Tito Boeri, la Repubblica 9/12/2008, pagina 32, 9 dicembre 2008
la Repubblica, martedì 9 dicembre 2008 La prima della Scala è stata trasmessa in mondovisione sugli schermi di mezzo pianeta, ma non in Italia
la Repubblica, martedì 9 dicembre 2008 La prima della Scala è stata trasmessa in mondovisione sugli schermi di mezzo pianeta, ma non in Italia. I nostri telespettatori non sono così balzati sulla sedia accorgendosi che un tenore americano era stato affiancato all´ultimo minuto alla soprano. Ma hanno avuto anche loro una sorpresa: il corposo ingresso nell´Eni di un fondo sovrano, di dubbio candore, nella prima delle nuove norme sulle Opa. Ricordiamo i passi salienti di questa vicenda, purtroppo meno avvincente dell´opera verdiana. Nelle pieghe del decreto anti-crisi approvato dieci giorni fa dal governo vi sono alcune norme che rendono più difficile scalzare il management di un´impresa mal gestita. In particolare, si è rimossa la passivity rule, la norma che impedisce agli amministratori della società bersaglio di intraprendere azioni per ostacolare il successo di un´offerta pubblica d´acquisto (Opa) di azioni della società. una scelta paradossale in un pacchetto anti-crisi perché deprime ulteriormente i corsi delle azioni delle società quotate a Piazza Affari e, dunque, i risparmi di milioni di piccoli risparmiatori che già hanno subito ingenti perdite in conto capitale negli ultimi 12 mesi. Il nostro presidente del Consiglio aveva preannunciato questo provvedimento fin da metà ottobre come una misura necessaria «per evitare che aziende italiane sottovalutate per le attuali condizioni di mercato fossero oggetto di Opa da parte di fondi sovrani». Aveva anche aggiunto di avere avuto notizia di fondi sovrani, soprattutto «di paesi produttori di petrolio», intenzionati a «investire massicciamente sui nostri mercati». Da allora ci siamo chiesti, anche su queste colonne, perché per ostacolare l´intervento di fondi sovrani nel capitale delle nostre imprese si dovessero irrigidire le nostre norme sulle Opa, internazionalmente riconosciute come equilibrate e trasparenti. Ammesso e non concesso che i fondi sovrani fossero davvero una minaccia per le nostre imprese, non sarebbe stato meglio regolare l´ingresso di fondi sovrani nel capitale delle nostre imprese strategiche anziché irrigidire le norme sulle Opa? E a quali temibili fondi sovrani di paesi produttori di petrolio faceva riferimento il nostro presidente del Consiglio? In questi giorni abbiamo avuto la risposta alla seconda domanda, ma non alla prima. Un comunicato della Presidenza del consiglio dei ministri ci ha informato che il governo libico - attraverso il suo fondo sovrano (il Lybian Energy Fund, Lef) - entrerà nel capitale azionario della maggiore azienda energetica italiana, l´Eni, con una quota fino al 10 per cento, una partecipazione più alta di quella oggi detenuta dalla Cassa Depositi e Prestiti, ormai trasformata in banca governativa. Il Lybian Energy Fund, come secondo azionista, potrà nominare un proprio rappresentante nel consiglio d´amministrazione dell´Eni, una compagnia di cui lo Stato ha voluto mantenere il controllo proprio in virtù della sua natura strategica. Sebbene un tempestivo editoriale del Sole24ore, quotidiano di proprietà di Confindustria, che a sua volta riceve un´importante quota associativa dall´Eni, ci abbia prontamente rassicurato sul vero significato di questa operazione («una nuova pagina nei rapporti fra Italia e paesi emergenti»), è legittimo pensare che tra i temibili fondi sovrani cui faceva riferimento il nostro presidente del Consiglio ci fosse anche il Lef. Del resto, Sergio Romano ha ieri svelato sul Corriere della Sera che i reggenti dei paesi alle porte di casa nostra si erano sentiti direttamente chiamati in causa dalle parole del nostro presidente del Consiglio. Cerchiamo allora di capire. Il nostro governo vara norme che rendono meno contendibili le nostre imprese in nome della protezione delle nostre imprese strategiche dai fondi sovrani dei paesi produttori di petrolio. Al tempo stesso accoglie a braccia aperte un fondo sovrano libico in un´impresa strategica per i nostri approvvigionamenti di energia. Torniamo perciò alla domanda inevasa. A cosa servono veramente le nuove norme sulle Opa? Forse a proteggere la struttura di controllo delle nostre imprese, anche quelle meno strategiche, da qualunque investitore intenzionato a fare meglio del management attuale? E in cambio di cosa si concede protezione a questo management, che in diversi casi ha contribuito attivamente al declino economico del nostro paese? Confidiamo questa volta in delle risposte vere. Perché la foglia di fico messa sulle nuove norme anti-Opa è volata via con il libeccio di questo lungo weekend. Tito Boeri