Domenico Siniscalco, La Stampa 9/12/2008, pagina 1, 9 dicembre 2008
La Stampa, martedì 9 dicembre 2008 Il rialzo di Borsa degli ultimissimi giorni non deve nascondere che la crisi finanziaria sta contagiando pesantemente l’economia reale e l’occupazione
La Stampa, martedì 9 dicembre 2008 Il rialzo di Borsa degli ultimissimi giorni non deve nascondere che la crisi finanziaria sta contagiando pesantemente l’economia reale e l’occupazione. Secondo i dati diffusi venerdì scorso, gli Stati Uniti hanno perso più di mezzo milione di posti di lavoro nel solo mese di novembre, con una prevedibile riduzione del prodotto lordo compresa tra il 4 e il 5% nel quarto trimestre. In Europa, le principali economie sono in contrazione. In Cina, dove pure i dati ufficiali continuano a segnalare crescita, la produzione energetica, che è un indicatore tempestivo dell’attività economica, è in calo. Difatti, anche in quell’economia, i tassi di interesse sono stati tagliati più volte e la valuta dopo anni di apprezzamento è stata svalutata per sostenere l’export. La ragione delle crescenti difficoltà dell’economia globale è semplice: con una radicale contrazione del credito e della liquidità tutta l’economia è destinata a soffrire e il credito si deteriora ulteriormente, avviando un circolo vizioso che può diventare molto rischioso. Un aspetto fondamentale della crisi è il suo effetto negativo sui risparmi. Il crollo dei prezzi di Borsa, delle obbligazioni, dei fondi di investimento e persino degli immobili ha ridotto del 20-25% il valore dei fondi pensione americani e inglesi e colpito la ricchezza delle famiglie in Europa. La sfiducia che ne segue spinge i risparmi verso le banche (che non li prestano) e verso i titoli pubblici, rendendo ulteriormente difficile il finanziamento delle imprese e delle attività produttive. La risposta dei governi e delle banche centrali all’aggravarsi della crisi è fondamentalmente corretta e volta a spezzare il circolo vizioso tra crisi finanziaria e crisi dell’economia reale. Sul lato finanziario si è operato evitando, con capitali pubblici e garanzie, il fallimento delle banche, e si è immessa massicciamente liquidità nel sistema. Dagli Stati Uniti all’Inghilterra, all’Eurozona, alla Cina, inoltre, i tassi di interesse sono stati tagliati fortemente e puntano allo zero. La situazione del credito e dei mercati, per questa via, non si è ancora normalizzata, ma dopo il fallimento di Lehman sono stati evitati eventi estremi e catastrofici. Sul versante dell’economia reale, con intensità e decisione diversa da paese a paese, è in atto il più grande stimolo fiscale coordinato della storia, fondato su investimenti pubblici, tagli di imposte a sostegno dei segmenti più poveri della popolazione. Negli Stati Uniti è stato raggiunto un primo accordo sul salvataggio pubblico dei tre colossi dell’auto di Detroit. E anche in Europa è alle porte un processo di consolidamento tra grandi produttori. Ancora venerdì, il presidente eletto Obama, in un discorso alla radio (come quelli di Roosevelt), ha delineato il più massiccio piano di investimenti in infrastrutture dal 1950, con l’obiettivo di sostenere la domanda e creare due milioni e mezzo di posti di lavoro. Nei paesi ad alto debito delle famiglie, infine, si è frenata l’ondata di sfratti dei mutuatari insolventi, agendo sulle rate dei mutui e frenando i pignoramenti. Anche in questo caso la situazione non è stabilizzata, ma si sono evitati gli eventi estremi ad alto impatto economico e sociale. In questa fase è cruciale evitare che la situazione si deteriori bruscamente e occorre contrastare con ogni strumento il rischio che la recessione si trasformi in una deflazione: una situazione di flessione dei prezzi e dei valori degli attivi, che rende inefficace ogni politica monetaria. dunque sacrosanto che i governi si concentrino su come superare la situazione di difficoltà agendo in modo coordinato. Ed è giusto gestire la psicologia di massa con dosi misurate di fiducia, interrogandosi sul modello di sviluppo che guiderà la ripresa prossima ventura: investimenti pubblici, micro e macro infrastrutture, investimenti ambientali, tenendo conto che la ripresa, come l’evoluzione della crisi, dipenderà dalle risposte globali a livello globale, più che dalle azioni dei singoli Paesi. Peraltro, se dalla gestione quotidiana della crisi alziamo lo sguardo alle sue cause più profonde, è del tutto legittimo sperare che, se pure in forma violenta e disordinata, l’economia abbia avviato il grande riequilibrio che era auspicato da decenni. Il livello del debito, che era cresciuto a dismisura, si va abbassando brutalmente. Il consumatore americano sta tornando a un comportamento sostenibile. Il sistema finanziario sarà oggetto di una nuova regolamentazione più prudente, e, visti i costi degli eccessi passati, difficilmente ripeterà gli errori dello scorso decennio. I grandi sbilanci dei pagamenti paiono destinati a ridursi. Le industrie, dai servizi finanziari all’automobile, stanno ristrutturandosi. Con un po’ di preveggenza e di supporto alle politiche economiche di riequilibrio invocate da più parti negli ultimi anni, il riaggiustamento sarebbe stato forse più ordinato. Certamente esistono ancora focolai di crisi e comportamenti prociclici in grado di aggravare la crisi, per i quali è essenziale l’intervento pubblico. Nell’insieme, però, ci sono molti segnali positivi di aggiustamento. Insomma, la situazione economica è molto complessa, ma come dice un noto aforisma di Lao Tse, filosofo dell’antica Cina, «ciò che per la crisalide è la fine del mondo, il mondo chiama farfalla». Domenico Siniscalco