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 2008  dicembre 11 Giovedì calendario

GIANLUIGI NUZZI PER PANORAMA, 11 DICEMBRE 2008

E Lady Camorra non pagherà le spese
Paradossi La giustizia soffre anche per la mancanza di fondi. Ma dei 644 milioni di crediti vantati l’amministrazione è riuscita a incassare finora solo il 7 per cento. Nel frattempo, grazie a una legge del 2002, lo Stato cancella i debiti processuali ai boss in «disagiate condizioni economiche».
A Venezia in tribunale è finita la carta igienica, i magistrati se la portano da casa. A Milano i debiti con il comune sforano ormai 40 milioni di euro e mancano i soldi anche per gli armadietti: perciò si lasciano i fascicoli nei corridoi, alla mercé di tutti. A Bologna gli interpreti incrociano le braccia perché non vengono pagati e i processi si bloccano. In Puglia le società per le intercettazioni telefoniche staccano i registratori: fine delle indagini. Il malessere della giustizia si espande ma lo Stato reagisce in modo contrario a quello che qualsiasi semplice padre di famiglia o ragioniere adotterebbe: pur affondando tra messe in mora, debiti e carenze di personale, rinuncia a incassare i crediti che vanta. E condona a mafiosi e camorristi i soldi che questi devono alle casse pubbliche. In sintesi: nel 2007 lo Stato doveva riscuotere 644 milioni di crediti di spese di giustizia, ovvero sanzioni e spese processuali. Quando un imputato viene condannato la legge prevede, infatti, che paghi i costi economici del processo. Ma così non è. O almeno non sempre, anzi quasi mai. Dei 644 milioni di crediti, 141 milioni sono rappresentati proprio dalle spese processuali. Inseguendo detenuti e condannati però lo Stato riesce a recuperare meno del 7 per cento. Se si va a spulciare fra i conti, si scopre che va pure di moda la remissione del debito. In pratica al detenuto in buona condotta e che dimostra «disagiate condizioni economiche» il giudice di sorveglianza cancella ogni debito. Una cuccagna alla quale stanno ricorrendo anche i boss. noto che camorristi e mafiosi assumono in carcere una vita irreprensibile, seguendo con rispetto le norme penitenziarie. anche noto che si dichiarano tutti indigenti. E così il gioco è fatto: le spese a carico dei detenuti per i maxiprocessi scompaiono. I casi sono coperti da riserbo, si perdono tra le ombre dei farraginosi conti economici della giustizia. Ma il tam tam nelle carceri sulle norme, introdotte in sordina solo da qualche anno, è sempre più forte. E si moltiplicano le istanze di remissione del debito. Il magistrato di Sorveglianza di Napoli ha azzerato, per esempio, 60.444,82 euro a Maria Licciardi, che quando venne arrestata conquistò i titoli di copertina dei telegiornali per le sue capacità di controllare i clan campani. Licciardi venne subito ribattezzata «Lady Camorra». Oggi versa in «disagiate condizioni economiche», «durante la detenzione ha mantenuto regolare condotta» e quindi il giudice ha accordato la remissione del debito. La responsabilità non è del singolo magistrato (in questo caso Armando De Aloysio in forza al Tribunale di Napoli) ma della legge, riformata nel 2002 con decreto del presidente della Repubblica. In effetti, dopo la firma di Carlo Azeglio Ciampi, i giudici hanno pochi spazi per respingere le richieste. La remissione del debito è un istituto di diritto penitenziario introdotto con scopi di premialità. Punta al reinserimento sociale del detenuto: il carcere dovrebbe infatti rieducarlo per poi riportarlo nella società. Purtroppo il decreto dell’allora inquilino del Colle, pur nello sforzo di sanare una situazione che sfuggiva ai controlli, ha aperto falle nel sistema. La nuova disciplina riduce infatti la discrezionalità del giudice di sorveglianza delegato, che rischia di diventare un mero passacarte. Quantomeno di fronte alle istanze che dimostrano l’integrazione dei due presupposti: disagiate condizioni economiche e buona condotta. Con un cavillo intercettato da diversi avvocati. Sulle disagiate condizioni economiche, infatti, si gioca facile partita essendo requisito troppo generico e che permette larghe interpretazioni. In giurisprudenza il termine disagiato, infatti, non significa né insolvibile né indigente. Così, è sufficiente dimostrare che il pagamento di quel debito inciderebbe sul tenore di vita primario, impedendo il pieno reinserimento, per essere quasi sicuri di veder annullare il debito processuale. Porre rimedio a questa situazione significa rendere più agevole anche l’attività della Equitalia Giustizia, la società istituita nell’aprile scorso e controllata dall’Agenzia delle entrate che punta a recuperare proprio quei 644 milioni di euro tra difficoltà enormi. Far lievitare la percentuale oltre il misero 7 per cento è un’ambizione che andrebbe anche in armonia con l’intenzione più volte espressa dal guardasigilli, Angelino Alfano, di costituire il fondo unico della giustizia, da 1 miliardo di euro, con i depositi dei conti correnti aperti nelle banche e da tempo dormienti. Sostenere quindi che alla giustizia mancano i soldi è un’affermazione che appare decisamente imprecisa. I denari ci sono ma per inerzia o imperizia non vengono né recuperati né utilizzati.