Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  dicembre 09 Martedì calendario

La Stampa, martedì 9 dicembre 2008 Su quale frequenza radio trasmetterebbe una civiltà extraterrestre per rivelarci la sua esistenza? A porsi questa domanda fu Giuseppe Cocconi, leggendario fisico italiano che lavorò quasi sempre all’estero

La Stampa, martedì 9 dicembre 2008 Su quale frequenza radio trasmetterebbe una civiltà extraterrestre per rivelarci la sua esistenza? A porsi questa domanda fu Giuseppe Cocconi, leggendario fisico italiano che lavorò quasi sempre all’estero. Cocconi è morto di recente a Ginevra a 94 anni, notizia ignorata dai media. Ma vale la pena di ricordarlo. La sua fama di è legata a un articolo che pubblicò su «Nature» il 19 settembre 1959 insieme con il collega americano Philip Morrison, scomparso nel 2005. Il titolo era «Searching for interstellar communications». La ricerca di alieni intelligenti e il mito cinematografico di E.T. nascono da quelle due pagine scritte mezzo secolo fa. La radioastronomia era agli inizi. Jansky nel 1931 con una strana antenna a forma di giostra aveva scoperto che segnali radio arrivano dal centro della Via Lattea. Reber nel 1937 aveva individuato altre emittenti cosmiche. Ma la Seconda guerra mondiale, con il segreto militare imposto dallo sviluppo del radar, aveva interrotto le ricerche. Quando Cocconi e Morrison avanzarono l’idea di «ascoltare» il cielo nella speranza di identificare segnali artificiali, era da poco entrato in funzione il radiotelescopio di Jodrell Bank, nel Regno Unito, una parabola larga 76 metri. Con strumenti così potenti diventava realistica la speranza di captare, oltre al «rumore» emesso da stelle e nebulose, anche segnali intelligenti. Ma su quali onde sintonizzarsi? Cocconi e Morrison ne discussero alla Cornell University di New York e decisero che la lunghezza d’onda più logica, non solo per noi umani ma anche per una eventuale civiltà extraterrestre, è quella su cui emette l’elemento più semplice e abbondante dell’Universo, l’idrogeno: 21 centimetri, pari a 1420 megahertz. Proposero quindi di esplorare questa frequenza. Il primo radiotelescopio a caccia di E.T. fu quello da 26 metri di Green Bank, Usa. L’8 aprile 1960 l’astronomo americano Frank Drake puntò la parabola verso due stelle simili al Sole: Tau Ceti ed Epsilon Eridani. Il progetto si chiamava Ozma, con allusione al Mago di Oz. Ma il radiotelescopio captò solo un gran silenzio. Da allora le ricerche sono andate avanti, sia pure con pochi finanziamenti. Sotto l’etichetta Seti (Search for Extra Terrestrial Intelligence) si sono accumulati anni di ascolto, migliaia di stelle sono state spiate. C’è anche un progetto Seti italiano, intitolato proprio a Cocconi. Alcuni segnali in apparenza artificiali sono stati captati, ma poi si è capito che erano falsi allarmi. Forse ci vorranno secoli prima che si arrivi a un successo. Nato a Como nel 1914, Cocconi si era laureato a Milano. Nel 1938 Edoardo Amaldi lo invitò a Roma al celebre Istituto di via Panisperna. Qui conobbe Fermi e lavorò con lui a un rivelatore di mesoni, poi si dedicò a studi sui raggi cosmici. Scherzando, faceva notare che il suo arrivo a Roma coincise con la scomparsa di Majorana. Nel 1942 vinse una cattedra a Catania e nel 1945 sposò un’allieva, Vanna Tongiorgi, con cui dividerà 45 anni di vita e carriera scientifica. Poco dopo accettò un invito della Cornell University, dove insegnò fino al 1963. A chiamarlo fu Hans Bethe, futuro Nobel. Trasferitosi al Cern di Ginevra, Cocconi ne diresse il protosincrotrone dal 1967 al 1969. Si ritirò 10 anni dopo e da allora non volle più parlare in pubblico. Rifiutò sempre premi e affiliazioni ad accademie. Non perché fosse snob. Era schivo e modesto. Piero Bianucci