Alessandro Capponi, Corriere della Sera 11/12/2008, 11 dicembre 2008
PERUGIA – C’è
una scena nella quale lei guarda fissa in macchina e rimane in silenzio, l’inquadratura stretta sui suoi occhi chiari, senza trucco, un poco tristi: quando l’immagine si apre, svaniscono i dubbi. L’attrice è Amanda Marie Knox.
Dice a chi le è accanto ogni giorno che «girare questo film è stata un’esperienza bella, la storia è piena di poesia, toccante, emozionante». C’è anche l’Amleto, il monologo più noto, prima scena del terzo atto: «Essere o non essere», che lei recita un po’ in italiano e un po’ in inglese. In tutto tre mesi di lavoro, dieci ore di girato, versione finale da cinquantacinque minuti: lo stanno finendo di montare in questi giorni, ma il mediometraggio «L’ultima città» è già diventato un caso. Doveva essere proiettato domenica in un cinema del centro storico, durante un festival, ma la presentazione è stata rimandata a fine gennaio. Quei giorni, per lei, non saranno semplici: in aula, al processo, Amanda Marie Knox sarà accusata – insieme con Raffaele Sollecito – di aver violentato e ucciso Meredith Kercher, la ragazza inglese assassinata un anno fa. Sul grande schermo, invece, interpreterà una detenuta con un unico sogno. La fuga.
Interamente girato nel carcere di Capanne, con un budget «tra i dieci e i quindicimila euro », nel «debutto cinematografico » di Amanda Knox ci sono testi di Pessoa, Calderón de la Barca - «Amanda lo recita in italiano» - Rimbaud, Shakespeare. Americana di Seattle, ventun’anni, il processo per omicidio che sta per cominciare: come attrice sembra se la sia cavata bene, o almeno così sostiene il regista, Claudio Carini: «Si è offerta lei, a settembre, e abbiamo subito cominciato a girare. Amanda è stata diligente, disciplinata, brava. Si è impegnata molto, come le altre del resto». Tredici mesi di carcere: la detenuta Amanda Marie Knox - che per il critico Aldo Grasso è «il personaggio televisivo dell’anno» - adesso prova anche a recitare. Il «caso », però, è scoppiato a pochi giorni dalla proiezione: la Regione, che ha finanziato l’opera, ha accolto la richiesta degli avvocati di spostare l’evento a fine gennaio. «Per motivi di opportunità visto che a breve ci sarà il processo, e noi abbiamo accettato - racconta l’assessore ai Servizi sociali dell’Umbria, Damiano Stufara, Rc - perché per noi fare cinema nel carcere ha una funzione rieducativa, di reinserimento. Non volevamo creare un caso con Amanda, per noi le detenute sono tutte uguali, e certo non vogliamo che questo film porti a Perugia quel genere di pubblicità che è arrivata con l’omicidio Kercher...». Il mediometraggio doveva essere presentato al «Batik festival», una rassegna di cinema sperimentale giunta alla dodicesima edizione: il programma di domenica era già stato stampato. Eccolo: alle dodici e trenta conferenza con, tra gli altri, Toni Servillo, Licia Maglietta, Valeria Bruni Tedeschi, Enrico Ghezzi; alle quindici e trenta proiezione de «L’ultima città», di Claudio Carini. Con Amanda Knox.
Il regista è un attore di prosa e produttore di audiolibri, da una vita lavora col Teatro stabile di Perugia: « la prima volta che facciamo un film in carcere, finora avevamo fatto solo spettacoli». Né costumi né scenografie: ogni scena è stata girata nella sala teatro della prigione, che poi è la stessa dove le detenute possono assistere alle proiezioni dei film. Pareti gialle, pavimento chiaro: le luci, la macchina da presa, un ciak. Le interpreti - dodici in tutto - ovviamente hanno firmato la liberatoria: Amanda, visto che è in attesa di giudizio, ha avuto anche bisogno del permesso del giudice. Ha recitato in jeans e maglietta, sguardo dritto in camera, buon italiano. Le mostravano ogni volta il girato della settimana precedente: lei rideva, un poco perplessa e un poco soddisfatta. «La sinossi è semplice: un viaggio fantastico. Spinte dal desiderio di fuga racconta il regista - dodici detenute si trovano ad esplorare sette diverse città metaforiche: la città del cinema, del lavoro, della musica, della solitudine, della follia, dei sogni. Il percorso si conclude con la settima città, il carcere». Al cinema, dunque, la storia si conclude così, in prigione: non c’è lieto fine, Amanda Knox.
Alessandro Capponi