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 2008  dicembre 07 Domenica calendario

la Repubblica, domenica 7 dicembre 2008 I dittatori muoiono troppo spesso di vecchiaia. Robert Gabriel Mugabe è vivo, ha 84 anni, è al potere da 28

la Repubblica, domenica 7 dicembre 2008 I dittatori muoiono troppo spesso di vecchiaia. Robert Gabriel Mugabe è vivo, ha 84 anni, è al potere da 28. un ripugnante tiranno. I vecchi tiranni sono stati spesso giovani rivoluzionari. Lo Zimbabwe era una volta la razzista Rhodesia meridionale di Ian Smith. Mugabe fu l´eroe della sua liberazione. Fu incarcerato, andò in esilio, fu un comandante guerrigliero. Il 18 aprile del 1980 Bob Marley celebrava l´indipendenza in un memorabile concerto nella capitale Harare, già Salisbury. «Set it up ina Zimbabwe / Africans a liberate Zimbabwe. / Every man got a right / To decide his own destiny». Ciascun essere umano deve poter decidere del proprio destino. Cantava anche: «So soon we´ll find out / Who is the real revolutionary». Vedremo presto chi è il vero rivoluzionario. Marley morì un anno dopo, e non l´ha visto. Noi sì. Chi nasce nello Zimbabwe ha una speranza di vita inferiore ai 40 anni se è maschio, ai 38 se è femmina. Molto meno della metà di chi nasce in Italia. Suona strana, nella ricorrenza dei 60 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo, la frase: «Tutti gli esseri umani nascono uguali...». La disoccupazione supera l´80 per cento. Un adulto su quattro è malato di Aids. Tubercolosi e malaria infuriano. Dallo scorso agosto, un´epidemia di colera dilaga pressoché nell´intero paese, e sconfina già nel Botswana e in Sudafrica, ha contagiato migliaia di persone e fatto centinaia di morti, ha indotto a lasciare la capitale e intere province senza acqua. Per la prima volta, il governo di Mugabe ha fatto appello all´aiuto internazionale per una emergenza che non riesce a fronteggiare ? se non esortando la gente a non darsi la mano quando si incontra. Se cercate notizie esatte sull´inflazione in Zimbabwe (quasi 400 mila kmq, tredici milioni di abitanti, più 4 milioni di emigrati, un tempo celebrato come il "granaio africano") imparerete solo che ha il record mondiale: quanto al tasso, vi dicono che va da 100 mila a undici milioni per cento! Mugabe affama il suo popolo, ruba gli aiuti internazionali, tortura e assassina gli oppositori, vieta la libertà di stampa, falsa le elezioni. Quest´anno aveva perso il primo turno col rivale Morgan Tsvangirai. L´inviato di Repubblica, Giampaolo Visetti, riferiva l´opinione diffusa che «senza frodi, Mugabe avesse preso il 10 per cento dei voti». Tsvangirai al ballottaggio di giugno ha rinunciato a presentarsi, e anzi, per salvarsi la vita, è riparato prima in un´ambasciata europea poi all´estero. Non passa giorno senza che dalla cosiddetta comunità internazionale si levino voci autorevoli quanto frustrate a denunciare la bancarotta dello Stato dello Zimbabwe e a rivendicare la destituzione di Mugabe. Ieri il primo ministro britannico Gordon Brown ha detto che «quando è troppo è troppo». troppo da tanto tempo. Condoleezza Rice aveva appena dichiarato che il dilagare del colera è l´ennesima prova di una catastrofe politica, che Mugabe deve dimettersi, che le promesse di un "dialogo" per associare al governo gli oppositori sono una farsa. Nelson Mandela aveva pronunciato lo stesso giudizio, ma è toccato a Desmond Tutu, un uomo di chiesa, auspicare francamente che Mugabe venga rimosso, se altri mezzi non bastino, «con la forza». Sanzioni sono in vigore da parte dell´Unione Europea e del Commonwealth, da singoli Stati e da organismi internazionali. Nel Consiglio di Sicurezza dell´Onu il veto della Russia e della Cina (e il voto contrario della Libia e fino a poco fa anche del Sudafrica di Mbeki) l´ha impedito. Russia e Cina non vanno pazze per i diritti, e hanno forte il senso degli affari, e l´Africa è sempre più una loro piazza d´affari. Gli affari con i dittatori sono molto più sicuri e sbrigativi, per non dire quelli fra dittatori. Quanto al Sudafrica, il filo spinato che lo separa dallo Zimbabwe ferisce e impiglia i fuggiaschi, ma non ferma il colera.  stata fino a poco fa la complicità degli Stati africani ? un po´ in omaggio al passato di Mugabe, molto di più per correità in dispotismo e crimini di guerra ? ad assicurare al regime dello Zimbabwe il più fattivo sostegno. La dissociazione del Mozambico, della Tanzania, dello Zambia, dell´Angola di Dos Santos ? rafforzato ora da una schiacciante vittoria elettorale ? e dello stesso primo ministro kenyota Odinga, possono colpire Mugabe più efficacemente. Sta di fatto che la comunità internazionale affronta ancora una volta il problema irrisolto di come misurarsi con un tiranno, spregiatore della legalità internazionale e oppressore feroce del suo popolo, in un modo che non sia la guerra. Il tiranno iracheno, infatti, è stato spodestato, e non è morto di vecchiaia (come sarebbe stato bene, in un esilio o in una galera), ma al costo di una guerra dagli effetti spaventosi. Che cosa impedisce alla comunità internazionale di rendere efficace la propria pressione? Molte ragioni diverse. La più immediata, è una più o meno lunga coda di paglia. Le colpe, le inadempienze, le ipocrisie delle democrazie offrono un argomento e un pretesto ai nemici della democrazia. A Mugabe è vietato viaggiare in Europa o negli Stati Uniti, ma con l´eccezione di riunioni di organismi internazionali di cui lo Zimbabwe è membro. Succede così che la tribuna delle Nazioni Unite o della Fao a Roma gli serva ad attaccare Abu Ghraib o le prepotenze della Banca Mondiale. La comunità internazionale poi è divisa e, tanto più nelle Nazioni Unite, incapace di un´efficace azione comune. La terribile guerra mondiale africana in Congo ? nella quale Mugabe volle avere la sua privatissima parte di bottino, spedendo un esercito di 12 mila uomini e dissanguando il suo paese ? è ancora lì a provarlo. Ancora: la comunità internazionale non ha imparato a distinguere i mezzi della guerra da quelli della polizia internazionale. "La forza", quella invocata più francamente dal vescovo Tutu, coincide ancora con la guerra: quanto rovinosamente, è sempre l´Iraq a mostrarlo. Sicché le sanzioni, anche quando siano effettive (non lo è, verso lo Zimbabwe, nemmeno quella sugli armamenti) rischiano di essere indiscriminate e colpire i deboli più dei loro despoti, e di tramutarsi, quando davvero il troppo sia troppo, in mere premesse alla guerra. Lo Zimbabwe del vecchio tiranno è una specie di laboratorio di questo ricorrente irrisolto problema. Una differenza c´è, a parte il colera: ed è il figlio di un pastore kenyota eletto presidente degli Stati Uniti. Un´elezione che ha riguardato singolarmente il mondo intero, ma soprattutto l´Africa. Sarebbe un´ulteriore meraviglia simbolica la coincidenza fra l´ingresso di Obama e l´uscita di Mugabe. Sogno afroamericano a parte, che cosa dovrebbe succedere? L´opinione pubblica dovrebbe ribellarsi alla sofferenza e all´umiliazione che Mugabe infligge al suo popolo. La diplomazia dovrebbe stringere l´accerchiamento attorno alla sua oltranza. La comunità internazionale dovrebbe, più di quanto faccia, andare in soccorso di una gente falcidiata da malattia e carestia. E immaginare, e disporre, un impiego della forza commisurato al ripristino della legalità democratica: che non ha bisogno di essere "importata", perché lo Zimbabwe, come nelle elezioni della primavera scorsa, la riconosce a parole, benché la calpesti di fatto. Vasto programma, certo. Si preferirà forse aspettare che la natura faccia il suo corso. Dopotutto, Mugabe ha 84 anni. Si può intanto pregare, perché la sua dipartita non tardi troppo, e non corra troppo il colera. Adriano Sofri