Margherita Belgiojoso, Il Sole-24 Ore 7/12/2008, pagina 34, 7 dicembre 2008
Il Sole-24 Ore, domenica 7 dicembre 2008 Era un Gogol triste, melanconico, quasi piegato su se stesso dal peso della sua anima sofferente
Il Sole-24 Ore, domenica 7 dicembre 2008 Era un Gogol triste, melanconico, quasi piegato su se stesso dal peso della sua anima sofferente. Un Gogol pensieroso e divorato dai dubbi, depresso nonostante le figure paffute che correvano indaffarate sul suo piedistallo, quelle stesse donne scollate e quegli uomini impomatati vestiti di eleganti redingote che popolano le sue Anime Morte. A Stalin quel Gogol non piaceva, e nel 1951 ordinò di farlo scomparire, e di rimpiazzarlo con un Gogol sano, ottimista, trionfante, fiducioso nel futuro comunista che doveva emergere dall’orizzonte. Neppure lo scultore, Nikolai Tomski, si definì soddisfatto della sua opera in stile socialista-realista, con la mano sul petto e lo sguardo al futuro: bella o brutta, la versione sovietica è rimasta sul Gogolevsky Boulevard fino a oggi, mentre la statua originale, opera di Nikolay Andreyev, e lodata da Lev Tolstoj e Ilya Repin, negli anni 60 fu piazzata nel cortile dell’osobniak (palazzetto) dimora moscovita di Nikolai Gogol. Ma non si sa per quanto ancora sia destinata a rimanerci, visto che un drappello di intellettuali ha scritto una lettera aperta chiedendo di rettificare la storia, riportando il Gogol andreyeviano sul sito originale, e spedendo quello sovietico... in Ucraina, patria dello scrittore. Proprio in queste settimane alla Duma, il parlamento russo, tra misure di arginamento alla crisi finanziaria globale e nuovi trattati commerciali con il Sud America, i deputati discutono sul da farsi, e il verdetto sembrerebbe consentire al trasferimento della statua. Ma la direttrice della casa-museo di Gogol (che riaprirà ai visitatori dopo un lungo restauro il 1º aprile 2009, in occasione del duecentesimo anniversario della nascita dello scrittore) è pronta a difendere il suo monumento con la vita: «Anche il monumento di Tomski fa parte della nostra storia, sebbene di quella sovietica, perché disfarsene ora?», spiega Vera Pavlovna Vikulova, capello biondo platino, occhio scrutatore, pelliccetta adagiata sulle spalle grasse: «Questa era la casa di Gogol e qui il monumento ci sta bene, è riparato dall’inquinamento e dai vandali. Noi siamo neutrali in questa vicenda, ma speriamo rimanga qui. Lei comunque da che parte sta, non sarà stata per caso inviata qui dalla Duma?». In una settimana la vicenda del Gogol di pietra ha infiammato gli spiriti degli intellettuali di mezza Mosca, sconvolto la ragione di tanti studiosi di letteratura russa, e tra i due schieramenti in lotta volano gli insulti, persino di antisemitismo, visto che tra i cognomi dei firmatari all’appello ce ne sono alcuni di radice ebraica. Sono una questione così delicata le statue a Mosca che la professoressa Nina Moleva, sottoscrittrice dell’istanza, membro della Commissione per l’Arte monumentale di Mosca e autrice di decine di opere sulla storia della sua città, ha appena pubblicato un libro intitolato Storia della nuova Mosca, ovvero a chi facciamo il monumento (Ast editore). Perché proprio tra le nuove statue di Mosca c’è la chiave per capire come va cambiando una delle capitali più spumeggianti del mondo: dopo aver sloggiato il top della storia bolscevica ammassandolo senz’ordine in un parco a due passi dalla Chiesa del Cristo Salvatore, a Mosca oggi i monumenti si fanno principalmente a cantanti, zar, o a concetti astratti. In attesa di trovare un accordo sulla storia. Tra gli ultimi memoriali edificati ci sono quelli a Vladimir Vysotsky e a Bulat Okudzhava, celebri dissidenti cantori dell’anima russa, al mitico portiere sovietico Lev Yashin, a Indira e al Mahatma Gandhi, al l’«Amicizia», e allo zar Alessandro II. O a Fëdor Šaljapin, monumento che i moscoviti hanno soprannominato «l’alcolizzato dormiente» perché più che al leggendario basso dell’opera russa, assomiglia a un ubriacone. Quello che ha dato più scandalo, per la sua obbrobriosa bruttezza, è il monumento ai «Bambini vittime dei vizi degli adulti», imposto chissà perché a cento metri da quello al pittore Ilya Repin. Fin troppo nota la storia della grottesca scultura di Zurab Tsereteli, il protetto del sindaco di Mosca: un mostruoso Pietro il Grande alto novantadue metri nel cuore di Mosca, inserito recentemente nel l’elenco delle dieci massime brutture dell’architettura contemporanea mondiale. E negli ultimi anni si è discusso animatamente se permettere una statua all’odierno sindaco di Mosca, Yuri Luzhkov, o a Viktor Tsoi, leader dei Kino, la colonna sonora della Perestroika, e persino alla @ simbolo di internet. La professoressa Moleva racconta l’attività della sua Commissione, che in quattro anni si è vista recapitare 126 diverse petizioni per nuovi monumenti: nel libro riporta lettere e documenti, e anche le motivazioni dell’ultimo no all’ennesima richiesta di riportare sulla piazza della Lubianka la statua – abbattuta nel ’91 – di Feliks Dzer/x(017e)inskij, il fondatore della spaventosa polizia segreta sovietica. In molti mirano allo spazio vuoto della Lubianka, storica sede dei servizi segreti russi: chi vorrebbe dedicarla ai quaranta milioni di vittime del terrore staliniano, chi chiede di ergervi un memoriale alla famiglia degli zar massacrata nel 1917, chi insiste per il monumento a Boris Eltsin. Per ora la piazza della Lubianka rimane tetramente vuota, ma i pretendenti crescono ogni giorno. Margherita Belgiojoso