meneghino, dove il biscione della Mediaset si vede perfino sui cestini del verde pubblico, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello si punzecchiano con le battute di sempre. Solo che questo non è il set di Canale 5: è il soggiorno del loro attico. E le battute non ricalcano un copione: sono parole e squarci di vita reale. Una vita molto privata anche se, alla fine, marito e moglie sembrano sovrapporsi perfettamente ai loro personaggi. Creando l’equivoco di una identità assoluta. Dopotutto, fra teatro, cinema e tv, Sandra e Raimondo stanno in scena da una sessantina d’anni. E da cinquanta sono sposati e lavorano in coppia. L’ultimo loro lavoro, Crociera Vianello, è un film tv che arriva sugli schermi di Canale 5 sabato 13 dicembre. E sarà appunto «l’ultimo» come dichiara, senza rinunciare al gusto dell’ironia, Sandra, 77 anni compiuti il 1° settembre («Sono una Vergine rompiscatole»), anche se quella che lei chiama «una stupida malattia» (la vasculite, ndr) la costringe a lasciare le scene. Le costa? Ahimè sì, anche se ci penso dal giorno in cui ho cominciato a fare questo mestiere. Come negli affetti, me ne vado io prima che me lo dicano gli altri, prima che il tempo scada. Non sopporterei che accadesse: sono troppo orgogliosa. Anche da ragazza, quando sentivo aria di fine, mollavo precipitosamente il fidanzatino di turno. Via a gambe levate, a costo di soffrire come un cane. Sarà che mio padre mi ha abbandonata da piccola, ma la cosa peggiore, per me, è essere lasciata. Non ho voglia di subire l’abbandono anche del pubblico: me la immagino una cosa dura, soprattutto in rapporto a un affetto che dura da sessant’anni. Pensi che quando esco, in carrozzella, perché con questa malattia le gambe non mi reggono più, la gente si butta su di me a baciarmi, convinta che, avendo avuto un tumore, ormai sia lì lì per morire. Invece non si muore di questa malattia. Che però ogni giorno ti ruba qualcosa. Dentro. La voglia di parlare, il desiderio di vestirti, la gioia di incontrare gli altri, di uscire. E questo è peggio che morire. Ma Sandra non intende catturare gli altri con l’esposizione della sua sofferenza: accende una sigaretta («Sapesse come fa compagnia»), assapora un gelato, gioca a fare il peso morto con Raimondo, a cui ha chiesto aiuto per alzarsi dal divano, e che le rovina addosso brontolando «non fare la cretina». Ma siete sempre così, voi due: nella vita come in tv? Più o meno. Quello che ci unisce è l’ironia, la voglia di ridere e di far ridere: identica. Però, se lui facesse lo scemo con tutte, come in televisione, e per di più andasse, appunto, anche in bianco, non lo avrei retto cinquant’anni: l’avrei lasciato subito. Subito dopo la prima notte? Si dice che lui l’abbia passata leggendo la «Gazzetta dello Sport». Solo perché eravamo nella casa dei suoi genitori: non osavamo fiatare. Ma non è stato un dramma, avevamo già consumato prima. Crede che lui l’abbia mai tradita? Credo che abbia avuto sicuramente delle occasioni. Come capita a tutti. Se poi le ha colte, non so; sicuramente non metto la mano sulla sua fedeltà. Però, si sa, ci sono occasioni e occasioni. E ci sono corna e corna. Corna che fanno soffrire. Corna che offendono la dignità di una donna. Corna che non contano più di tanto. Non ho mai voluto approfondire l’argomento, ma conosco bene Raimondo e nutro la certezza che non mi ha mai offesa. Quindi, ammesso che sia successo, perché sapere quando? Una volta che sai, o vai o rimani. E dove va una come me che al mondo non ha nessuno, nemmeno un cane? Tanto più che, con Raimondo, ho avuto una bella vita. Perché è un uomo colto, gentile, buono. Anche attraente: era un bel giovinotto, piaceva e infatti è piaciuto anche a me. Insieme abbiamo riso, abbiamo fatto progetti, abbiamo condiviso perfino la stessa terribile malattia: il cancro. Solo che, quando è toccato a lui, io mi sono fatta prendere dalla disperazione: temevo che soffrisse e sono andata fuori di testa. Adesso è lui preoccupato per lei? Più che preoccupato direi dispiaciuto. Amareggiato nel vedermi inchiodata a questo divano da due anni, in preda a dolori tremendi dappertutto, senza che nessuno, neppure la medicina, riesca ad aiutarmi. Putroppo le ho avute tutte, sono la persona più malata e più forte che ci sia: vivo con un dolore, dentro, a cui non esiste antidoto. E come vive? A pane e televisione, almeno, in qualche maniera, il tempo passa. In tutto questo dolore i ricordi fanno bene o fanno male? Dipende dal momento. Dallo stato d’animo. A volte sono un conforto, una compagnia. Altre fanno invece malissimo: riportano a galla momenti che si vorrebbero seppellire per sempre. Per esempio la separazione dei miei: mia madre che piangeva sempre, mio padre che se ne infischiava. La morte del mio primo amichetto in un incidente. La consapevolezza, un brutto giorno, che non avrei mai avuto una famiglia, perché i bambini non venivano... Io che da piccola non l’avevo avuta e mi ero sposata proprio per quello... Sono finita da Giovanni Cassano, a Pisa, a fare la cura del sonno. E quello non è un bel ricordo. E il successo, il mondo dello spettacolo? Il successo è capitato senza che lo cercassi, prima in tv, facendo la bambinaccia con Mike Bongiorno, poi in teatro, con la rivista di Macario. Però non ho mai avuto il sacro furore, la vocazione del palcoscenico: ho imparato a ballare nei cortili e ho fatto l’attrice perché l’ha voluto mio padre. In qualche maniera dovevo portare i soldi a casa. Come il macellaio o il fioraio: loro andavano in negozio, io in televisione e, forse, mi sono divertita di più. Con Ugo Tognazzi, Walter Chiari, Bramieri, Panelli, Macario... Non ce n’è più neanche uno. A volte penso che potrei scrivere un libro: non soltanto su di loro, anche sulla mia famiglia, si figuri che, oltre a un padre pittore, ho avuto una nonna che mi chiamava Mondainaccia e uno zio falsario. Me l’hanno proposto, ma ho rifiutato e non soltanto perché ho la quinta elementare: ho troppo rispetto per la vita di chi non è qui a dire la sua. Fra tanti, chi ricorda con più nostalgia? Ugo Tognazzi, e non soltanto perché è stato il mio testimone di nozze. Gli volevo bene, ma era un perdente nato. Si atteggiava a galletto e si innamorava sempre di donne che lo tradivano. Non come Walter Chiari. Le capita mai di pregare, signora Mondaini? Ho smesso da tempo. Non perché abbia perso la fede, ma perché sono milanese fino al midollo, quindi pratica e pragmatica. Con quello che succede nel mondo, cosa vuole che importi a Dio delle mie gambe? Insomma, evito di chiedere e mi sembra giusto così. Del resto, io ho già avuto. Nel momento più buio della mia vita, 13 anni fa, qualcuno ha messo sulla mia strada Rosa, Edgar e Ramon, il loro bambino di 6 mesi. Li ho adottati, è nato Gianmarco e, da allora, qui c’è una famiglia. Se anche dovessi andarmene, Raimondo non si sentirebbe abbandonato. Era per dire, naturalmente... Non ho alcuna intenzione di farlo. Mariella Boerci