Marina Gersony, Panorama 18/12/2008, pagina 138, 18 dicembre 2008
Panorama, 18 dicembre 2008 C’è chi lo chiama con malcelata ironia il consiglio dei saggi della sinistra e chi lo liquida come un club di intellettuali delusi e ambiziosi
Panorama, 18 dicembre 2008 C’è chi lo chiama con malcelata ironia il consiglio dei saggi della sinistra e chi lo liquida come un club di intellettuali delusi e ambiziosi. Chi lo guarda con indifferenza e chi lo caldeggia con entusiasmo. il piccolo movimento liberal israeliano, presentato a Tel Aviv il 5 dicembre, che sosterrà il partito Meretz, a cui aderiscono opinionisti, ex politici e scrittori in vista delle elezioni di febbraio. Parole chiave: il Labour ha dato, arriva la nuova sinistra. Fondatori, una trentina di nomi di spicco, tra cui il trio Amos Oz-Abraham Yehoshua-David Grossman. Anche se non tutti sembrano propensi a buttarsi nell’arena politica nel ruolo di simpatizzante. Avraham Burg, ex presidente della Knesset (il parlamento) eletto tra i laburisti, è in prima fila. Il suo libro Sconfiggere Hitler (Neri Pozza, euro 19) ha una tesi forte: Israele deve guarire dalla maledizione in cui l’ha gettato il Führer. appena uscito in Italia dopo essere stato best-seller in Israele. Dove continua a suscitare polemiche, ma anche sconcerto e dolore. Come si chiamerà la nuova forza politica? Non è ancora deciso. Qualcosa tipo Il nuovo movimento. Obiettivi? Rinnovare la speranza che da tempo la sinistra ha perso. Non sappiamo guardare oltre, siamo rimasti concentrati su noi stessi e non consideriamo i palestinesi come veri partner. La gente cerca alternative. E il Partito laburista non lo è: né economicamente né politicamente. E come ha reagito la destra? Israele si trova nel mezzo dell’anno elettorale. Ogni partito sta lavorando al suo programma. La battaglia non è ancora iniziata. Penso che questo partito sarà l’unica voce socialdemocratica chiara sulla pace, sulla soluzione dei due stati, su Gerusalemme e così via. Ma avrà soprattutto un messaggio chiaro sull’economia, dicendo no alle politiche neoconservatrici aggressive che hanno scatenato la crisi economica mondiale. Suona un po’ utopico... Se non hai un grande piano, tutto è noioso, irrilevante, e perdi consenso. Comunque non è utopia, bensì impegno e devozione agli ideali in cui io credo, in cui noi crediamo, e che molti israeliani sognano e desiderano. Riuscirete a sconfiggere l’odio? Odio, frustrazione e molte vittime ci sono sia da parte israeliana sia da parte palestinese, entrambe profondamente traumatizzate. Se ci sarà un’alternativa valida, la maggior parte delle due società potrebbe essere pronta a buttarsi l’odio alle spalle e ad aprirsi a un futuro migliore. Come verrà accolto il movimento? Israele, nonostante i suoi problemi, è un luogo democratico, il migliore in cui vivere: puoi dire quello che vuoi e associarti quando vuoi. Se chiedi agli arabi israeliani dove vorrebbero vivere in caso di una soluzione di pace e di uno stato palestinese, l’80 per cento direbbe Israele «perché è così aperta». Come mai il suo libro ha suscitato tante polemiche? Parlo dell’eccesso di presenza dell’Olocausto nella nostra vita pubblica. Il popolo ebraico, la mia gente, la mia famiglia, ha dovuto subire un trauma incredibile. Individuale e collettivo. Ma se vogliamo uscirne, dobbiamo iniziare un nuovo viaggio. Doloroso, ma necessario per riacquistare fiducia. Non possiamo sfruttare la Shoah come scusa o per spiegare ogni cosa che accade in Israele. L’Olocausto è già penoso di per sé, quindi dovrebbe essere sempre di più un fatto da conservare nei luoghi della memoria e sempre meno in quelli della politica. Marina Gersony