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 2008  dicembre 07 Domenica calendario

Gli ottant’anni di Piero Angela

la Repubblica, domenica 7 dicembre 2008 alla cerimonia degli auguri non ci sarà lo champagne, forse neppure il moscato delle sue terre. Il festeggiato è astemio. Il gentiluomo di Quark, il signore che ha fatto rinascere i dinosauri prima di Giurassic Park e li ha venduti nel mondo alle televisioni di quaranta paesi, celebra i suoi ottant´anni e non li vuole dimostrare. Gli uomini invecchiano sempre male quando restano giovani, eppure questo non è successo a Piero Angela. Lui ha conservato il volto televisivo di trent´anni fa. Lo sguardo pacifico e rassicurante da maestro buono che non dà bacchettate sulle dita degli alunni, uno sguardo appena un po´ inclinato dalla deformazione professionale, le guance tonde e colorite, i capelli sottili pettinati bene, l´aria elegante e sobria che s´incontra nei salotti piemontesi un po´ gozzaniani, dove ogni porcellana sembra stare al suo posto da generazioni, senza che un filo di polvere si sia posato sopra il tempo trascorso. Sono venuto a trovare Piero Angela nella sua casa di Roma Nord, un luogo che a tutto assomiglia tranne che a Roma. Una palazzina di quattro piani costruita negli anni Sessanta con grandi finestre che incorniciano macchie di alberi che sembrano boschi veri. Una via con un nome dolomitico, circondata da troppo silenzio, un paesaggio di una riservatezza che sfiora la solitudine e la noia. Sulla porta c´è Margherita, moglie bionda e dolce che saluta e rapida si eclissa. la madre di Alberto e Christine. Riflettendosi in lei, come dentro uno specchio intimo, Piero Angela disegna il proprio carattere. Si accomoda sul divano, in pantaloni chiari di velluto, camicia e maglione girocollo, offre un cioccolatino, «sono un professionista del gianduiotto alla fine del pranzo» e a me pare davvero di mettermi seduto davanti alla tv: «Margherita non ha mai voluto essere fotografata con me, alle cene in pubblico andiamo sempre separati. Non è gelosa e temo di non averle mai dato motivi per esserlo. Mai ricevuto lettere profumate da parte di donne innamorate. Non sono un divo, penso che i miei spettatori mi considerino un loro parente. Nella vita ho fatto tanti errori e commesso pochi peccati. Peccare è faticoso come dire le bugie, bisogna possedere buona memoria. Sono un pantofolaio, mi piace stare in casa, persino al cinema vado pochissimo. Ogni tanto faccio qualche viaggio, anche in tenda e sacco a pelo, ma dopo tre giorni la vacanza mi ha già stancato. Non ho mai lavorato tanto come adesso. Non sento la fatica degli ottant´anni. Purtroppo me li ha ricordati qualche settimana fa l´istituto di previdenza dei giornalisti». Si alza, prende dal tavolo una lettera ciclostilata e me la mostra. la richiesta di una certificazione di esistenza in vita. Se vi è in noi qualcosa che sta sopra e dietro a tutte le età e con tutte gioca, in Piero Angela questa fortuna è proprio la voglia di esplorare la vita, dalle sue più banali manifestazioni agli insondabili misteri. Con l´occhio del laico. «Io non credo a nulla, evito di parlare di Dio come degli extraterrestri. La scienza unisce posizioni ideologiche differenti, mi auguro che presto lo comprenda anche la Chiesa. La scienza è filosofia. La biochimica ci aiuta a capire da dove veniamo. L´astrofisica scandaglia i segreti dell´universo, la paleontologia umana lo sviluppo dell´uomo, la fisica della materia illumina ciò che ci circonda, la genetica quello che sta dentro di noi». Si batte la fronte con l´indice: «La vita è qui». Al giorno d´oggi, dice, il motore che cambia il mondo non è più la scienza, ma la tecnologia e la tecnologia non ha nulla a che fare con la filosofia. meccanica, è profitto. «La tecnologia può salvarci o distruggerci, lo snodo è culturale, sta nella nostra capacità di gestirne limiti e vantaggi». Gli domando se esiste qualche motivo razionale che giustifichi il nostro inseguimento all´immortalità, lui mi spiega che il suo autore di fantascienza preferito è Arthur Clarke perché nelle sue storie ha sempre privilegiato la verosimiglianza scientifica ai sogni d´onnipotenza. «La vita è un elastico e tutti noi ne abbiamo uno diverso. Lo tiri fino a quando non si spezza, l´unica certezza è proprio questa, c´è, prima o dopo, un punto di rottura. Ho cominciato a pensare alla morte quando ho compiuto cinquant´anni, prima coltivavo segretamente l´illusione intellettuale di essere immortale mentre, invece, siamo tutti in marcia verso un nido di mitragliatrici. Ogni mattina, una delle prime pagine che cerco sui giornali è quella delle necrologie. Con grande sincerità, le dico che non mi auguro la prospettiva di una società di ultra centenari». Piero Angela è stato nove anni a Parigi come corrispondente della Rai, quattro a Bruxelles, ha girato l´America in lungo e in largo, ma non è mai riuscito a correggere completamente l´accento torinese. Spulciando gli archivi delle parrocchie è salito sulla macchina del tempo e si è arrampicato fino al Seicento per ritrovare a Pobbia, vicino a Ivrea, nel Canavese, colline e montagne a una cinquantina di chilometri da Torino, la culla della sua famiglia. Il padre era uno psichiatra. Antifascista, personaggio importante della Resistenza. Salvò decine di ebrei ricoverandoli nella sua clinica di San Maurizio Canavese. Li faceva passare per matti. Israele lo ringraziò con il titolo di Giusto della nazione. Nel 1952, a ventiquattro anni, Piero mette piede nella sede della radio di Torino dopo avere partecipato a una selezione per collaboratori. Inseguiva le sue chimere, a tentoni. «Studiavo ingegneria al Politecnico, ma in realtà l´ambizione era quella di fare musica. Pianoforte. Avvertivo il fascino americano, eravamo nel dopoguerra, m´innamorai del jazz. Nel ?48 mi ero procurato un visto di fortuna grazie a un professore del conservatorio per andare a Nizza ad ascoltare Louis Armstrong. Avevo un compagno, Lodovico Lessona, che musicista riuscì a diventarlo per davvero, i suoi genitori lo avevano chiamato così in onore di Beethoven. Una predestinazione. Purtroppo Lodovico morì giovane in un incidente aereo in Bulgaria. Molto tempo prima di quella tragedia pensai che per certi mestieri si dovesse portare il nome giusto, e io non ce l´avevo. Così sono diventato giornalista». A Torino, in via Montebello, a pochi metri dalla Mole Antonelliana, ci sono Gigi Marsico, Mario Pogliotti, Enzo Tortora, Furio Colombo, Umberto Eco, Gianni Vattimo. una stagione pionieristica e entusiasmante. «Si fa di tutto. Notiziari locali, Radiosera, Voci dal mondo... Vado in giro per i servizi su una Fiat Giardinetta attrezzata. Il registratore a disco è grande come una lavatrice, con due batterie da venticinque chili l´una. Su una salita della Valle d´Aosta la giardinetta ci pianta in asso, siamo in due, ci carichiamo quell´armamentario sulla schiena. Restano da fare un paio di chilometri, è un massacro. Nel ?68 Fabiano Fabiani mi chiama a Roma, alla televisione. Mi dice: "Basta con gli speaker nei telegiornali, voglio che in video vadano i giornalisti". Comincio al tg delle 13.30, mi alterno con Andrea Barbato». La gara tra americani e russi per la conquista dello spazio gli cambierà la vita. Va negli Stati Uniti, alla Nasa, racconta la preparazione allo sbarco sulla Luna. L´Apollo sette, otto, nove, dieci, undici e dodici. «Scopro che dietro a quei tre astronauti spediti lassù c´è l´opera straordinaria e sconosciuta di seicentomila persone». un incantesimo dal quale non riuscirà più a affrancarsi. Quando rientra in Italia chiede e ottiene di lasciare il telegiornale. «Invece di dieci notizie al giorno da allora ne racconto una ogni due anni. Il primo documentario è sulla genetica, scienza che stava appena nascendo». Diventa finalmente Piero Angela. Per la prima volta. Il suo nome si trasforma in un marchio, alla faccia della predestinazione. Non è un ingegnere, non è un musicista, non è uno scienziato, è un incredibile divulgatore. Ha scritto trentatré libri di cui ha venduto oltre tre milioni di copie, ha ricevuto otto lauree honoris causa, ha realizzato una sessantina di documentari e centinaia di puntate televisive, ha vinto sette Telegatti e otto volte il premio nazionale di regia televisiva. Confessa con sincerità: «Sono diventato ricco e famoso. Ho pagato le tasse e portato molti soldi anche nelle casse della Rai». Un fuoriclasse dell´audience, un volano per gli introiti pubblicitari. Gli dico: un miracolo per uno che si è messo al volante della scienza senza avere neppure la patente di una laurea in ingegneria. Mi risponde con immutabile cortesia: «Non sono un truffatore, ogni mio libro è una tesi. Leggo, leggo, leggo. Parlo con gli scienziati, faccio il mio compitino e poi lo porto a correggere. Il mio primo libro lo feci rivedere da cinque grandi specialisti. Diventò olio extravergine d´oliva». Insisto: qualcuno le ha mai detto signor Angela, lei è bravo ma noioso? «No, non me lo ha mai detto nessuno. Mica sono un comico. Non ho mai studiato recitazione, sono normale, sono me stesso. Gliel´ho detto, uno di famiglia che cerca di semplificare le cose complicate. Il mio linguaggio sta dalla parte del pubblico, i contenuti dalla parte degli scienziati». Nell´Italia della gerontocrazia, Piero Angela sa di essere un dinosauro del potere. «Ma siamo anche pieni di ottantenni falliti. Il problema è un altro: mentre all´estero ciò che conta è il merito, da noi si tende a premiare i demeriti. Quando andai in America negli anni Settanta, a raccontare la crisi petrolifera che costrinse all´austerity l´Occidente, intervistai il capo dell´Agenzia nazionale per l´energia. Non aveva ancora trentacinque anni. In Italia non sarebbe mai potuto accadere. Il nostro non è un paese normale. Siamo lottizzati, conflittuali, in politica direi persino forsennati. Mi sento un pesce fuor d´acqua, vado a votare con grande difficoltà e non le dirò per chi. Mi piace fare come Walter Cronkite, il più grande giornalista nella storia della televisione americana. Di lui non si seppe mai se fosse di fede democratica o repubblicana. Io mi considero un uomo dello Stato, un servitore pubblico. A volte mi sento il controllore di un treno». La pausa gianduiotto è terminata. Piero Angela si rimette a fare i compiti, si tratta di un documentario sul mistero della corazzata "Roma" affondata dagli aerei tedeschi al largo della Sardegna il 9 settembre 1943. Era la nave più bella della Marina fascista. Il suo relitto non è mai stato trovato. Poi, in un´altra stanza, c´è il pianoforte: «Ho voglia di riprenderlo. Ho un´unica registrazione che risale al 1952. Vorrei farne un´altra prima di crepare». E ride, questa volta. Finalmente ride, e la sua faccia senza età arrossisce come se avesse commesso uno dei suoi piccoli peccati. Basta che non si sappia in giro. Dario Cresto-Dina