Roberto Seghetti, Panorama, 11 dicembre 2008, 11 dicembre 2008
ROBERTO SEGHETTI PER PANORAMA 11 DICEMBRE 2008
Si fa presto a dire iva
Dopo il caso Sky L’imposta sul valore aggiunto è un autentico labirinto, nel quale le eccezioni superano abbondantemente le applicazioni ordinarie.
Vi è mai venuta la curiosità di sapere quanta iva pagate su 1 chilo d’uva? Eccola soddisfatta. Se è uva da tavola, pagate un’imposta del 4 per cento, perché sulla frutta fresca grava un’aliquota ridotta (quella usuale è pari al 20 per cento). Se è uva da vino, l’aliquota formale sale al 10 per cento, anche se poi c’è una percentuale di compensazione. Se però chi ve la vende è un piccolo agricoltore che mette direttamente sul mercato i suoi prodotti, allora di iva non versate nemmeno un centesimo, perché in questo caso il venditore agisce in regime di esenzione. Credete che sia l’unico caso complicato? Macché. La vicenda che ha coinvolto Sky e prodotto uno scontro frontale tra governo e opposizione ha fatto accendere i riflettori sul tema dell’iva. Ma il mondo dell’imposta sul valore aggiunto, dove pure basta un niente a smuovere interessi vasti e corposi, è tutto complicato, composto da tabelle, sottoinsiemi, interpretazioni, rinvii all’Europa e mille norme, postille e codicilli che negli anni il Parlamento ha affastellato su questa materia. «Agli occhi di una persona non esperta, ma talvolta anche a quelli di una discretamente preparata, è indubbio che il sistema iva possa apparire come un’autentica giungla» riconosce Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. In effetti, di esempi se ne potrebbero fare a centinaia. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Nel mondo dello spettacolo, per esempio, è bastata la differenza di una virgola per impedire a lungo che su un concerto eseguito da bande di paese si pagasse, come per tutto il resto degli spettacoli, compresi quelli del circo, un’iva al 10 anziché al 20 per cento. Così come nel settore dei servizi sociosanitari pagare o no l’iva dipende dalle decisioni degli operatori: se sono organizzati sotto forma di onlus o di cooperative, possono scegliere tra il regime di esenzione, tipico di questo settore e naturale per tutti gli altri, e l’applicazione di un’aliquota ridotta al 4 per cento sulle proprie prestazioni. Il sistema dell’iva è così complicato che pure per dare un’occhiata a volo di uccello c’è bisogno di una guida. Spiega il presidente Siciliotti: «L’aliquota iva ordinaria è quella del 20 per cento. Ma vi sono numerose ipotesi di cessioni di beni e di prestazioni di servizi per i quali è prevista l’applicazione di un’aliquota ridotta al 10 per cento o al 4 per cento. La generalità di queste riduzioni è contemplata in una specifica tabella, prevista dalla legge e oggetto nel tempo di innumerevoli modifiche». Per evitare fenomeni di concorrenza sleale tra gli stati, tutti i casi di aliquote iva ridotte rispetto al livello normale scelto da ciascun paese devono rientrare in uno degli ambiti di attività espressamente indicati dalle direttive dell’Unione Europea. Ci sono dunque alcuni limiti invalicabili. Ma bastano i numeri a capire che la dimensione del fenomeno è lo stesso notevole. Oggi la speciale tabella dove sono fissate le riduzioni di aliquota prevede 39 diverse ipotesi di iva al 4 per cento. Questa aliquota riguarda per esempio latte fresco, frutta, giornali, libri e periodici, somministrazione di alimenti e bevande nelle mense di aziende o attraverso distributori automatici. Ben 125 sono invece le diverse ipotesi di iva ridotta al 10 per cento, come per il latte conservato, le uova, gli agrumi, l’acqua e la birra, i prodotti di pasticceria, energia elettrica e gas per uso domestico, i medicinali o la somministrazione di alimenti e bevande in esercizi pubblici, bar e ristoranti. Infine vi sono i settori, i beni o i servizi per i quali l’iva non si applica, gli operatori sono esentati. Ma attenzione, secondo Siciliotti, non sono questi i casi più favorevoli: «In regime di esenzione, l’imposta non viene addebitata al consumatore finale. Però chi fa la prestazione non può a sua volta detrarre l’iva che gli viene addebitata dai fornitori. In questo modo, per lui, quell’iva diventa un costo. Al contrario, chi lavora in regime di iva ridotta può detrarre tutta l’iva pagata sulle forniture e applicare l’aliquota ridotta al prezzo finale» dice il presidente del Consiglio dei commercialisti. La difficoltà non è finita qui. La tabella di legge fissa le riduzioni permanenti. Per esempio, prevede che sia sempre ridotta al 10 per cento l’aliquota iva che grava sugli interventi edilizi di ristrutturazione e restauro conservativo. Poi, però, vi sono le norme che introducono riduzioni temporanee e transitorie. Come quella, per restare all’edilizia, che fissa temporaneamente al 10 per cento anche l’aliquota iva relativa agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle abitazioni. E nemmeno così sono finite le complicazioni. Oltre alla notevole casistica relativa alle aliquote, non bisogna dimenticare che vi sono molti modi di assolvere il proprio dovere di contribuenti iva da parte delle imprese e dei professionisti. Oltre al meccanismo ordinario del cosiddetto addebito con rivalsa, in vari casi si rendono applicabili meccanismi alternativi, quale per esempio quello del reverse charge (in base al quale è chi compra il bene o il servizio a dover applicare l’iva, anziché chi lo vende). O ancora autentici casi speciali, come per esempio il «regime del margine» per chi rivende beni usati, o gli straordinari criteri in vigore nel settore dello spettacolo e delle agenzie di viaggi. Come dire: quando si parla di iva è proprio il caso di riesumare il tormentone canoro che andava di moda qualche tempo fa: è un mondo difficile.