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 2008  dicembre 11 Giovedì calendario

ROMA – Tredici miliardi, forse quindici. Quanti siano esattamente i debiti contratti dai Comuni italiani con le tecniche di finanza strutturata, nessuno esattamente lo sa

ROMA – Tredici miliardi, forse quindici. Quanti siano esattamente i debiti contratti dai Comuni italiani con le tecniche di finanza strutturata, nessuno esattamente lo sa. Come non esiste chi sia in grado di dire con precisione quanti sindaci (cento, duecento?) rischiano di rompersi l’osso del collo con i derivati. Né a quanto ammontano le perdite potenziali (tre, quattrocento milioni?). Il problema è proprio questo: mancano le informazioni complete. Ragion per cui ieri, nella sede della Banca d’Italia, durante un incontro riservato, il governatore Mario Draghi e il presidente dell’Anci Leonardo Domenici hanno stabilito quantomeno di scambiarsi quelle che hanno. Non che questo di per sé rappresenti la soluzione del problema, ma almeno servirà a definirne le proporzioni. Il fatto è che la Banca d’Italia conosce fin nei minimi dettagli la situazione dei Comuni che hanno stipulato contratti di finanza derivata con banche che hanno sede in Italia (principalmente Unicredit e Bnl) ma non dispone di analoghe notizie su tutte le operazioni strutturate di quei municipi che si sono rivolti alle banche estere. Quanti? Anche a questa domanda non sarà facile rispondere, almeno prima che l’Anci non avrà completato il censimento di quelle mine vaganti presenti nei bilanci dei Comuni che sta conducendo attraverso la fondazione Ifel. Quel che si sa è che gli istituti esteri maggiormente coinvolti sono la francese Dexia, la giapponese Nomura e l’americana Citibank. E che la casistica delle operazioni che sono state concluse presenta situazioni molto differenti. Non mancano alcuni contratti stipulati con Lehman Brothers, la banca d’affari americana il cui fallimento ha innescato una gigantesca reazione a catena sui mercati internazionali, e con altri istituti internazionali meno noti sulla piazza italiana. Il Comune di Pozzuoli, per esempio, dopo aver siglato due contratti di derivati nel 2005 e nel 2006 con la Nomura, l’anno successivo ne ha firmato un terzo con la tedesca Hsh Nordbank Ag, come era stato suggerito dal consulente scelto dalla giunta municipale (Value solutions srl, la stessa società che aveva segnalato la Hsh Nordbank al comune di Benevento). A giudizio della Corte dei conti, non un grandissimo affare per le casse cittadine. Sottolineando nella relazione approvata lo scorso 3 settembre «i riflessi negativi conseguenti a tali operazioni sugli equilibri di bilancio» del Comune di Pozzuoli, i magistrati contabili rivelano che ad aprile 2008 «secondo il calcolo dell’amministrazione comunale la previsione di perdite future era pari a euro 18.820.714,93». Un problema rilevato dalla Corte dei conti non soltanto al Sud. La scorsa estate, per fare un altro esempio, i magistrati della sezione regionale della Liguria hanno evidenziato in un loro rapporto le «criticità di alcune operazioni di finanza derivata» avviate dal comune di Levanto nel 2004, proseguite nel 2005, quindi rinegoziate nel 2006 «su richiesta dello stesso Comune, dopo neppure quattro mesi dalla sua conclusione, con una perdita di 183 mila euro». Le preoccupazioni di Draghi, connesse alle possibili ripercussioni negative sui bilanci degli enti locali, non sarebbero però del tutto estranee alla piega che sta prendendo in alcuni casi questa faccenda. Risulta infatti che alcuni sindaci abbiano avviato azioni legali contro le banche estere. Iniziative che sfociando magari in cause penali renderebbero di fatto impossibile la conciliazione. Obiettivo che il presidente dell’Anci Domenici vorrebbe perseguire come soluzione generale. Anche per evitare il rischio che il contenzioso innescato da una certa amministrazione possa poi ricadere sull’amministrazione successiva, condizionandone l’attività. L’attenzione adesso è tutta per la Finanziaria, nella speranza di qualche norma che sistemi le cose. Per ora lì c’è finito un emendamento che consente agli enti locali inguaiati di rinegoziare i contratti «sottostanti» ai derivati. Risultando però inefficace per disinnescare la mina. Sergio Rizzo